L’eredità di papa Francesco

Francesco ci lascia un fuoco: il fuoco vivo di una fede vissuta nella misericordia e nella giustizia, nell’amore a Dio e al prossimo. Ci lascia l’esempio di una Chiesa che sa dire con Cristo: venite, qui c’è posto per «todos, todos, todos».
07 Giugno 2025 | di

La morte di papa Francesco ha aperto un tempo di riflessione profonda sull’eredità che questo Pontefice venuto «dalla fine del mondo» lascia alla Chiesa cattolica e all’umanità intera. In oltre un decennio di pontificato, Francesco ha impresso un segno indelebile, incarnando un’idea di Chiesa misericordiosa, aperta, umile e coraggiosamente proiettata verso le periferie dell’esistenza. Fin dall’inizio, con gesti e parole semplici – il suo «buonasera» dalla Loggia di San Pietro, la scelta di farsi benedire dal popolo prima di impartire la benedizione – egli ha indicato uno stile nuovo. La sua figura ha trasformato l’immaginario ecclesiale: dalla Chiesa come un «ospedale da campo» che cura le ferite dell’umanità, ai pastori con «l’odore delle pecore» in mezzo al gregge, Francesco ha restituito al Vangelo il volto della misericordia, della vicinanza e della tenerezza.

L’eredità spirituale

Al cuore dell’eredità spirituale di papa Francesco c’è la misericordia. «Il nome di Dio è Misericordia», ha ripetuto innumerevoli volte, richiamando la Chiesa alla tenerezza verso ogni persona ferita e peccatrice. Nel 2016 indisse uno storico Giubileo straordinario della Misericordia, per sottolineare che il perdono e la compassione sono il centro del messaggio cristiano e l’unica via per una Chiesa credibile. 
Francesco ha mostrato che la misericordia non è indulgenza facile, ma amore esigente: chiama alla conversione proprio attraverso l’accoglienza. Diceva che la confessione non dev’essere una «sala di tortura», ma piuttosto l’abbraccio di Dio che risolleva. E insisteva che tutti – ma proprio tutti – devono poter fare esperienza di questo abbraccio: todos, todos, todos, ripeteva, a indicare che nessuno dev’essere escluso dalla comunità ecclesiale.

Accanto alla misericordia c’è un altro pilastro della spiritualità di Francesco: il discernimento. Da gesuita, ha portato nel governo della Chiesa l’arte ignaziana di cercare e trovare Dio in tutte le cose, leggendo la realtà alla luce dello Spirito. Ha incoraggiato i credenti a formarsi una coscienza capace di valutare caso per caso le situazioni, lontano sia dalla rigidità del legalismo sia dal relativismo. Ad esempio, nella pastorale familiare ha proposto di accompagnare con discernimento anche le situazioni «irregolari», riconoscendo che la vita è spesso complessa e che le anime vanno guidate passo passo, con misericordia e verità. Questo approccio ha restituito al messaggio evangelico il suo dinamismo, evitando di ridurlo a una morale fredda e astratta.

Infine, la fratellanza universale è parte integrante dell’eredità spirituale di Francesco. Nel solco del santo di cui ha portato il nome, egli ha ricordato costantemente che siamo tutti fratelli e sorelle, figli di un unico Padre. Lo ha ribadito nell’enciclica Fratelli tutti, dedicata proprio alla fraternità e all’amicizia sociale, e in gesti profetici come lo storico incontro di Abu Dhabi del 2019, in cui ha firmato con il Grande Imam di Al-Azhar un documento sulla fratellanza umana. Per Francesco la fratellanza non è uno slogan retorico, ma una spiritualità concreta: significa riconoscere Cristo nel volto del migrante, del diverso, perfino del nemico, e abbattere muri di diffidenza e odio. In un mondo lacerato, ha invitato la Chiesa a essere fermento di riconciliazione, a partire dalla consapevolezza di quella fraternità radicale che ci unisce tutti.

