Narrarsi per ritrovarsi
Insegnare, insegnare qualcosa a minori in percorso penale. Ma che cosa? L’istituzione pubblica di assistenza e beneficenza Opere Riunite del Buon Pastore di Venezia aveva già avviato con i ragazzi affidati in esecuzione di provvedimenti penali, dei laboratori di orto e di fotografia. Nella comunità educativa Ca’ dei Giovani di Marghera c’erano delle aule da riadattare per inventarsi una scuola particolare, una scuola intensiva di scrittura creativa. Il progetto era mirato a far emergere, attraverso la narrazione, il trascorso dei ragazzi, la loro esperienza personale, per poterne parlare tutti assieme, per poterla raccontare.Al laboratorio non hanno partecipato ragazzi «facili»: i minori erano in regime di «messa alla prova», decisa dall’Autorità giudiziaria, per reati più o meno gravi. Si sentivano già grandi, alcuni erano ragazzi di strada, altri venivano dal carcere minorile.A ogni lezione l’insegnante (la sottoscritta) proponeva un tema e, dopo alcune attività di riflessione e alcuni esercizi – spesso di natura ludica – per introdurli alla scrittura, distribuiva a ognuno un quadernone e una penna per scrivere una personale riflessione sul tema. Il tutor d’aula presente agli incontri ha agevolato le relazioni e cercato di capire le personalità dei ragazzi, per creare un clima empatico e fornire un valido aiuto sul piano dell’inserimento sociale.Attraverso la stesura di memorie autobiografiche, i giovani si sono confrontati con il passato per cercare di dare una risposta al proprio futuro. Il presente di questi ragazzi è un tempo «sospeso», con degli obblighi precisi in attesa del giudizio. I minori si sono raccontati come sono riusciti, alcuni in un italiano stentato (erano presenti degli stranieri), altri in dialetto, e hanno prodotto dei testi confluiti nell’ebook dal titolo Parole dentro, parole fuori, pubblicato con il contributo della regione Veneto e in collaborazione con il comune di Venezia (la pubblicazione è scaricabile gratuitamente dal sito delle Opere Riunite Buon Pastore).Dalla limitazione della libertà è uscita paradossalmente una nuova espressione di libertà, attraverso l’appropriazione o il recupero del valore fondante della parola, in soggetti che non sempre hanno potuto o saputo elaborare una corretta modalità del «dire».Restituire l’accesso alla dimensione del verbale significa porre al centro della relazione il valore del racconto: di sé, degli altri, dell’ambiente sociale all’interno del quale si determinano e rideterminano costantemente la propria e l’altrui identità; una scelta etica fondata su una pedagogia che promuove l’ascolto e il rispetto, un «agire pensato» e non più governato dal mero istinto. «Mi sono sempre definito nomade – si legge in uno dei racconti pubblicati – perché non penso di avere una casa dove poter tornare a mio piacimento; ho sempre visto la vita come una cosa che va fatta, la vita deve essere vissuta. Se ho sbagliato? Chi lo sa, ma poco importa e ora sono qua a dare un valore a ciò che prima per me non aveva alcun senso».