14 giugno 2025: i 40 anni di Shengen
Era il 14 giugno 1985, 40 anni fa proprio oggi, quando cinque nazioni europee (Belgio, Francia, Germania, Lussemburgo e Paesi Bassi) sottoscrissero a Shengen, cittadina del Lussemburgo sud-orientale, un Accordo, che prese il nome proprio dal luogo in cui venne firmato, con l'obiettivo di abolire progressivamente i controlli alle frontiere interne e introdurre la libera circolazione di persone e merci tra gli Stati membri.
Altri tempi, purtroppo. Perché se allora si cercava di creare un’Europa sempre più unita e libera, accogliente, oggi stiamo invece assistendo a un progressivo atteggiamento divisivo e di chiusura.
Da quel 14 giugno 1985, l’Accordo si è progressivamente allargato (l'Italia ha aderito a Shengen nel 1997), fino a giungere, oggi, a comprendere 29 Paesi: 25 Stati membri dell'UE e i 4 paesi membri dell'Associazione europea di libero scambio (Islanda, Liechtenstein, Norvegia e Svizzera), coinvolgendo un territorio pari a 4 milioni di chilometri quadrati e una popolazione di circa 420 milioni di persone.
Secondo il Consiglio d’Europa, ogni giorno circa 3,5 milioni di europei attraversano le frontiere interne per motivi di lavoro, studio o visita a famiglie e amici, e quasi 1,7 milioni di persone risiedono in un Paese Schengen mentre lavorano in un altro. Secondo le stime, i cittadini d’Europa «effettuano ogni anno 1,25 miliardi di viaggi all'interno dello spazio Schengen, il che apporta notevoli vantaggi anche al settore del turismo e della cultura». Non solo. «Anche i cittadini di Paesi terzi che vivono nell'UE o vi si recano come turisti, come studenti in scambio o per motivi professionali possono circolare liberamente nei Paesi Schengen senza sottoporsi ai controlli di frontiera».
Ma che cosa significa concretamente far parte del Trattato di Shengen? È ancora il Consiglio d’Europa a rispondere: «I Paesi che intendono aderire allo spazio Schengen devono soddisfare un elenco di condizioni preliminari. Essi devono: 1) applicare l'insieme comune di norme Schengen (il cosiddetto "acquis di Schengen"), ad esempio per quanto riguarda i controlli alle frontiere, il rilascio dei visti, la cooperazione di polizia e la protezione dei dati personali; 2) assumere la responsabilità del controllo delle frontiere esterne per conto di altri Paesi Schengen e del rilascio di visti Schengen uniformi; 3) cooperare efficacemente con le autorità di contrasto di altri paesi Schengen in modo da mantenere un elevato livello di sicurezza una volta aboliti i controlli alle frontiere interne; 4) collegarsi e utilizzare il sistema d'informazione Schengen (SIS)».
Contrariamente a quanto si è portati a pensare, l’Accordo di Shengen non solo ha migliorato la libera circolazione dei cittadini UE, ma ha anche aumentato contestualmente la sicurezza. È sempre il Consiglio d’Europa a spiegarlo: «Uno dei principali obiettivi dello spazio Schengen è proteggere i suoi cittadini attraverso una maggiore cooperazione tra le forze di polizia, le autorità doganali e le autorità preposte ai controlli alle frontiere esterne di tutti gli Stati membri.[...] Per quanto riguarda la cooperazione nell'attività di contrasto, lo spazio Schengen consente, infatti: il miglioramento dei sistemi di comunicazione tra le forze di polizia; l'inseguimento transfrontaliero di criminali; la sorveglianza transfrontaliera delle persone sospettate; l'assistenza operativa reciproca; gli scambi diretti di informazioni tra le autorità di polizia. Si tratta di un vantaggio enorme nella lotta contro il terrorismo e contro le forme gravi di criminalità organizzata, compresa la tratta di esseri umani».
Come a dire che non sempre chiudere i confini o respingere le persone è la soluzione migliore, non solo da un punto di vista umanitario e di giustizia sociale, ma anche di sicurezza. A patto che le situazioni non vengano affrontate in modo strumentale, cavalcando le paure, spesso irrazionali, dei cittadini. Con buona pace dei tanti politici che soffiano sul fuoco affinché gli europei si asserraglino nei loro comodi spazi, lasciando fuori un mondo di poveri (spesso impoveriti proprio dalle vecchie politiche degli Stati UE) che hanno esattamente lo stesso nostro diritto di vivere e sperare in un futuro migliore.
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