Costruiamo «esperienze di soglia»

Oggi c'è davvero bisogno di esperienze innovative, di apertura, nelle quali incrociare la nostra vulnerabilità con quella di altri, rendendola così abitabile.
11 Maggio 2019 | di

«Diceva Hannah Arendt: “Gli uomini e le donne sono fatti per cominciare”». Così il professor Ivo Lizzola, docente di Scienze umane e sociali all’Università degli studi di Bergamo, ha dato il via al suo intervento all’ultimo convegno «Immaginabili Risorse», tenutosi lo scorso ottobre all’Università cattolica del Sacro Cuore, a Milano, e che ora, reduci dalla pausa pasquale, che di «risorgimenti» se ne intende, mi permetto di rispolverare. 

La Pasqua, lo sappiamo, porta con sé la risurrezione, ma anche il senso di una rinascita, di un nuovo divenire possibile. È qualcosa che ci riguarda nel profondo, che sfiora le pieghe della nostra intimità, che tocca il rapporto con il tempo, in particolare quello con il passato, anche se spesso ci dimentichiamo che il nostro agire, che è fatto di piccole scintille, di decisioni, si misura nel presente. Proiettarci nel futuro sarà il passaggio successivo.A volte, questa parola, «futuro», per la persona con disabilità suona più come una minaccia che come un’occasione. È una questione di connessione, a se stessi e al mondo, che spesso viene percepito come distante, un territorio nel quale collocarsi stabilmente è pressoché impossibile. 

Secondo il professor Lizzola, la chiave per andare oltre, anche nella cultura dell’inclusione, sta proprio qui. Parlare di diritti della persona con disabilità, sostiene il docente, è importante e necessario ma non è ciò che  fa la vera differenza. Lo scarto reale scatta quando gli individui divengono «resi possibili» e, soprattutto, cominciano a sentirsi tali. Ciò vale per il singolo ma anche per la società tutta. La capacità di restituire senso al futuro ha oggi un peso politico che, aggiungo io, è quasi inedito.

«Le nostre conoscenze – spiega Lizzola – devono essere inattuali, proiettate sul futuro. Pur essendo in grado di tenere uno sguardo di riconoscenza nostalgico, oggi resta forte il bisogno di “costruire esperienze di soglia” nelle quali incrociare la nostra vulnerabilità con altri, rendendola abitabile. Sentirsi di nuovo “resi possibili” gli uni con gli altri, gli uni accanto agli altri». In questo senso anche la conoscenza acquista una funzione, finisce per diventare una co-nascita, una nascita, cioè, che può cogliere il senso delle cose, delle conquiste, e ciò vale per tutti perché, per l’appunto, si fa insieme. L’inclusione è migliore e più complessa di quello che le derive securitarie delle attuali strategie trattamentali vogliono farci credere, così come la tessitura del quotidiano. È necessario che ce lo ricordiamo.

Bisogna fare riferimento al generativo e non al distruttivo e restare aperti, capaci di convivere. «Convivere con la diversità – sottolinea ancora Lizzola – è convivere con un’esposizione. Dobbiamo offrire luoghi aperti come passaggio in avanti per l’attraversamento. Dipende da chi abbiamo accanto la nostra capacità di tornare a sentirsi qualcuno. La comunità è anche questo movimento, questo attraversamento, trovarsi in prossimità per sopportare insieme». E, concludo io, per rinascere, obbligandoci alla novità, all’imprevisto. Su questo oggi, a mio parere, dobbiamo lavorare quando parliamo di inclusione.

E voi, di quante rinascite siete stati protagonisti o testimoni? Scrivete a claudio@accaparlante.it o sulla mia pagina Facebook

 

Puoi leggere questo e gli altri articoli del numero di maggio 2019 nella versione digitale del Messaggero di sant'Antonio!

Data di aggiornamento: 13 Maggio 2019
Lascia un commento che verrà pubblicato