Dimmi chi è il tuo eroe e ti dirò chi sei
È dalla notte dei tempi che abbiamo a che fare con gli eroi, almeno da quando Gilgamesh il sumero fece il suo esordio, intorno alla metà del terzo millennio avanti Cristo. Da allora ne è passata di acqua sotto i ponti, si sono evoluti i tempi, gli usi e i costumi: non altrettanto, tuttavia, si può dire dell’eroe, rimasto emblema di quanto di meglio la società proietta di fronte a sé, per il suo futuro e per il suo presente, con tutti i distinguo del caso, come è ovvio, ma anche con tanti tratti ricorrenti a farne un cliché piuttosto stabile, rintracciabile nella gran parte delle culture.
A ogni era il suo eroe, o la sua galassia di eroi, da ammirare e onorare, ad abitare nella terra di mezzo tra umano e divino, qualsiasi significato si attribuisca a «umano» e a «divino»: la mitologia classica ci ha dato gli Ercole e gli Enea, gli Ulisse e gli Achille, e via dicendo, ma anche gli imperatori e i gladiatori; il Medioevo ci ha consegnato i cavalieri senza macchia né paura, i sovrani illuminati, principi e principesse; l’era moderna ha portato con sé i pionieri dell’arte, della scienza e delle scoperte geografiche; la contemporaneità poi ha sparso a piene mani l’eroismo su tutto il mondo dello spettacolo, dello sport, a volte anche della politica.
È la società di massa, nella quale non si nega a nessuno il suo quarto d’ora di celebrità, la comparsata televisiva che in quanto tale, secondo la vulgata, farebbe dell’interessato un «eroe» o presunto tale. Non solo: a nessuno si nega nemmeno di adottare un proprio eroe, uguale o distinto da quello degli altri, privatizzato, individualizzato se non addirittura individualistico. Il tema è scivoloso, perché tutti abbiamo in mente il nostro eroe-archetipo, che corrisponde o meno a un personaggio già esistente e per il quale abbiamo un attaccamento da tifo da stadio: il nostro eroe è intoccabile, guai a metterlo in discussione, è un punto di riferimento, o lo è stato, nel nostro passato personale più o meno prossimo. «Scherza con i fanti e lascia stare gli eroi» verrebbe da dire parafrasando il proverbiale adagio di Puccini nella Tosca, che il personaggio del sacrestano riferiva però ai santi (ma i santi sono eroi? Affrontiamo la questione nel riquadro). Un eroe per ogni stagione Chi sono gli eroi, oggi? Chi corrisponde alla definizione canonica del linguaggio comune, di persona che «dà prova di grande valore e coraggio affrontando gravi pericoli e compiendo azioni straordinarie» (Treccani)? Ci sono gli «occasionali», i «quotidiani», i «mitici», gli «anonimi». Noi scegliamo quelli cui abbinare l’aggettivo «super», i supereroi dell’immaginario collettivo. Certo che esistono solo nella letteratura, nei fumetti, nel cinema e nei videogiochi, ma sono specchio del nostro vivere sociale. «Continuano a giocare un ruolo fondamentale nella definizione della nostra identità di individui e membri di una società» afferma Vanni Codeluppi nel suo Eroi. Superman, Batman, Tex, 007, Harry Potter e altre figure dell’immaginario (FrancoAngeli 2015). I più importanti – sottolinea Codeluppi, ordinario di Sociologia dei processi culturali e comunicativi allo Iulm di Milano – sono «quelli che hanno saputo stabilire un rapporto particolarmente profondo con i principali miti operanti all’interno della cultura delle società occidentali», miti che «aiutano gli esseri umani a conciliare le contraddizioni presenti nel loro ambiente culturale».
E la principale tra queste contraddizioni è il limite, sostiene Silvano Petrosino, filosofo e docente alla Cattolica di Milano: «Non è difficile da spiegare perché la figura dell’eroe sia una costante. L’uomo, che da sempre fa esperienza di precarietà, di debolezza e di vulnerabilità, proietta nell’universo immaginario esattamente un suo simile che non ha queste caratteristiche di finitezza». Così, indagare gli eroi significa capire un po’ meglio l’ambiente in cui viviamo, e in definitiva anche noi stessi, partendo da una consapevolezza: gli eroi sono tanti. Dal momento che ci sono sempre stati, per accumulazione si sono stratificati, moltiplicati, «e oggi all’interno della cultura delle società contemporanee sono particolarmente numerosi» sottolinea Codeluppi. Li si consuma, bisogna ricrearne sempre di nuovi mescolando le caratteristiche del genere.
