Armenia, civiltà antica e feconda
Pensando all’Armenia, dove papa Francesco è in visita dal 24 al 26 giugno, non si può non ricordare la tragedia immensa del genocidio che da cent’anni ha oscurato l’immagine tradizionale di questa nazione. Nei secoli passati gli armeni venivano dovunque considerati come un pacifico popolo di monaci, mercanti e letterati, come si può constatare, per esempio, dalla lunga storia dei loro rapporti con Venezia.
Oggi siamo di fronte all’immagine di un popolo-vittima, le cui indescrivibili sofferenze sono state il modello per altri genocidi, prima tra tutti la Shoah ebraica. Le connessioni fra il Metz Yeghèrn armeno (il Grande Male lo chiamarono i sopravvissuti) durante la prima guerra mondiale, e la tragedia degli ebrei durante la seconda, sono numerose e impressionanti, e sono state convalidate da molte testimonianze scoperte di recente.
Dimenticato per tanti anni, di questo sanguinoso olocausto negli ultimi tempi si è finalmente incominciato a parlare, e l’opinione pubblica è ormai abbastanza consapevole degli eventi che iniziarono nella primavera del 1915, e dell’«estate di sangue» che seguì, causando la morte – già secondo testimoni contemporanei – di circa un milione e mezzo di persone, sui poco più di due milioni della minoranza armena nell’Impero ottomano.
Il dolore di un popolo
L’anno scorso in tutto il mondo si è commemorato il centenario di questi fatti, e le numerose e influenti comunità della diaspora, insieme alle autorità e al popolo dell’attuale repubblica indipendente ex sovietica, hanno ancora una volta affrontato il dolore immenso di un popolo decimato, i cui discendenti tuttora ricercano con amara testardaggine le tracce di legami spezzati un secolo fa, di parenti dispersi qua e là nel vasto mondo, di una lingua meravigliosa e colta che pian piano si offusca nella realtà della dispersione diasporica.
L’elaborazione di un lutto di questa ampiezza richiede comunque tempi assai lunghi. Ma nel caso armeno la ferita non è ancora cicatrizzata, né lo sarà in un prossimo futuro: mentre infatti la Germania ha riconosciuto il genocidio ebraico e ha pagato, almeno in parte, il suo debito di sangue, la Turchia attuale, che pur rappresenta una totale discontinuità rispetto all’Impero ottomano, combatte attivamente e con ogni mezzo il riconoscimento della realtà del genocidio armeno o la diffusione di notizie su questo tema (libri, film, documentari, saggi...). Il sogno dei governanti di Ankara (per fortuna fallito) era che continuasse il silenzio assordante che per decenni aveva coperto le fievoli voci dei sopravvissuti.
Una grande civiltà
Ma Armenia vuol dire ben altro. Nella sua terribile pervasività, il genocidio ha oscurato la realtà di una nazione di antica e feconda civiltà, che non a caso è stata definita «il popolo-ponte tra Oriente e Occidente», capace di una durata e di una resilienza civile e culturale senza paragone. E non è un caso neppure che il simbolo che la definisce sia l’Ararat, la maestosa cima dove, secondo la leggenda, si posò l’arca di Noè. Nella fertile pianura che si stende davanti a quella montagna sacra, già in epoche antichissime si coltivava la vite (la più antica pressa da vino, risalente a più di 5.000 anni, è stata scoperta in una caverna proprio là dall’archeologo Grigor Areshian).
Il popolo armeno, di stirpe e linguaggio indoeuropeo, si stanziò migliaia di anni fa nelle zone intorno all’Ararat e ai tre grandi laghi di montagna di Van, Sevan e Urmià, e ivi costruì un grande regno che non fu mai sottomesso, ma divenne alleato di Roma. La conversione al cristianesimo, avvenuta intorno al 301 d.C., segna per gli armeni un punto di non ritorno: intorno alla fede cristiana si delineò l’identità della nazione, e la lingua rivelò la sua eccezionale duttilità e ricchezza, grazie al sogno visionario del monaco Mesrop Mashtots, che inventò il bellissimo alfabeto di trentotto lettere, unico al mondo, che sembra un intricato, originalissimo merletto.
L’articolo completo nelle versioni cartacea e digitale del Messaggero di sant’Antonio.
Tutte le tappe del viaggio del Papa in Armenia dal sito del Vaticano.