Uomini feriti in cammino con sant’Antonio
Cari giovani amici, Il Signore vi dia pace. Anche quest’anno, nella notte di sabato 27 maggio, si è svolto «il cammino di Sant’Antonio», l’ormai tradizionale pellegrinaggio a piedi che rinnova gli ultimi passi intrapresi dal Santo (13 giugno 1231) poco prima di abbracciare «sorella morte». Si tratta di un percorso che si snoda per circa 25 Km dai Santuari Antoniani di Camposampiero (Pd) per giungere in Padova prima al Santuario dell’Arcella e poi concludersi alla Basilica che fa da scrigno prezioso alla tomba di Sant’Antonio. Tantissimi pellegrini (1.500 circa) sono giunti per l’occasione da varie parti d’Italia e dall’estero. Tra questi, hanno camminato e pregato nella notte anche alcuni uomini dalla vita profondamente e dolorosamente segnata, otto uomini «feriti» provenienti dal Carcere «Due Palazzi» di Padova in cui sono reclusi da anni. Di seguito riporto la testimonianza di uno di loro, Alessio, insieme a quella di Maddalena, una giovane volontaria che ha accompagnato il gruppo.
A ciascuno il nostro grazie e la nostra preghiera. Al Signore Gesù, per il suo servo sant’Antonio, sempre la nostra lode.
Fra Alberto (fra.alberto@davide.it)
Il cammino di sant’Antonio, il cammino della vita
Il 13 giugno 1231 sant’Antonio si trovava all’eremo di Camposampiero e, percependo ormai prossima la sua morte, chiese ai frati di essere ricondotto all’amato convento di Padova dedicato alla Madonna. Così disteso su di un carro trainato da buoi, percorse il suo ultimo pellegrinaggio.Il 27 maggio 2017 mi sono ritrovato anch’io a ripercorrere quel viaggio, un lungo cammino di 25 km circa, partendo proprio da quell’eremo. Questo pellegrinaggio l’ho vissuto come fosse il cammino della mia vita, appunto perché il nostro vivere è un cammino.Percorriamo una via piena di bivi, dove a ogni passo c’è una freccia che indica una direzione diversa: lì si dipartiva un viottolo, da là una stradina erbosa che si perde nei boschi. Alcune di queste deviazioni le abbiamo imboccate senza accorgerci; qualcun'altra non l’avevamo nemmeno vista. Quelle trascurate non sappiamo dove ci avrebbero condotto, se in un posto migliore o peggiore. Non lo sappiamo, ma ugualmente ne proviamo rimpianto. Potevamo fare una cosa, ma non l’abbiamo fatta. Siamo tornati indietro, invece di andare avanti.C’è un errore che si fa sempre: quello di credere che la vita sia immutabile, che una volta preso un percorso si debba andare fino in fondo, ma la vita ha più fantasia di noi. Perché, proprio quando crediamo di trovarci in una situazione senza via di scampo, quando raggiungiamo il picco di disperazione massima, ecco, con la velocità di una raffica di vento tutto cambia, ci stravolge e da un momento all’altro ci troviamo a vivere una nuova vita: percorrendo un nuovo cammino. Tutti questi pensieri me li ha regalati questo cammino, un cammino condiviso da molte persone. Spero che sia per me una nuova strada, un punto da dove ricominciare… una nuova ripartenza per essere «persona nuova», migliore! Perché l’Amore di Dio vince sempre, contro tutto. Prego affinché questa esperienza mi accompagni nel cammino della mia vita...
Alessio, detenuto del Carcere “Due Palazzi”
Uomini feriti in cammino
Forse qualcuno non sa, ma in quel cammino fatto nella notte di passaggio tra il 27 e il 28 maggio 2017 c’erano otto uomini che, da almeno da 10 anni, gli unici passi che compiono sono nel corridoio della loro sezione, tra le celle del Carcere Due Palazzi. Sono uomini che, con tutte le loro ferite e il peso del loro passato, si sono messi in Cammino. Non potevo immaginare cosa sarebbe accaduto: qualcuno l’ho visto pregare il rosario, qualcuno ammirare le stelle e il cielo che ormai ricordava solo a quadretti, qualcuno ha toccato e odorato quella terra quasi come un bambino, a qualcuno quelle ampie vedute hanno fatto girare la testa perché i suoi occhi non erano più abituati. Il Cammino è stato tosto, come la loro vita. Ma in quella notte non erano soli: avevano dei compagni, trovati nel luogo più brutto della società.Hanno conosciuto sant’Antonio: qualcuno ha portato alla tomba il papà e il fratello uccisi per vendetta; qualcuno la propria moglie e il proprio figlio; qualcuno la propria solitudine perché senza papà e senza mamma, senza una casa che l’aspetta quando, tra poco, uscirà dal quel ferro e cemento; qualcuno la propria malattia con cui sta combattendo.Io mi trovavo a camminare con queste vite ferite, rotte, con uomini a cui noi della Parrocchia Due Palazzi proviamo a rivolgere uno sguardo d’Amore, forse il primo che loro ricevono da quando sono nati. E quello Sguardo li ha attratti tanto da mettersi in gioco a camminare per 25 km di notte, con tutte le loro fragilità fisiche e interiori. Sono rientrati pieni di un’esperienza che, guardando alla loro storia, mai immaginavano di compiere.A me cosa è rimasto? I loro sguardi, la fiducia riposta in noi, il non vergognarsi delle proprie difficoltà.. il sentirmi «in famiglia» con loro, con Gesù che camminava lì tra noi.
Maddalena, volontaria della parrocchia «Due Palazzi»