Se, come si è detto sopra, c’è «un eroe per ogni era», per il nostro tempo sarebbe forse più corretto affermare «un eroe per ogni ora», tanto che è anche difficile orientarsi. A dirsi in difficoltà, nel 2007, era addirittura Sergio Bonelli, il grande sceneggiatore di fumetti scomparso nel 2011, a lungo guida dell’omonima casa editrice: «Il problema di oggi, per le nostre produzioni, è che in realtà dal pubblico non arrivano segnali di preferenze. Fino a una ventina d’anni fa era diverso. Infatti Dylan Dog risale a quella stagione, ed è stato l’ultimo successo strepitoso. A quell’epoca, dal mondo del cinema e dai giornali venivano indicazioni attraverso cui per un editore di fumetti era più facile scegliere la tematica su cui impostare una nuova serie. Oggi il pubblico è molto distratto e non lascia segnali così forti. Passa con facilità da un cantante all’altro, da una moda all’altra... È più difficile fare scelte tematiche nette».
Dieci anni dopo le cose non sono cambiate, anzi, la polverizzazione è ancora più evidente. «Sono convinto – sostiene Codeluppi – che una certa proliferazione degli eroi dipenda dal bisogno, molto sentito, di avere punti di riferimento in una società che percepiamo come molto caotica. Cinema e giornali tenevano gli eroi dello sport e dello spettacolo a distanza, mentre la televisione prima e la Rete oggi ce li hanno portati in casa, avvicinati e anche ridimensionati per certi versi, eppure rimangono modelli con un seguito. Accade anche quando non hanno alcuna competenza, ma solo la notorietà dovuta al passaggio in un reality show o nei nuovi palcoscenici di Youtube». Silvano Petrosino aggiunge un’ulteriore interpretazione: «La nostra società tende a sottolineare i valori dell’eccellenza, partendo da un’idea del soggetto senza limiti, senza difetti, senza peccati. Il mito dell’eccellenza è un’ideologia: devi sempre essere perfetto. Una società del genere sembrerebbe non aver bisogno di eroi, perché tende a trasformare tutti in eroi. In realtà è un processo duplice: da una parte solo uno su mille ce la fa; dall’altra, tutti possono essere quell’unico». Tanti problemi tanta gloria C’è un ulteriore fondamentale aspetto che ci avvicina l’eroe. Sono i suoi problemi. Analizzando i curricula, verrebbe da dire che i supereroi le hanno passate tutte, secondo il famoso binomio «super eroe, super problemi», riscontrabile all’incirca in ogni protagonista delle due grandi editrici americane del settore, la Dc Comics di Superman, Batman e Wonder Woman, e la Marvel Comics, casa dei vari Uomo Ragno, X-Men, I Fantastici Quattro, gli Avengers e via dicendo.
Oggi però, dopo una fase al rialzo durata fino agli anni ’90, con problemi davvero fuori portata, ci si è ritarati sulle difficoltà del quotidiano. «Il caso migliore in tal senso è l’Uomo Ragno, supereroe che deve pagare le bollette e trovarsi un lavoro» sostiene Alberto Brambilla, curatore delle mostre di «Wow Spazio Fumetto», museo del fumetto, dell’illustrazione e dell’immagine animata di Milano, che conferma anche lo stretto nesso tra supereroe e società con un esempio emblematico. «Uno degli eventi che più ha segnato i fumetti dei supereroi – spiega l’esperto – è stato il crollo delle Torri gemelle. Da quel momento gli autori, per il clima che si respirava e si respira, hanno preso a inserire tra gli antagonisti meno supercattivi psicopatici e più organizzazioni terroristiche, hanno iniziato a far discutere i superori di libertà individuali, di controllo e di sicurezza, mettendoli anche l’uno contro l’altro. C’è una saga molto importante, Civil War, da cui nel 2016 la Marvel trarrà un film, Captain America: Civil War per l’appunto, nella quale il governo obbliga gli eroi a farsi schedare svelando le proprie identità segrete: è un cedere parte del proprio potere in cambio di un maggior controllo sociale».
