A caccia di asteroidi
Il genere cinematografico disaster movie privilegia spesso trame tanto avvincenti quanto spaventose in cui un asteroide minaccia di colpire il nostro pianeta con esiti devastanti, fino al limite dell’estinzione di massa. Basti citare film come Armageddon, Deep Impact e il più recente Don’t look up. Al di là della finzione, statisticamente quali rischi corre davvero il nostro pianeta, e quali strumenti adotta la comunità internazionale per prevenire un’eventuale collisione tra gli asteroidi e la Terra? Uno dei nostri angeli custodi è la professoressa Monica Lazzarin, docente di Astrofisica del Sistema Solare al Dipartimento di Fisica e Astronomia dell’Università di Padova, e responsabile della Missione spaziale Ramses dell’ESA (Agenzia Spaziale Europea) per lo studio dell’asteroide Apophis che nell’aprile del 2029 dovrebbe sfiorare la Terra, passando ad appena 31mila chilometri dal nostro pianeta, cioè a circa un decimo della distanza che separa la Terra dalla Luna, e dunque a un’altezza inferiore a quella dei nostri satelliti geostazionari che si trovano a 36 mila chilometri dal nostro pianeta. Insomma sarà un incontro ravvicinatissimo che, però, non preoccupa gli scienziati.
Msa. Il nostro pianeta convive da milioni di anni con gli asteroidi. Eppure molti film di successo hanno cavalcato le nostre paure più recondite.
Lazzarin. Sì, il cinema ha costruito tante storie intorno all’idea dell’asteroide o della cometa che si dirigono verso la Terra. Tuttavia un evento di questo tipo è estremamente raro poiché gli impatti di asteroidi di grandi dimensioni, in grado di causare un’estinzione di massa, accadono con una frequenza di decine di milioni di anni. La possibilità di assistere a un evento catastrofico di questo tipo è praticamente nulla. È pur vero che noi non abbiamo contezza di tutti gli oggetti che potrebbero arrivare sul nostro pianeta. Conosciamo circa il 90% degli asteroidi con un diametro maggiore di 1 chilometro mentre ci è noto solo il 10% di quelli con un diametro attorno ai 100 metri che possono essere causa di disastri, a livello locale, anche molto rilevanti. Questo, però, non significa che non ci siano rischi più modesti, dato che questi dipendono dalla dimensione di un asteroide. Ricordiamo che ogni giorno il nostro pianeta viene colpito da centinaia di tonnellate di polveri e di piccoli frammenti cosmici che, per fortuna, bruciano entrando nella nostra atmosfera creando le cosiddette stelle cadenti. Soltanto una piccola parte di questi asteroidi raggiunge il suolo oppure esplode nell’atmosfera quando le loro dimensioni sono maggiori, com’è successo a Čeljabinsk, in Russia, nel 2013. Sono asteroidi che hanno un diametro di qualche decina di metri, ma liberano quantità di energia molto rilevanti.
Chi monitora questi asteroidi?
Da molti anni la comunità scientifica internazionale ha messo in campo una rete globale di sorveglianza che, al vertice, viene gestita dalla NASA (Agenzia spaziale americana) e dall’ESA, in collaborazione con tutti gli Osservatori astronomici del mondo; tra questi anche l’Osservatorio di Asiago (Vicenza). Quando un nuovo oggetto viene individuato, viene calcolata la sua orbita, viene confrontata con l’orbita della Terra, e se esiste una minima possibilità che le due orbite possano incrociarsi, l’oggetto entra in un sistema di monitoraggio, il SENTRY, così la NASA e l’ESA aggiornano continuamente le possibilità d’impatto (con la Scala Palermo che valuta i diversi gradi di rischio e le conseguenze del potenziale impatto di un asteroide, e con la Scala Torino che stabilisce i livelli di comunicazione al pubblico dei rischi dell’impatto di un asteroide o di una cometa, ndr). Se vengono superate certe soglie, scatta immediatamente un avviso alla rete internazionale che si chiama IAWN (International Asteroid Warning Network). Questa coordina la comunicazione tra le varie agenzie spaziali, le autorità civili e l’Onu che supervisiona tutta la situazione. Esiste insomma un protocollo ufficiale di difesa planetaria strutturato con strumenti di previsione. Quindi siamo relativamente protetti da una serie di reti di Osservatori che scandagliano il cielo ogni notte, e altre reti dedicate, come FLYEYE e NEOMIR, verranno presto aggiunte. Perciò impatti devastanti sono eccezionalmente rari. Mentre invece i piccoli meteoriti che vediamo cadere ogni notte sono parte di un fenomeno naturale costante che avviene continuamente.
