Un Pastore in cammino
Come tutti ben sappiamo, l’8 maggio scorso, al quarto scrutinio del Conclave, è stato eletto il nuovo Pontefice: Leone XIV, Robert Francis Prevost, il primo Pontefice statunitense della storia (e non il primo americano, come erroneamente hanno titolato molti giornali, l’America va ben oltre gli Stati Uniti, ed è profondamente ingiusto identificarla solo con gli States: anche papa Bergoglio era americano…).
Al momento in cui scriviamo, molto è già stato detto sul nuovo successore di Pietro e troppo spesso, dobbiamo ammetterlo, nel tentativo, molto umano, di «tirarlo dalla propria parte». Di lui abbiamo letto che ha 69 anni, che è nato a Chicago, è cresciuto in una famiglia di profonda fede cattolica, è entrato nell’ordine di Sant’Agostino ed è quindi un religioso esattamente come papa Francesco, gesuita, con quello che ciò significa anche in termini di «stile sinodale» che si respira in una vita vissuta in fraternità (oltre al fatto che, nel mondo religioso, tra carisma e istituzione, prevale il primo...).
È stato missionario per oltre vent’anni in Perù (possiede pure la cittadinanza peruviana) ed è dunque abituato a osservare il mondo da una dimensione periferica, sia dal punto di vista geografico che esistenziale. In Perù papa Francesco l’aveva voluto anche vescovo, di Chiclayo, ma da un paio d’anni l’aveva richiamato a Roma con l’incarico di guidare il Dicastero dei vescovi (lo stesso in cui Francesco negli ultimi anni aveva nominato, per la prima volta nella storia, tre donne), un Dicastero importante, che ha di fatto il compito di delineare il volto futuro della Chiesa. Sappiamo pure che la sua formazione è matematica e filosofica (Bachelor of Science in scienze matematiche e diploma in filosofia presso l’Università di Villanova, a Filadelfia) e giuridica (dottorato in diritto canonico all’Angelicum, a Roma). Conosce sette lingue ed è uomo di indubbia cultura. Ma la sua storia ci dice che è anche, e profondamente, un Pastore.
Un nome, un programma
Sappiamo pure che il nome che ha scelto, Leone, è lo stesso assunto da papa Vincenzo Gioacchino Pecci (1810-1903), Leone XIII, il Pontefice della grande enciclica sociale Rerum novarum (1891), che di fatto ha inaugurato la moderna dottrina sociale della Chiesa (moderna, perché la dottrina sociale della Chiesa esiste da sempre…). È stato il neo Pontefice stesso, il 10 maggio, nel corso del primo incontro ufficiale con i cardinali, a spiegare che sta proprio qui il motivo principale della scelta del nome: papa Leone XIII è stato il Pontefice che ha affrontato «la questione sociale nel contesto della prima grande rivoluzione industriale; e oggi la Chiesa offre a tutti il suo patrimonio di dottrina sociale per rispondere a un’altra rivoluzione industriale e agli sviluppi dell’intelligenza artificiale, che comportano nuove sfide per la difesa della dignità umana, della giustizia e del lavoro», riconoscendo in tal modo la necessità di una sorta di Rerum digitalium (come l’ha definita Alberto Lomonaco su «Vatican News») che continui a illuminare, alla luce dei principi evangelici, quel cambiamento antropologico nel quale oggi siamo tutti immersi.
Ma Leone è anche il nome scelto dal 45esimo Papa della storia, quel Leone I o Leone Magno, santo, che, tra IV e V secolo, operò costantemente a sostegno della pace impedendo ad Attila di invadere la penisola italiana, presentandosi davanti a lui «disarmato e disarmante», con l’unica forza del dialogo (oltre ad aver ispirato il Concilio ecumenico di Calcedonia che riaffermò l’unione in Cristo delle due nature: umana e divina).
E a noi qui piace ricordare che Leone era anche il nome di uno dei più fedeli compagni di Francesco d’Assisi – oggi sepolto accanto a lui nella cripta della Basilica di Assisi –, una presenza costante accanto al Poverello almeno a partire dal 1220 e fino alla sua morte (1226). Un uomo descritto dalle cronache come semplice e umile. A frate Leone, Francesco si rivolse per condensare la sua idea di «perfetta Letizia» (FF 278) e per lui scrisse in origine la più famosa benedizione francescana (FF 262) e le cosiddette Lodi di Dio Altissimo (FF 261). Quel frate Leone (sempre lui) che era accanto a Francesco anche alla Verna, nel periodo in cui questi ricevette le Stimmate.
La diversità è sempre ricchezza
Rimane il fatto che, a dispetto di quanto abbiamo letto e ascoltato su moltissimi media, è fuorviante voler paragonare due Pontefici come Francesco e Leone XIV, due uomini come Bergoglio e Prevost, innanzitutto perché molto differente è la loro personalità: tanto il primo era vulcanico e immediato e bisognoso del contatto con la gente («è per la mia sanità mentale» diceva) tanto il secondo appare pacato, misurato anche nei gesti, e forse più schivo.
Ma di certo su alcuni temi – come la difesa e la promozione della pace (l’appello a «una pace disarmata e disarmante che viene da Cristo» è stata la prima immagine evocata dal neo Pontefice non appena si è affacciato alla Loggia delle benedizioni, subito dopo la sua elezione), la questione migratoria, la salvaguardia del creato, la difesa dei poveri e degli emarginati – i due Pontefici sono molto vicini e appaiono, invece, molto distanti dalle posizioni degli attuali «potenti» della terra.
Il resto, ne siamo certi, lo farà lo Spirito santo che guiderà i passi del nostro nuovo Pontefice con sapienza, aiutandolo a discernere, passo dopo passo, la presenza di Cristo nella storia. Passi che probabilmente, come ha scritto padre Spadaro in un articolo pubblicato su «Repubblica» il 13 maggio, si affideranno a una visione più «intuitiva» della teologia, capace di elaborare un pensiero in modo molto più veloce rispetto al passato, accompagnando il cammino degli uomini e delle donne di oggi e le sfide della Storia che si trovano ad affrontare.
Benvenuto quindi papa Leone XIV, «statunitense per nascita, europeo per origine, peruviano per vocazione», vescovo di Roma, Papa missionario e Pastore del popolo di Dio.
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