Crimini del futuro
Saul Tenser, un artista di body art con il corpo inciso e offerto come opera estetica, produce tumori che la sua bella assistente, Caprice, esamina, preleva ed espone per un pubblico di voyeur raffinati e perversi. Il tutto avviene in cripte greche, come in un culto esoterico. Grumi di cellule atipiche e deviate aspirano a diventare tessuti stabili, organi e apparati funzionanti, pronti per essere registrati e brevettati. Sulle nuove cellule si possono scrivere, con un tatuaggio interno, nomi e numeri per un inventario meticoloso. Saul e Caprice formano una coppia affiatata che gioca questa pericolosa performance come una danza spettrale, con brividi di godimento masochistico, ipnotizzati dall’avventurosa impresa di farsi dèi. Intanto una nuova specie umana si sta formando, capace di digerire le scorie industriali e di accumulare più forza di prima. I mutanti sono eversori del vecchio ordine e infatti sono inseguiti dalla polizia («Unità Nuovo Vizio»), ma sono anche profeti di un inedito equilibrio cosmico ormai necessario.
Il film Crimes of the Future (2021) di David Cronenberg (nato in Canada nel 1943), con Viggo Mortensen, Léa Seydoux, Kristen Stewart, suggella una nuova era della bioetica, parlandoci, attraverso immagini in movimento, del post-umano e del nostro destino di cyborg, ossia di esseri umani in cui sono stati trapiantati protesi meccaniche, congegni informatici, organi provenienti da altri corpi. È un film per stomaci forti e intelligenze adulte (bollino rosso: la pellicola può urtare la vostra sensibilità!). È un film duro, orribile e fascinoso, che rappresenta una vita umana ormai medicalizzata, eccitata sensualmente dal taglio di un bisturi, obbligata a nutrirsi dei rifiuti plastici con cui devastiamo terre e acque, esposta allo sguardo ossessivo di endoscopie, ecografie, angiografie, trasformata in cavia dannata e consenziente di sperimentazioni bio-chirurgiche, infiammata nei visceri al punto da produrre continuamente tumori come figli clonati, doppioni del proprio sé.
Cronenberg ha sempre proposto figure leali e impietose in merito alla creazione continua, al corpo-cosmo restaurato e trasformato dalla tecnica: dottori che coltivano parassiti gastrici con funzioni umane (Shivers-Il demone sotto la pelle, 1975), duelli telepatici tra uomini il cui cervello scansiona messaggi e li trasferisce nei computer (Scanners, 1981), videocassette neurocancerose che entrano ed escono esplosivamente dagli addomi degli spettatori (Videodrome, 1983), un uomo che per errori tecnici diventa una mosca (La mosca, 1986, ispirato al tumore del padre del regista), due chirurghi gemelli, rapiti dalla bellezza dell’utero, che si scambiano le parti per sperimentare nuovi strumenti ginecologici (Inseparabili, 1988), benestanti cittadini che amano gli incidenti, i traumi e i tutori ortopedici avvitati agli arti (Crash, 1996), video-giochi che si connettono alle spine dorsali dei concorrenti (eXistenz, 1999).
Si tratta di crimini? Di attentati alla «natura»? Ma se la vecchia «natura» non c’è più, allora la manipolazione è forse un miracolo che il futuro ci riserva. Azzardiamo un accostamento religioso. Il Dio di Genesi aveva prelevato una costola dal primo uomo, ‘ādām, dopo averlo anestetizzato (il testo ebraico parla di un torpore profondo, tardēmā) e aveva poi richiuso la carne al suo posto. L‘ādām fu lieto di avere finalmente un’alleata, osso dalle sue ossa, carne dalla sua carne! La creazione non era finita. Ora sono gli scienziati-artisti a plasmare dal fango. Come nelle cattedrali gotiche abitiamo con chimere, con maschi dalle molte orecchie e femmine con coda di sirena.
Il corpo non ha più confini sicuri. Noi siamo gli occhiali con cui vediamo. Siamo i pancreas suini o le pompe di insulina che ci correggono il diabete. L’anatomia normale sfuma in quella patologica: il tumore annuncia un nuovo tipo di corporeità e la tecnologia lo benedice come un’imprevista via di salvezza. Sopravvive chi si modifica in uomo-robot o in ibrido uomo-animale, mentre chi si scandalizza viene inesorabilmente espulso dalla vita sociale. La sessualità tradizionale si arricchisce di sensazioni horror, come la dissezione chirurgica o la chemioterapia («la chirurgia è il nuovo sesso» si dice nel film). L’ecosistema è distrutto o fibrillante e quindi occorre costruirne uno nuovo, adattandoci noi al progresso scientifico invece che condannarlo ed erotizzando gli urti impersonali con cui le macchine ci rimodellano.
Arte, medicina e violenza s’intrecciano in questi «crimini del futuro». E vi si intreccia anche il cinema. La poltrona su cui Saul, il regale paziente-artista è disteso, somiglia al posto prenotato in sala cinematografica, dove le visioni offerte dallo schermo diventano emozioni sanguigne e vissuti organici dello spettatore, in un trapianto allettante e cruento.
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