«Gentile direttore, mi rivolgo a voi del “Messaggero” perché apprezzo la sensibilità antoniana e francescana con cui affrontate tanti temi attuali. Il fatto è proprio questo: c’è un tema molto serio di cui non si sente parlare assolutamente e che invece meriterebbe una riflessione, visto che saremo chiamati al referendum del 17 aprile. Si tratta della trivellazione nei nostri mari per la ricerca di petrolio. Anche il Papa con la sua ultima enciclica ci ha indicato che dobbiamo vigilare su questi temi… Lo so che in giro c’è tanta indifferenza, e che sempre meno persone vanno al seggio, ma in una fase in cui calano gli istituti di democrazia diretta (non voteremo più per il senato), non prenderei sotto gamba le occasioni che ancora abbiamo».
Lettera firmata Il silenzio in alcuni casi è assordante, e quello mediatico sul referendum del 17 aprile è davvero fragoroso. Capiterà poi che le famiglie si accorgeranno di quanto bolle in pentola quando scopriranno che le scuole dei loro figli sono chiuse per seggio elettorale… Approfitto allora di questo spazio per riassumere velocemente la questione. Che cosa c’è in ballo? Un unico quesito, che riguarda le concessioni per le estrazioni di petrolio e gas metano entro le 12 miglia marine (poco più di 22 chilometri) dalle nostre coste. Se vincesse il sì, alla scadenza delle concessioni (trentennali comunque!) verrebbero bloccati i 21 stabilimenti attivi nel mar Adriatico, nello Ionio e al largo della Sicilia. Vincesse il no, o non si raggiungesse il quorum necessario per il referendum (50 per cento più uno degli aventi diritto), si andrebbe avanti fino a naturale esaurimento dei giacimenti. Nessuna conseguenza, invece, per le altre 106 piattaforme posizionate più al largo. Altro dato interessante: a lanciare il referendum sono state nove Regioni – governate da giunte di ogni colore politico –, tra quelle che più da vicino sono interessate al fenomeno. La preoccupazione è di carattere ambientale, prima di tutto, e di conseguenza anche turistica: se accadesse un qualche incidente, come si rimedierebbe? Non certo attingendo alle bassissime tasse pagate dai petrolieri… Il gioco, insomma, non varrebbe la candela. Il fronte del no, invece, mette sul piatto della bilancia l’impatto sull’economia e la dipendenza di petrolio e gas metano dalle importazioni. In primo piano, in effetti, è il fronte del fabbisogno energetico: le associazioni ambientaliste vedono nel referendum la possibilità, una buona volta, di fare un passo indietro nei consumi di energie fossili, puntando finalmente sulle rinnovabili, come del resto lo stesso governo si è impegnato a fare con l’accordo sul clima di Parigi di dicembre. Mi viene da dire che siamo sempre lì: qualsiasi sia l’esito del referendum del 17, da lunedì 18 l’impegno innanzitutto personale deve essere quello di convertire il nostro stile di vita, per non «consumare» in modo irreparabile il pianeta, uscendo da quella «spensierata irresponsabilità » denunciata da papa Francesco in Laudato si’ (59), da quel «comportamento evasivo che ci serve per mantenere i nostri stili di vita, di produzione e di consumo. È il modo in cui l’essere umano si arrangia per alimentare tutti i vizi autodistruttivi: cercando di non vederli, lottando per non riconoscerli, rimandando le decisioni importanti, facendo come se nulla fosse».
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