Un’oasi francescana per riscrivere il futuro
«Mio figlio adolescente ha paura di uscire di casa, e io non so aiutarlo». La frase squarcia il silenzio della sala, come una ferita. Siamo nella parrocchia Sacro Cuore di Gesù, al quartiere la Noce, uno dei quartieri con più bambini e ragazzi di Palermo e anche uno dei più difficili della città. La donna che parla avrà meno di 40 anni, il figlio Davide, di 14, è chiuso nelle spalle, contratto nel suo disagio. La parrocchia dei Frati Minori Conventuali è l’unica zattera di pace in un quartiere di grandi contraddizioni, a pochi isolati dal centro con i suoi gioielli architettonici e le strade della movida, vicino ai palazzoni della piccola e media borghesia, eppure dentro una bolla di degrado, in un’insolita scacchiera sociale e architettonica di luci e ombre.
Ci troviamo a Palermo per il progetto 13 giugno, l’iniziativa di solidarietà più importante, per celebrare la festa del Santo, con il direttore del «Messaggero di sant’Antonio», fra Giancarlo Zamengo, e quello di Caritas sant’Antonio, fra Valerio Folli. A farci da guida fra Gaspare La Barbera, responsabile del progetto, nato anche lui alla Noce, a pochi passi dalla chiesa dei frati. La scelta quest’anno è caduta sull’emergenza educativa, una vera sfida contemporanea che attanaglia tutta Italia, ma qui si colora di problematiche ancora più complesse, che rischiano di pregiudicare in modo indelebile la vita di molti ragazzi e ragazze. Parte importante della soluzione sarà proprio il progetto dei frati: il Parco della Fraternità Leonardo Vitale, un centro polifunzionale, un polmone di socialità e prevenzione nel cuore delle periferie di Palermo, che sarà anche un tributo alla memoria del primo vero pentito di mafia.
Davide non parla. Ancora non riesce. E allora la madre snocciola tre anni di bullismo, di aggressione, di paura: «I professori mi rassicuravano, “sono cose da ragazzi”, ma mio figlio era sempre più in difficoltà, sempre più in crisi con se stesso: “Valgo io qualcosa, mamma? Mi sento morire”. Finché un giorno, per un futile motivo (un post su una partita di calcio) l’hanno pestato a sangue. Due femminucce e quattro maschietti, tutti compagni di classe. L’ho portato in ospedale, aveva l’11esima costola rotta. Mi pregava di non denunciare, gliel’avrebbero fatta pagare. Io tendo a proteggerlo, mio figlio, ma mi dicono che sbaglio, che rischio di non farlo crescere. Mio marito ha una grave depressione e non mi può aiutare e io ho paura. Per fortuna ci sono i frati, la mia seconda famiglia».
Palermo oltre la mafia
A questo punto è fra Salvatore Lo Curcio a parlare, il parroco del Sacro Cuore: «La liquidità dei valori, tipica della società contemporanea, alla Noce rischia di far annegare i ragazzi. In questo quartiere di viuzze a scacchiera non c’è niente per loro, né una piazza, né un luogo di ritrovo, né un cinema, né una palestra. E, invece, c’è mafia, c’è spaccio, c’è microcriminalità, c’è povertà culturale. Qui una famiglia su due ha un membro agli arresti domiciliari. Molti ragazzi non hanno mai visto un altro modo di vivere. Il rischio è che, se non hai alternative, la soluzione è rivolgersi al “tipo giusto” dietro l’angolo, per fare soldi facili». Finalmente Davide parla: «O ti lasci andare o diventi un bullo anche tu, per essere qualcuno. Io non ci riesco. Io… non riesco a vedere il futuro, però vorrei fare l’avvocato un giorno, l’ho visto nei film, mi piace». Il desiderio di riscatto per sé e per gli altri traspare dalle sue timide parole. Ma quel futuro sembra lontano, irraggiungibile.
Nonostante le difficoltà, Palermo non si è mai arresa. Neppure qui alla Noce e nell’adiacente quartiere Zisa, molto simile per caratteristiche e disagi, dove sorgerà il progetto 13 giugno: «Qui ci vive un sacco di bella gente, lo so per certo, è il mio quartiere – afferma sorridendo fra Gaspare, il nostro accompagnatore, con quel pizzico d’ironia che farà da sfondo a tutto il nostro viaggio –. Non abbiamo spazi adeguati, ma c’è tutta una rete che lavora con i ragazzi e che è legata a noi: l’Associazione Strummula, che opera nelle scuole, il Centro Tau, la Caritas diocesana, la Comunità di Danisinni, i professionisti volontari che ci affiancano e il Centro Valdese. Il progetto che faremo già in qualche modo esiste, ora occorrono gli spazi per lavorare insieme e trovare soluzioni di lungo termine, che vadano oltre l’emergenza».