Quali protocolli regolano l’attività di monitoraggio, e come viene gestita una potenziale minaccia?
Dal 2013 l’Onu ha riconosciuto la difesa planetaria come una responsabilità scientifica condivisa, e ha creato due organismi di coordinamento globale. Uno è appunto la IAWN che raccoglie e diffonde gli allarmi. E un altro organismo, lo SMPAG (Space Mission Planning Advisory Group) valuta possibili azioni di risposta a questi allarmi. Entrambi gli organismi operano sotto la supervisione dell’Ufficio delle Nazioni unite per gli Affari spaziali. A queste attività partecipano la NASA, l’ESA, l’agenzia spaziale giapponese JAXA, l’agenzia spaziale cinese CNSA e altre agenzie spaziali. Quando viene scoperto un nuovo asteroide, la sua orbita viene immediatamente calcolata da centri che sono associati al JPL (Jet Propulsion Laboratory) della NASA o anche al NEOCC (Near-Earth Objects Coordination Center) dell’ESA-ESRIN che si trova in Italia, a Frascati (Roma). Se sussiste una minima possibilità di passaggio ravvicinato di un oggetto alla Terra, allora l’asteroide entra nella Risk List che raccoglie un elenco degli asteroidi potenzialmente pericolosi, che non presentano possibilità d’impatto, ma solo probabilità remote. La Risk List è gestita dalla NASA e dall’ESA. La probabilità d’impatto di un asteroide contro la Terra viene aggiornata costantemente, com’è successo l’anno scorso con l’oggetto 2024YR4 che aveva una probabilità del 3% di impattare, e immediatamente è scattato l’allarme. Tutti abbiamo cominciato subito a osservarlo e a tenerlo monitorato. L’allarme si attiva se l’oggetto ha determinate caratteristiche: un diametro stimato superiore ai 10 metri, e una probabilità d’impatto maggiore dell’1% entro i successivi 100 anni. Altrimenti viene monitorato con meno interesse. In caso di allarme, la IAWN emette una notifica all’Onu e ai vari governi mentre lo SMPAG valuta se esistano dei margini per una missione di deviazione della traiettoria dell’asteroide, sperando che ciò sia possibile nel momento in cui il rischio si manifesta. Il preavviso dipende dalle dimensioni dell’asteroide. Se le dimensioni sono di qualche chilometro, le osservazioni possono durare anche alcuni decenni. E quindi c’è tutto il tempo per poterlo monitorare. Altri asteroidi, invece, non siamo purtroppo in grado di individuarli, dato che sono troppo piccoli, come quello caduto a Čeljabinsk, e ci arrivano all’improvviso.
Che differenza c’è tra un asteroide e un meteorite? E tra un asteroide e una stella cadente?
