Antonio da Padova e Maria di Nazareth
Sono novantanove gli elementi inseriti nel perimetro della Basilica che conferiscono al primo e più celebre Santuario antoniano una forte coloritura mariana. Sono affreschi, quadri, statue, altari realizzati per testimoniare il filiale affetto dei devoti di sant’Antonio alla madre di Dio. Una dovizia di presenze non certo casuale. Alcuni fatti, che brevemente ricordiamo, ci fanno percepire, sullo sfondo, quasi un mistico scambio di celestiali cortesie.
Il primo Santuario antoniano, cioè il luogo che ha accolto le spoglie mortali del Santo all’indomani della sua morte, richiamando frotte di devoti, è stato un edificio sacro dedicato alla Madonna. Precisamente, la chiesuola conventuale di Santa Maria Mater Domini, nella quale il frate predicatore amava ritirarsi per trovare spirituale ristoro alle fatiche dell’apostolato missionario, sotto lo sguardo della Vergine Maria, di cui era devotissimo. Tanto che, colto da ferale malore mentre si trovava a Camposampiero, supplicò i confratelli di riportarlo a Padova per chiudere gli occhi per sempre nel silenzio raccolto di quelle care mura, alla presenza amorevole della madre di Dio.
Morì prima, il 13 giugno 1231, all’Arcella, periferia nord della città. Nella chiesetta furono trasferiti, alcuni giorni dopo, i suoi resti mortali, subito oggetto di venerazione dei devoti che lo considerarono santo, prima ancora che papa Gregorio IX, il 30 maggio 1232, lo elevasse agli onori degli altari.
Rimase «ospite» nella casa della madre di Dio, condividendo con lei la devozione e l’amore dei fedeli, fino all’8 aprile 1263, quando fu solennemente traslato, presente san Bonaventura, ministro generale dell’ordine francescano, nel nuovo e grandioso santuario, eretto contiguo alla venerata chiesetta.
Un itinerario d’arte e di fede
Spiritualmente le cose non cambiarono. Le due devozioni – alla madre di Dio, accolta nel nuovo Santuario, e al santo Taumaturgo – proseguirono affiancate, a tratti intersecandosi o sovrapponendosi, animate dal medesimo fine: portare tutti alla salvezza in Cristo. E così, accanto ai segni di riconoscenza al Santo, sempre pronto a richiamare l’attenzione di Dio sulle necessità dei suoi devoti, si moltiplicarono le testimonianze di affetto alla Madonna, anche lei preziosa e materna avvocata.
Testimonianze, tradotte dagli artisti in opere di pregevolissima fattura. Come – per ricordare alcune delle più note – la delicatissima Madonna del pilastro con un sorridente bimbetto tra le braccia, dipinta da Stefano da Ferrara nella seconda metà del Trecento, che accoglie i devoti al loro entrare nel Santuario. O la popolare Madonna, detta «Mora» per lo scuro incarnato del volto, scolpita nel 1396 da Rinaldino di Puydarrieux, che domina, da uno slanciato capitello gotico, la vecchia chiesetta, ovviamente rifatta, di Santa Maria Mater Domini. O, ancora, la deliziosa Vergine che dall’alto dell’altare maggiore mostra ai fedeli un grazioso e paffuto Gesù bambino, capolavoro di grande bellezza del Donatello (secolo XV). Infine, la Madonna incoronata dal Figlio Gesù, affrescata da Giusto de’ Menabuoi nella seconda metà del Trecento, sulla parete destra del breve andito che accompagna i pellegrini nel chiostro della Magnolia. E tutte le altre che, collegate tra loro, rendono possibile un ideale «itinerario» mariano attraverso i misteri di Cristo e di sua Madre raccontati dagli artisti, e contemplati nella recita del rosario.
La luce della grazia
Nel contempo, la liturgia faceva la sua parte, creando riti, feste religiose e pie pratiche in grado di consentire ai fedeli di esprimere, in forma privata e comunitaria, la loro devozione alla madre di Dio. Alcuni di quei riti sono vissuti fino ai nostri giorni. Tra le feste, ricordiamo quella dell’Immacolata, memoria di un dogma – la Vergine Maria immune dal peccato originale sin dal primo istante del suo concepimento – da sempre sostenuto con forza dal mondo francescano e dallo stesso sant’Antonio, e celebrata in Basilica con sentita solennità.
Tra le pie pratiche, la recita del rosario, in particolare nel mese di maggio, che quest’anno si svolge in un contesto di particolare attenzione. Il 13 del mese, infatti, ricorre il centenario della prima apparizione della Madonna a Lucia, Francesco e Giacinta.
La Basilica dedicherà all’anniversario particolare attenzione, anche alla luce di alcune coincidenze che hanno creato legami spirituali tra la Basilica padovana e il Portogallo. Il fatto, ad esempio, che le apparizioni sono avvenute in terra portoghese, patria di sant’Antonio, e non lontano da Coimbra, sede del monastero degli agostiniani dove egli maturò la vocazione alla vita francescana. E ancora, che la stessa Lucia, prima di recarsi, il 13 giugno al secondo appuntamento con la Madonna a Cova da Iria, ha voluto rendere omaggio al grande Santo conterraneo, andando ad ascoltare la Messa in suo onore. In questo mese di maggio verrà dunque dato in Basilica particolare seguito a quell’invito rivolto dalla Madonna ai pastorelli di «recitare il rosario tutti i giorni, per ottenere la pace nel mondo e la fine della guerra». Perché oggi, a ben vedere, stiamo rivivendo le stesse ansie e paure di allora, tra rumori di guerre e un futuro incerto. Allora, riprendere in mano la corona del rosario per perorare un futuro di pace, come suggeriscono i frati del Santo proprio in questo mese mariano, sembra quanto mai opportuno e saggio.