Addio, arrivederci, ciao. Saluti di cuore!
Il più decisivo e definitivo dei saluti, addio, nasce da un’accorata espressione idiomatica: «A Dio ti raccomando». Poi, seguendo la legge del raddoppiamento sintattico, «A Dio» è diventato «addìo», e ha perso, insieme con la raccomandazione, anche il riferimento religioso. Sempre seguendo le leggi del raddoppiamento, anche il nostro arrivederci è nato da un arcaico «a rivederci».
I saluti che ci scambiamo sono molti, compresi quelli che mettiamo a conclusione di una lettera o di una mail. A questo proposito è interessante notare come il composto e distaccato cordiali saluti significhi in realtà saluti che vengono dal cuore: in latino cor, cordis.
Il più italiano e universalmente noto dei saluti è certamente ciao. Ben sappiamo come un saluto così disinvolto nasca da una leziosaggine settecentesca. Come leggiamo in tante commedie goldoniane, una sorta di saluto-omaggio era a quei tempi «schiavo vostro», in veneto sciavo vostro, presto contratto in sciao vostro; poi, eliminando l’aggettivo possessivo, semplicemente sciao. Negli anni, il saluto passò i confini veneti verso ovest, e arrivò in Lombardia. I Lombardi, gente spiccia, buttarono subito via la s iniziale, ed ecco quell’agilissimo e simpatico ciao che, varcati mari e monti, si è fatto cosmopolita. Qual è la parte del mondo in cui oggi non si riconosca un ciao?
Tornando al nostro iniziale addio, oltre che un saluto confidenziale è anche l’incipit del più famoso monologo interiore della letteratura italiana: «Addio, monti...». E quando non è un’interiezione di saluto, può diventare un sostantivo: «un addio», «tanti addii»; non troppi, speriamo. E c’è pur sempre l’augurio che anche il più deciso degli addii possa domani trasformarsi in un arrivederci.