Sono momenti diversi della vita di uno stesso oggetto. L’asteroide è il progenitore: un corpo roccioso di varie dimensioni che va da qualche metro a centinaia di chilometri. Il più grande asteroide è Cerere, scoperto nel 1801 da Giuseppe Piazzi, proprio qui in Italia. Cerere è fatto di rocce e di altri materiali di tipo carbonaceo. Ha un diametro medio di 940 chilometri. La maggior parte di questi oggetti si trova nella fascia degli asteroidi tra Marte e Giove. E quindi restano nello spazio senza entrare nell’atmosfera terrestre. Alcuni pezzetti di questi asteroidi o delle comete si chiamano meteoroidi e hanno dimensioni più piccole: vanno dai granelli di polvere fino a qualche metro. Questi possono incrociare l’orbita terrestre e cadere nella nostra atmosfera. È a quel punto che diventano meteore, che noi vediamo come fenomeni luminosi, prodotti da questi meteoroidi quando entrano nell’atmosfera. A causa del fortissimo attrito evaporano producendo queste scie luminose, e appaiono come stelle cadenti, visibili per pochi secondi. Quando le meteore sono particolarmente grandi, da qualche decina di centimetri ad alcuni metri di diametro, si chiamano bolidi, come quello caduto a Čeljabinsk. Questi bolidi durano qualche secondo in più delle stelle cadenti, e illuminano il cielo in modo più significativo. Infine, quello che cade sulla Terra si chiama meteorite ed è materiale gratuito che ci arriva dallo spazio senza dover pianificare missioni per andarlo a recuperare, e che ci aiuta a capire come sono fatti questi oggetti.
Cosa caratterizza una stella cadente rispetto a una cometa?
La stella cadente è il pezzetto di asteroide che entra nella nostra atmosfera e che si brucia nell’impatto. L’attrito con l’atmosfera provoca questo riscaldamento violento e la vaporizzazione formando una scia come quella che vediamo a occhio nudo. La cometa invece è un altro oggetto spaziale piccolo, che somiglia a un asteroide ma è costituito oltre che da rocce anche da altri materiali di tipo organico e da molto ghiaccio, soprattutto ghiaccio d’acqua. Viene chiamata stella cometa perché, quando arriva in prossimità del sole, questi ghiacci sublimano (passano dallo stato solido a quello gassoso, ndr), tanto che attorno a questo asteroide si forma un’enorme chioma che può essere grande anche centinaia di migliaia di chilometri. La cometa, a differenza della stella cadente, non impatta contro l’atmosfera terrestre, ma segue un’altra traiettoria rispetto ai meteoriti.
Lei è responsabile della Missione spaziale Ramses dell’ESA per lo studio dell’asteroide Apophis. Quali obiettivi avete?
Ramses è la seconda Missione di difesa planetaria, dopo la Missione Hera attualmente in viaggio verso una coppia di asteroidi, Didymos e Dimorphos; Missione di cui Ramses è in qualche modo una copia perché abbiamo pochissimo tempo per allestirla, nemmeno tre anni. Ramses rappresenta un’occasione unica per poter studiare un asteroide molto da vicino, visto che sfiora la Terra, e di osservare gli effetti delle potenti forze gravitazionali che la Terra eserciterà su Apophis. È un evento che avviene ogni svariate migliaia di anni. Apophis è un asteroide di notevoli dimensioni con i suoi 340 metri di diametro. Ed è rarissimo che un oggetto così grande si avvicini così tanto al nostro pianeta. La Missione Ramses partirà nell’aprile del 2028 e arriverà vicino ad Apophis due mesi prima del suo massimo avvicinamento alla Terra per poi accompagnare Apophis lungo la sua orbita fino al mese di agosto dello stesso 2029. Così riusciremo a studiare tutti i possibili cambiamenti che possono avvenire su questo oggetto prima, durante e dopo la data del suo massimo avvicinamento alla Terra. Questo ci insegnerà anche quali sono le migliori strategie da adottare per salvare il nostro pianeta da possibili futuri impatti di asteroidi.
Potremo vedere Apophis?
Sì, ci passerà talmente vicino che almeno 2 miliardi di persone potranno osservarlo a occhio nudo, soprattutto in Europa, in Nord Africa e in Asia occidentale. Non a caso, l’Onu ha dichiarato il 2029 «Anno internazionale della consapevolezza degli asteroidi e della difesa planetaria».
Dobbiamo sentirci in pericolo?
Apophis non colpirà la Terra. Passerà in modo innocuo vicino al nostro pianeta senza causare alcun danno. Conosciamo la traiettoria di Apophis con grande precisione poiché lo monitoriamo dal 2004.
Se un asteroide come Apophis colpisse la Terra, cosa accadrebbe?