Sono scene che hanno fatto irruzione nel mondo fantastico con il basilare Watchmen di Alan Moore del 1986, poi film nel 2009, decostruzione dell’archetipo dell’eroe che risponde alla fatidica domanda: chi controlla i controllori? «In Civil War – prosegue Brambilla – non tutti ci stanno. La fazione capitanata da Iron Man si schiera con lo Stato, mentre i dissidenti sono guidati da Capitan America. Rappresentano il dibattito post 11 settembre tra libertà e sicurezza. È un esempio relativamente recente. La Marvel negli ultimi anni sta sviluppando un tono più pop, puntando su storie che tornano alle origini del supereroe, con meno agganci all’attualità sulla scorta dei più soft film Marvel». Ma che al botteghino continuano a premiare, tranne quando si discostano troppo dai personaggi originali – è il caso delle trasposizioni de I Fantastici Quattro – senza puntare sulla qualità, come invece è avvenuto negli ultimi Batman, su tutti il riuscitissimo Il cavaliere oscuro (2008) di Christopher Nolan. Sui film poi c’è da citare un importante retroscena che tanto retro non è, e cioè la proprietà dei diritti cinematografici: gli eroi Dc Comics sono della Warner Bros, la Sony ha l’Uomo Ragno, gli X-Men sono della Twentieth Century Fox. Così, evidenzia Brambilla, «ecco spiegato il perché la Marvel sta spingendo Iron Man, Capitan America e gli Avengers: semplicemente ne detiene i diritti per il grande schermo». Ma il mondo cinematografico dei supereroi non ci propina solo prodotti in serie di azione pop. L’ultima stagione ha messo in circuito due titoli eccellenti e molto diversi tra loro: il delicato e introspettivo Il ragazzo invisibile di Gabriele Salvatores, festeggiato come il primo supereroe italiano (già annunciato il sequel), e il magmatico Birdman di Alejandro González Iñárritu, vincitore di quattro statuette all’ultima notte degli Oscar, tra cui miglior film e miglior regia. In definitiva, resta condivisibile quanto affermava Bertolt Brecht col suo motto «Beato il paese che non ha bisogno di eroi», col quale auspicava una società migliore che non dovesse più delegare a nessuno la soluzione dei suoi limiti. Nel frattempo, però, auspicabile o meno che sia il declino dell’eroismo, è chiaro: con gli eroi dovremo continuare a fare i conti.
ZOOMSanto o eroe?
È sfumato il confine tra eroe, martire e santo. In parte è da imputare all’arbitrio con cui soggettivamente attribuiamo l’aggettivo «eroico» a chicchessia. In parte poi dipende da un certo modo non sempre corretto di raccontare la vita dei nostri campioni della fede e di figurarcela. Il discorso ci porterebbe lontano, e invece abbiamo bisogno di certezze. Eccole nelle parole di papa Francesco, che sposta il pallino dalla nostra idea di «eroe» a quella di «santo», come nella Messa del 9 maggio 2014 a Santa Marta: «I santi non sono eroi, ma umili peccatori». «La differenza fra gli eroi e i santi è la testimonianza, l’imitazione di Gesù Cristo», che mostra qual è «la prima regola della santità: è necessario che Cristo cresca e che noi veniamo meno». Il filosofo Silvano Petrosino addita invece un altro equivoco radicale, quello tra «compimento e successo. Il santo è la persona compiuta, non è la persona di successo. Sono due realtà diverse. Basta leggere la Genesi. Adamo ha il compito di dare il nome a tutti gli esseri viventi, e cioè Dio chiama l’uomo a portare a compimento la creazione. È una vocazione per tutti! Ma il compimento può assumere tratti modesti: è la povertà di san Francesco. Un uomo che fa il padre di famiglia, che vuole bene alla moglie, fa il calzolaio, guarda la luna e vuole bene ai figli, può essere una persona che ha fatto esperienza di un certo compimento, ma dal punto di vista del successo è un fallito». La santità allora è nella vita quotidiana, la meno eroica secondo determinati cliché. Ecco «i santi nascosti di tutti i giorni» secondo papa Francesco. «Pensiamo ai più piccoli; agli ammalati che offrono le loro sofferenze per la Chiesa, per gli altri. Pensiamo a tanti anziani soli, che pregano e offrono. Pensiamo a tante mamme e padri di famiglia che portano avanti con tanta fatica la loro famiglia, l’educazione dei figli, il lavoro quotidiano, i problemi, ma sempre con la speranza in Gesù» (4 dicembre 2014). L’ultimo chiarimento lo offre Dietrich Bonhoeffer, che nell’imminenza della morte per mano nazista scrisse: «Ci rimane soltanto lo stretto sentiero (...) di prendere ogni giornata come se fosse l’ultima e di vivere con fede e senso di responsabilità, come se ci attendesse ancora un grande futuro. (…) L’estremo interrogativo di un uomo responsabile non è come ne vengo fuori con eroismo, bensì come deve continuare a vivere una generazione futura».