La riforma ecclesiale

Se l’eredità spirituale di Francesco è evidente, altrettanto lo è la sua opera di riforma ecclesiale. Egli non concepiva la riforma come un semplice ritocco strutturale, ma come una conversione dei cuori e della mentalità ecclesiale. La parola chiave è stata «sinodalità»: Francesco ha rilanciato con forza l’idea di una Chiesa sinodale, cioè un popolo di Dio che cammina insieme nella storia, ascoltandosi reciprocamente sotto la guida dello Spirito Santo. Nei sinodi dei vescovi da lui convocati – sulla famiglia, sui giovani, sull’Amazzonia e sulla sinodalità stessa – ha promosso un metodo di ascolto e dialogo franco, coinvolgendo non solo i vescovi ma anche la voce dei fedeli a tutti i livelli. La recente apertura della partecipazione sinodale anche a laici e donne con diritto di voto è il frutto maturo di questa visione: un evento impensabile fino a pochi anni fa, segno di una Chiesa che vuole davvero camminare insieme senza esclusioni.

Parallelamente, Francesco ha ingaggiato una lotta decisa contro quello che lui chiamava «indietrismo», cioè la tentazione di rifugiarsi in un passato idealizzato e di arretrare rispetto alle riforme del Concilio Vaticano II. Per lui tornare indietro significava tradire lo Spirito del Risorto che spinge la Chiesa in avanti. Ha messo in guardia da un atteggiamento nostalgico e rigido, che rifiuta lo sviluppo e si chiude alle sorprese di Dio. Al contrario, ha sempre insistito sulla fedeltà dinamica: essere fedeli alla Tradizione viva significa saper cambiare per restare aderenti al Vangelo. In quest’ottica, l’orizzonte del Concilio Vaticano II è stato la stella polare di tutto il pontificato di Francesco: ogni sua riforma – dalla semplificazione delle procedure matrimoniali alla trasparenza economica, dalla riorganizzazione della Curia romana alla promozione del dialogo ecumenico – è nata dal desiderio di attuare il Concilio nel presente, senza tornare indietro.

Un capitolo importante della riforma di Francesco è poi la valorizzazione dei laici e delle donne nella Chiesa. Egli ha combattuto con forza il clericalismo, definendolo una perversione e invitando i pastori a non sentirsi superiori ai laici. Ha aperto alle donne ministeri un tempo riservati ai soli uomini e ha nominato numerose donne in ruoli di responsabilità in Vaticano – consigliere, sottosegretarie, prefetti di dicastero – dando un segnale concreto di cambiamento. Per la prima volta nella storia moderna, donne e uomini laici hanno trovato spazio nelle strutture decisionali ecclesiali accanto ai chierici. Non si tratta di una «quota» simbolica, ma del riconoscimento che lo Spirito soffia dove vuole e distribuisce carismi a tutti i battezzati. La Chiesa sognata da Francesco è profondamente sinodale e inclusiva: una comunità in cui ogni membro, uomo o donna, prete o laico, giovane o anziano, può dare il proprio contributo alla missione comune.

La visione sociale e geopolitica

La dimensione sociale e geopolitica è un altro cardine dell’eredità di papa Francesco. Fin dall’inizio del pontificato egli ha manifestato una predilezione per i poveri e gli emarginati, coerente con la scelta del nome Francesco, ispirato al Poverello di Assisi. «Come vorrei una Chiesa povera e per i poveri!», aveva esclamato poco dopo l’elezione, e questo desiderio è rimasto il filo rosso di tutte le sue azioni. Ha portato l’attenzione del mondo sulle periferie dimenticate: la sua prima visita apostolica, simbolicamente, fu a Lampedusa, alle porte dell’Europa, dove denunciò la «globalizzazione dell’indifferenza» di fronte ai migranti che muoiono in mare. Da allora non ha mai smesso di alzare la voce per chi non ha voce: i poveri, i rifugiati, gli scartati dalla società. Ha istituito la Giornata Mondiale dei Poveri e spesso, lontano dai riflettori, si recava a trovare carcerati, malati, senzatetto, ricordando che nel volto dei poveri brilla il volto di Cristo. L’«opzione preferenziale per i poveri» non è mai stata per Francesco un tema astratto di dottrina sociale, ma un impegno quotidiano e concreto.