Usciamo dalla parrocchia che già la luce calda di Palermo volge al rosato del tramonto. Nella stretta strada si fa lo slalom tra le macchine che occupano la carreggiata, ai lati un alimentari mediorientale zeppo di mercanzie come un suk, poco più in là una vespa malconcia tenuta in piedi da nastro da pacco e cinghie nere, balconcini traboccanti di tende sgualcite e panni stesi. Spicca uno scooter di lusso con a bordo un ragazzino, i capelli sfumati di fresco, gli occhiali da sole di marca, i vestiti all’ultima moda. Fa finta di non vedere, ma sbircia fiero oltre le lenti oscurate, inquadra, controlla. A un centinaio di metri di distanza, la strada si apre: l’altra Palermo è più vicina. Fra Gaspare si ferma a scherzare con il pescivendolo, ad abbracciare alcuni amici, a parlare animatamente con due signore, mentre un fruttivendolo alle sue spalle bagna flemmatico la verdura esposta come in un quadro di Guttuso. Da qualche parte arriva un profumo di pane, come non si sente più.
Le radici del riscatto
Il giorno dopo, il cielo turchese accende le pietre del chiostro dell’ex seminario francescano in cui siamo ospitati nel centro di Palermo. Fra Gaspare ci aspetta in refettorio, dopo la colazione andremo alla Zisa a visitare il terreno dove sorgerà il progetto. Un luogo pieno di significati e di rimandi per i palermitani, che già è un simbolo di cambiamento. È un baglio contadino, una tradizionale casa agricola chiusa da mura, con annesso terreno, che apparteneva a Leonardo Vitale, il primo «vero», aggiungono i frati siciliani, pentito di mafia. «Più che un pentimento, una conversione – ci tiene a precisare fra Gaspare –, perché l’obiettivo di Leonardo era quello di ottenere il perdono di Dio, pur sapendo che lo avrebbero ucciso». Leonardo era orfano di padre e fu spinto sulla via della criminalità organizzata dall’unica figura paterna che gli era rimasta, suo zio Titta. Un bisogno d’amore e riconoscimento che gli costò la vita. Un destino che appartiene ancora oggi a tanti ragazzi che non hanno una figura di riferimento significativa e cadono nella rete della criminalità.
Parcheggiamo la macchina giusto di fronte al complesso dei Cappuccini, noto ai turisti per le famose catacombe con i corpi imbalsamati tra il XVII e il XIX secolo. A destra, la chiesa di Santa Maria della Pace, dove Leonardo assistette all’ultima Messa poco prima di essere colpito dai sicari, il 2 dicembre del 1984 (morì il 7); a sinistra, via Siccheria, la strada che conduce all’abitazione dei Vitale, poche centinaia di metri che dividono le ultime case vecchie del quartiere dai moderni palazzoni della Zisa, frutto dell’esplosione edilizia degli anni ’60 e ’70, passata alla storia come il Sacco di Palermo, una ferita urbanistica che ha stravolto l’intera città, eliminando parchi, giardini antichi e ville liberty. Da allora l’organizzazione della città si è capovolta: nei palazzi moderni ci vivono tutt’oggi professionisti, medici, insegnanti, mentre il centro storico è stato a lungo trascurato. E così capita che nello stesso lembo di terra, a poche centinaia di metri di distanza, le aree «borghesi» convivano con i vecchi quartieri semicentrali ad alta densità mafiosa, in una specie di segregazione invisibile eppure evidentissima.
Un ponte tra mondi
La vecchia casa natale di Leonardo sembra una bolla tra questi due mondi. A vederlo da qui, il terreno della proprietà è l’unica lingua di terra verde che ancora resiste al cemento, stretta tra i palazzoni. L’edificio è ormai un rudere e il perimetro irregolare del campo si sviluppa in una striscia lunga e stretta, con al centro un piccolo tempietto esagonale, dedicato alla Vergine Immacolata e a Gesù Misericordioso, i cardini della fede di Leonardo. «A donarci l’intera proprietà è stata suor Maria – afferma fra Gaspare –, sorella di Leonardo, suora clarissa, con la promessa di esaudire il sogno di Leuccio, come lo chiamavano in famiglia, di costruire un centro per i bambini e i ragazzi, perché non abbiano a soffrire quello che ha sofferto lui. Perché abbiano un’altra possibilità».