Se un asteroide simile ad Apophis, che ha un diametro di 340 metri e una massa stimata di circa 50 milioni di tonnellate, dovesse colpire il nostro pianeta, farebbe danni molto importanti perché impatterebbe a una velocità di circa 30 chilometri al secondo, sprigionando un’energia equivalente – tanto per dare un ordine di grandezza – a decine di migliaia di volte quella prodotta dalla bomba atomica sganciata su Hiroshima. Bisogna ricordare che un impatto del genere non provocherebbe un’estinzione di massa globale, che può essere causata da asteroidi che superano il chilometro di diametro. Tuttavia, avrebbe comunque effetti catastrofici a livello locale: un cratere dai 4 ai 6 chilometri di diametro, onde sismiche, onde d’urto e incendi che cancellerebbero ogni cosa nell’area circostante, una devastazione estesa per centinaia di chilometri, tsunami nel caso in cui l’asteroide cadesse in mare. E avremmo anche un temporaneo raffreddamento locale o globale della temperatura dovuto all’enorme quantità di polveri sollevate in atmosfera dall’impatto. Però le probabilità di un impatto del genere sono virtualmente nulle. Almeno per i prossimi cento anni non corriamo pericoli che oggetti di questo tipo possano impattare contro il nostro pianeta. Tuttavia non abbiamo la totale visibilità degli oggetti più piccoli, come quelli di 10 metri o 20 metri, simili a quello caduto a Čeljabinsk. Non riusciamo a individuare quegli oggetti con sufficiente anticipo, per cui ci possono arrivare anche all’improvviso. Per questo le reti di osservazione devono essere ampliate, cosa che stiamo facendo con nuovi telescopi e infrastrutture proprio per tenere monitorato costantemente il cielo sopra e attorno a noi.
L’ISS (Stazione Spaziale Internazionale) correrà qualche rischio?
No, perché gravita a 400 chilometri dalla Terra. L’ISS corre più pericoli con i detriti dei satelliti che sono stati messi in orbita in questi decenni, o con i piccoli meteoriti. Comunque l’ISS è ricoperta di materiale protettivo e, in caso di emergenza, può effettuare delle manovre per spostarsi in modo da evitare possibili impatti quando vengono rilevati oggetti potenzialmente pericolosi sulla sua traiettoria. I detriti spaziali rimangono comunque, ad oggi, un importante problema da risolvere visto anche il numero crescente di satelliti lanciati attorno al nostro pianeta.
Il nome di Apophis richiama quello della divinità egizia del caos. Chi sceglie, e con quali criteri, i nomi degli asteroidi?
Quando l’asteroide è stato scoperto, nel 2004, da Roy Tucker, David Tholen e Fabrizio Bernardi dell’Osservatorio di Kitt Peak, in Arizona (Stati Uniti), decisero loro di dargli il nome Apophis, dio del caos. All’epoca avevamo il 4% di probabilità che nel 2029 Apophis avrebbe impattato contro la Terra, ed eravamo tutti molto preoccupati. Dopodiché l’Unione Astronomica Internazionale approvò quel nome in ossequio alle regole ufficiali che disciplinano la nomenclatura dei corpi minori del Sistema Solare. In generale, il diritto di proporre il nome di un asteroide spetta a chi lo ha scoperto, una volta che la sua orbita è stata determinata con precisione e che il Minor Planet Center assegna all’asteroide il numero iniziale. Poi viene ulteriormente affinato il calcolo dell’orbita, il numero dell’asteroide diventa definitivo, e successivamente viene proposto il suo nome proprio, che viene poi valutato e approvato da un gruppo di lavoro dell’Unione Astronomica Internazionale.
Nel 2022 lei ha partecipato alla Missione Dart della NASA. In quel caso, qual era la minaccia, cosa avete fatto per contrastarla, e con quale esito?