Allo stesso modo, papa Francesco ha dato nuovo slancio all’impegno per la custodia del creato, intrecciandolo indissolubilmente con la giustizia verso gli ultimi. Nell’enciclica Laudato si’ (2015) ha sviluppato la visione di un’«ecologia integrale»: tutto nel mondo creato è connesso, e non si può difendere l’ambiente senza ascoltare il grido dei poveri, né proteggere i deboli ignorando il degrado del pianeta. Questo documento ha avuto un impatto enorme anche fuori dai confini ecclesiali, influenzando il dibattito globale sul clima e ispirando iniziative ecologiche in tante comunità cristiane. Francesco ha chiamato tutti – credenti e non – a una conversione ecologica, a rivedere i propri stili di vita alla luce del rispetto per la «casa comune». Ha ricordato che il creato non è una risorsa da sfruttare, ma un dono prezioso di Dio da custodire con gratitudine e sobrietà, per le generazioni presenti e future.

Di fronte a conflitti e guerre, Francesco ha parlato senza mezzi termini di una «terza guerra mondiale a pezzi» che si sta consumando nel nostro tempo, invocando instancabilmente soluzioni di dialogo e riconciliazione. Si è speso come mediatore in diverse crisi – memorabile il suo ruolo nel disgelo tra Stati Uniti e Cuba – e ha promosso incontri di preghiera per la pace, riunendo leader di diverse fedi ad Assisi e in Vaticano. Ha denunciato con forza la corsa agli armamenti e le ingiustizie che alimentano i conflitti. Il suo viaggio apostolico in Iraq nel 2021, in mezzo alle macerie di una guerra decennale, o gli appelli accorati per la Siria e l’Ucraina dilaniate dai combattimenti, testimoniano il desiderio di una Chiesa che non resta spettatrice, ma scende nelle trincee del dolore umano per portare consolazione e costruire ponti di pace. In un mondo globale e complesso, papa Francesco ha ridato alla Chiesa una parola autorevole nel dibattito etico mondiale: una parola sempre schierata dalla parte della dignità umana, della solidarietà e della nonviolenza.

Dal «prodotto» al «processo»

L’aspetto forse più innovativo del pontificato di Francesco è stato questo cambio di paradigma, da una Chiesa concepita come «prodotto» finito a una Chiesa vissuta come «processo» in divenire. Amava ripetere che «il tempo è superiore allo spazio»: più importante dei risultati immediati o del possedere spazi di potere è mettere in moto processi che maturano col tempo. In concreto, Francesco ha privilegiato l’ascolto, la semina paziente, l’accompagnamento graduale, piuttosto che l’imposizione dall’alto di soluzioni preconfezionate. La Chiesa immaginata da lui è una Chiesa «in uscita», non ripiegata su se stessa, che cammina nella storia con coraggio evangelico. Per Francesco la dottrina non era un deposito inerte, ma un corpo vivo che si approfondisce nella comprensione e si incarna nelle sfide nuove, senza tradirne l’essenza. In tal senso ha incoraggiato una teologia saldamente ancorata alla Tradizione e al Concilio Vaticano II, ma altrettanto pronta a farsi carico – con creatività pastorale – delle domande urgenti del nostro tempo. È la logica dell’aggiornamento conciliare portata alle estreme conseguenze: una fedeltà dinamica che preferisce il rischio di avviare percorsi nuovi alla comoda illusione di conservare un passato che non c’è più.

L’eredità di papa Francesco non si presenta dunque come un elenco di istruzioni concluse, ma come un cammino aperto. Francesco ci lascia un fuoco, non delle ceneri: il fuoco vivo di una fede vissuta nella misericordia e nella giustizia, nell’amore a Dio e al prossimo. Ci lascia una Chiesa avviata su sentieri di rinnovamento, meno autoreferenziale e più «ospedale da campo» per l’umanità ferita, più sinodale e fraterna, più povera e vicina ai poveri, più custode del creato e voce di pace. Soprattutto, ci lascia l’esempio di una Chiesa che sa dire con Cristo: venite, qui c’è posto per todos, todos, todos. Raccogliere questa eredità significa continuare a camminare su quella strada, con lo stesso coraggio e la stessa fiducia nello Spirito, perché il processo di rinnovamento avviato da papa Francesco continui a portare frutto nel futuro della Chiesa e del mondo.

Prova la versione digitale del «Messaggero di sant'Antonio»! 

Data di aggiornamento: 07 Giugno 2025
Lascia un commento che verrà pubblicato