La casa di Leonardo è proprio nel posto giusto per esaudire quel suo ultimo desiderio. Si trova nella V Circoscrizione che è l’ambito territoriale più abitato dai minori nella città di Palermo. Secondo ultime stime, sono 24.099, di cui 7.322 alla Zisa e 5.951 alla Noce. Marcata anche la presenza di minori stranieri che sono circa un migliaio nei due quartieri. Il progetto è ambizioso: «Non vogliamo un ghetto – spiega fra Gaspare –, ma un luogo aperto ai quartieri e all’intera città di Palermo, che faccia da cerniera tra le tante realtà e situazioni sociali di questo territorio e che sia un punto di riferimento per tutti i ragazzi e le ragazze, un luogo in cui crescere insieme».
Nasce da questo obiettivo l’idea del Parco della Fraternità Leonardo Vitale: «Sarà un polo francescano di spiritualità, cultura, formazione e carità sociale – continua fra Gaspare –, e al contempo un centro ricreativo, una casa per le associazioni sociali del territorio, un presidio per la prevenzione della devianza giovanile». Non a caso il centro è stato progettato dall’architetto Luigi Aggius Vella, come una vera e propria cittadella multifunzionale. Si entrerà dall’ampio parcheggio, che immette in una zona verde con angolo bar e teatro all’aperto, a fianco sorgerà un salone polifunzionale, a destra il centro di ascolto con ampio spiazzo per attività libere, in fondo i campi da gioco: calcio, tennis, basket, padel. Sarà la prova provata che un altro modo di essere e di vivere è possibile.
Un progetto corale
«Il progetto del 13 giugno – spiega fra Giancarlo Zamengo – si focalizzerà sul centro di ascolto, la parte dedicata in modo specifico alla prevenzione del disagio giovanile, e consisterà nella ristrutturazione e nell’ampliamento della vecchia casa di Leonardo, vero cuore del progetto». Al centro di ascolto, accoglienza e aggregazione lavoreranno le associazioni del territorio e alcuni professionisti volontari, come Olga Vicari, neuropsichiatra, che aiuterà a formare l’équipe multidisciplinare e a implementare i metodi operativi: «La prima cosa da fare per prevenire il disagio – spiega Vicari – è capire la funzionalità sociale del ragazzo, cioè come sono le sue relazioni con amici, famiglia, le persone estranee, per delineare un suo profilo e capire come aiutarlo. Spesso il primo segnale di devianza è l’andar male a scuola o l’incapacità di gestire le emozioni, rifugiandosi nell’aggressività. Per alcuni ragazzi potrebbe bastare un accompagnamento scolastico per prevenire il peggio».
Il centro di ascolto farà la differenza per individuare il giusto percorso per ognuno. «Costituiremo un’équipe multidisciplinare per analizzare ogni caso – continua la neuropsichiatra –, ma al contempo assegneremo a ciascun ragazzo un adulto di riferimento, capace di accompagnarlo e orientarlo in questo tempo di grave crisi educativa, dove i genitori per primi hanno grandi difficoltà». Molto importante anche la relazione con le famiglie: «Per indirizzarle, ove necessario, ai servizi sociali e sanitari del territorio, di cui molti non conoscono neppure l’esistenza». Il Parco della Fraternità Leonardo Vitale, già così sulla carta, è molto più che un ponte tra mondi, è l’espressione di un territorio, consapevole dei propri limiti, eppure capace di cambiare, di risollevarsi, di cooperare per salvare i propri figli, senza arrendersi a un destino già scritto. È anche il frutto di un grande sacrificio, fatto in nome della fede, ormai quarant’anni fa, sfidando un nemico potente, quando nessuno osava farlo. A noi la gioia di rendere realizzabile questo sogno a lungo sognato, fratelli accanto a fratelli, seguendo le orme antiche di un Santo che non temeva alcun potere pur di salvare i più piccoli e i più dimenticati.
Segui il progetto su www.caritasantoniana.org.
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