La Missione Dart (dardo in inglese, ndr) nasce da un accordo internazionale tra la NASA e l’ESA, volto a costruire insieme due Missioni: la Dart, della NASA finalizzata a colpire un asteroide per cercare di deviarne la traiettoria; e successivamente la Missione Hera dell’ESA di cui abbiamo lanciato la sonda il 7 ottobre 2024 da Cape Canaveral, ed è attualmente in volo per andare a studiare in maniera più precisa gli esiti della prima missione. La Missione Dart non è collegata a una minaccia vera e propria. È un esperimento controllato, cioè il primo tentativo concreto nella storia dell’umanità di deviazione di un asteroide a scopo difensivo. Dart fu lanciata nel 2021 dalla Nasa e aveva appunto l’obiettivo di colpire un piccolo oggetto che si chiama Dimorphos, di circa 150 metri di diametro, che è un piccolo satellite naturale di un altro asteroide un po’ più grande, Didymos, del diametro di circa 780 metri. Abbiamo colpito Dimorphos a circa 11 milioni di chilometri dalla Terra. L’impatto con Dimorphos della nostra sonda, che viaggiava a 6 chilometri al secondo in direzione opposta al moto dell’asteroide, è avvenuto il 26 settembre 2022 con una precisione millimetrica, e ci è servito per verificare una delle possibili tecniche di deviazione di un asteroide, definita come «impatto cinetico». In sostanza, una sonda va a schiantarsi contro l’asteroide usando come spinta solo la massa e la velocità della sonda stessa. L’esperimento ha funzionato perfettamente modificando l’orbita di Dimorphos. L’impatto di Dart, che era una piccola sonda di 570 chilogrammi, ha modificato il periodo orbitale di Dimorphos di oltre 32 minuti, ben oltre le nostre aspettative. Questo non significa che riusciremo a salvare il nostro pianeta nel caso in cui arrivasse un asteroide minaccioso, ma abbiamo imparato che questa tecnica può essere utilizzata ancora, replicata, e se abbiamo abbastanza tempo e con un’adeguata pianificazione, si può anche pensare di deviare un asteroide pericoloso per la Terra, in modo sicuro e controllato senza doverlo far esplodere.
Quando è avvenuto l’ultimo catastrofico impatto di un asteroide contro la Terra?
L’ultimo grande impatto di cui siamo a conoscenza è quello avvenuto 65 milioni di anni fa, e portò all’estinzione dei dinosauri, e non solo. Pose fine al 75-80% delle specie viventi. In quel caso si trattava di un asteroide di 10 o 15 chilometri di diametro che colpì la penisola dello Yucatán, nell’attuale Messico, generando il cratere di Chicxulub del diametro di circa 180 chilometri, e liberando un’energia equivalente a quella di centinaia di milioni di bombe atomiche. L’asteroide sollevò enormi quantità di polveri che oscurarono il sole per mesi, con il crollo delle temperature, la morte della vegetazione, per cui si parla di estinzione globale.
Sulla Terra ci sono tracce di altri eventi simili?
Sì, in Sudafrica, per esempio, c’è il cratere Vredefort che ha un diametro di circa 300 chilometri e risale a oltre 2 miliardi di anni fa. Ce ne sono anche in Canada e altrove. E testimoniano impatti molto importanti di asteroidi contro il nostro pianeta. Tuttavia questi eventi sono estremamente rari, con lassi di tempo di decine o centinaia di milioni di anni tra un evento e l’altro. In tempi più recenti, fortunatamente, non abbiamo registrato eventi catastrofici di questo tipo. Il più famoso è quello di Tunguska, in Siberia, nel 1908. In questo caso si è trattato di un oggetto esploso in aria, forse una cometa, forse un asteroide del diametro di circa 50-60 metri, ovvero la stessa dimensione dell’asteroide che ha provocato il Meteor Crater, 50 mila anni fa, in Arizona, negli Stati Uniti, esploso forse a una decina di chilometri di altezza dal suolo, liberando un’energia molto importante e generando un’onda d’urto che ha interessato 2mila chilometri quadrati di foresta. Si stima che abbia abbattuto 80 milioni di alberi. Nel 2013 è accaduto un episodio simile nei pressi della città russa di Čeljabinsk con un asteroide più piccolo, di 10 o 15 metri di diametro, esploso a circa 30 chilometri di quota, che ha generato un lampo di luce visibile per centinaia di chilometri, e un’onda d’urto che ha frantumato i vetri di migliaia di finestre, causando 1.400 feriti. Questi eventi non sono rari. Avvengono ogni qualche decina di anni. Per fortuna, spesso si verificano sugli oceani o sopra zone disabitate. Per questo stiamo cercando di sviluppare sempre di più la rete di sorveglianza globale per individuare anche oggetti di poche decine di metri che possono provocare notevoli danni a livello locale. Tunguska e Čeljabinsk ci fanno pensare che la difesa planetaria non è fantascienza, ma è proprio una necessità fondata su dati reali.
Oltre ad Apophis, state monitorando qualche altro incontro ravvicinato atteso dopo il 2029?
Apophis non è l’unico asteroide che noi monitoriamo. In prossimità della Terra, e che addirittura ne intersecano l’orbita, ci sono circa 30mila oggetti che si chiamano NEA (Near-Earth Asteroids). Apophis, per esempio, gravita all’interno dell’orbita terrestre. E più di 2.500 di questi oggetti stanno nella classifica PHA (Potentially Hazardous Asteroids) ovvero asteroidi potenzialmente pericolosi. Tuttavia, il fatto che siano tali non significa una pericolosità imminente. La maggior parte di questi corpi non rappresenta alcuna minaccia reale. Tuttavia, noi li seguiamo attentamente perché hanno orbite che cambiano spesso anche a seguito dell’incontro con i campi gravitazionali di pianeti come la Terra e Marte.
A Natale si torna a rievocare la «stella cometa» che guidò i Re Magi a Betlemme. Strutturalmente una cometa è un asteroide, e non una stella, ed è composta in genere da gas ghiacciati come metano, ammoniaca, anidride carbonica oppure è fatta di polvere, con un nucleo, una chioma e una coda. Eppure quella natalizia viene chiamata «stella cometa». Perché?
Le comete sono oggetti molto interessanti perché ci permettono di studiare le nostre origini; l’origine della vita, in particolare, poiché probabilmente sono loro che hanno portato gli ingredienti primordiali sul nostro pianeta da cui poi si è evoluta la vita come la conosciamo; e probabilmente anche buona parte dell’acqua che è sulla Terra. Quando le comete arrivano in prossimità del nostro pianeta formano una chioma luminosa, e questa coda di gas e di polveri può estendersi per milioni di chilometri nello spazio. Per questo possiamo vederle anche a occhio nudo. Il nome cometa deriva da una sovrapposizione linguistica e simbolica. Nell’antichità si chiamavano stelle tutti i punti luminosi nel cielo, e la parola cometa deriva proprio dal greco, e significa chioma dalla lunga capigliatura. Purtroppo in passato le comete erano considerate portatrici di sciagure. Solo in epoca moderna abbiamo capito che sono corpi celesti reali, legati al Sistema Solare. Nessuno sa con certezza quale fenomeno astronomico sia stato la stella di Betlemme. Alcuni ritengono che possa essersi trattato di una congiunzione planetaria, cioè un avvicinamento apparente di due pianeti come accade spesso tra Giove e Saturno, che magari in quel momento erano in apparenza particolarmente vicini. Altri pensano che si sia trattato del passaggio di una cometa visibile a occhio nudo, ipotesi che va per la maggiore: la cometa di Halley passò in quel periodo, nel 12 avanti Cristo, vicino al nostro pianeta, e fu quindi osservata. Oppure, come accade sovente, potrebbe essersi trattato di una nova o di una supernova, cioè l’effetto dell’esplosione di una stella lontana che può essere visibile a occhio nudo anche sulla Terra. Insomma è difficile stabilire con certezza quale sia la natura della stella di Betlemme. Però è sicuramente un simbolo a cui tutti guardano per il suo valore di orientamento e di speranza, di cui abbiamo molto bisogno, non solo in cielo.