Don Giovanni Nervo: carità e giustizia
Si è tenuto la sera del 5 giugno, presso la sala dello Studio teologico della Basilica del Santo, a Padova, il convegno «Carità e giustizia: le beatitudini quotidiane di monsignor Giovanni Nervo». L’incontro – che rientrava nel programma per il Giugno Antoniano, la manifestazione organizzata da Comune di Padova e Basilica del Santo, con altri enti del territorio, in onore di sant’Antonio nel mese a lui dedicato – era promosso dalla Diocesi di Padova nell’ambito dell’avvio del processo di beatificazione del sacerdote e profeta della carità , fondatore e primo presidente di Caritas italiana. Al tavolo dei relatori: Tiziano Vecchiato, presidente di Fondazione Emanuela Zancan (la realtà , fondata da monsignor Nervo allo scopo di «contribuire alla ricerca scientifica di rilevante interesse sociale, con particolare attenzione alle politiche sociali, ai servizi alla persona e alle professioni che vi operano»),che si è concentrato sul binomio solidarietà / giustizia in monsignor Nervo, e il teologo Andrea Toniolo, il cui intervento è stato incentrato invece su carità / giustizia nel pensiero e nell’opera del sacerdote. A moderare, Cinzia Canali, direttrice della Fondazione Zancan.
Giovanni Nervo era nato a Casalpusterlengo (LO), nel 1918, da una famiglia vicentina lì sfollata a causa della guerra. Rientrato in provincia di Vicenza a un anno, Giovanni entrò poi nel seminario di Padova a 13 anni, dove compì tutti gli studi fino all’ordinazione sacerdotale avvenuta nel 1941. Don Giovanni fu molte cose nella sua vita: presbitero, ma anche partigiano (dopo l'8 settembre si impegnò attivamente nelle file della Resistenza al fianco di Luigi Gui), assistente delle Acli, cappellano di fabbrica e assistente per l’Onarmo (Opera nazionale assistenza religiosa e morale agli operai), di cui divenne responsabile nazionale nel 1963, insegnante di religione, parroco. Nel 1951, a Padova, creò la prima Scuola superiore di Servizio sociale, che diresse fino al 1970. Nel 1964 diede vita, con monsignor Giuseppe Pasini, alla Fondazione Zancan (che presiedette fino al 1997). Per la segreteria generale della Conferenza episcopale italiana, tra il 1986 e il 1991, fu coordinatore per i rapporti Chiesa-Istituzioni. Nel 1971, su indicazione di papa Paolo VI, fondò la Caritas italiana, di cui fu, fino al 1976, primo presidente, con il preciso obiettivo di «superare la logica assistenzialistica per rendere le persone bisognose autonome e in grado di badare alla loro vita». Giovanni Nervo è morto il 21 marzo del 2013.
«Carità e giustizia – ha sottolineato Cinzia Canali – furono i temi bussola nella vita di monsignor Nervo, che lo guidarono in tutti i campi della vita religiosa e civile in cui operò: dalla resistenza al mondo operaio, da quello giovanile ai servizi sociali, dalla parrocchia alla Caritas. Fu un sacerdote che ricoprì numerosi importanti incarichi, ma sempre con sobrietà e umiltà ».
«Vivere a fianco di don Giovanni Nervo – gli ha fatto eco Tiziano Vecchiato – significava proprio sperimentare concretamente il dono dello Spirito santo, che non fa rumore. Don Giovanni sapeva fare cose grandi, ma in lui sembravano normali, quotidiane». La chiave di lettura per mettere insieme solidarietà e giustizia nell’opera di don Giovanni, ha proseguito il presidente della Fondazione Zancan, è il binomio «Vangelo e costituzione», perché tra i fondamenti di quest’ultima egli vedeva il riconoscimento della dignità di tutte le persone, che gli permetteva di accostare «l’umano con l’evangelico». In particolare, ha sottolineato ancora il professor Vecchiato, a don Giovanni era caro l’articolo 3 della nostra Carta fondamentale, che recita: «Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese». Gli era caro, questo articolo, perché in esso riconosceva la sua visione dell’umano basata su valori quali solidarietà , giustizia, riconoscimento sociale e individuale, valori che troppe volte una cultura cattolica di stampo assistenzialista aveva di fatto negato: «Monsignor Nervo sosteneva che bisogna aiutare gli altri – ha insistito infatti Vecchiato – riconoscendoli innanzitutto come persone e spesso l’ostacolo al loro riconoscimento siamo proprio noi, che fondiamo i nostri rapporti su uno sbilanciamento di potere, in base al quale noi siamo sempre e solo coloro che aiutano e gli altri sempre e solo quelli che ricevono». La nostra Costituzione, ripeteva invece don Nervo, dice in sostanza che ogni persona è speciale e che noi, proprio in virtù del principio di sussidiarietà , siamo tutti fratelli, ha chiosato il presidente della Fondazione Zancan, che ha anche ricordato come il «bilinguismo» di Nervo, la lingua del Vangelo da un lato e quella della Costituzione dall’altro, gli servisse per poter parlare a tutti di valori e principi fondanti che mettono al centro l’essere umano, proteggendo quelle piccole gemme di cambiamento che, solo se adeguatamente curate, possono sbocciare. «Abbiamo avuto un profeta che ha agito con modestia – ha concluso Tiziano Vecchiato –, che non faceva rumore, ma che, avviando Caritas italiana, ha dimostrato che è solo la carità a preparare la giustizia. Perché la carità è una di quelle gemme che prefigurano un’umanità possibile e da costruire insieme».
Don Andrea Toniolo, dopo aver ricordato monsignor Giuseppe Pasini, sodale e braccio destro di Nervo in tantissime iniziative (anche in Caritas italiana, di cui divenne direttore), ha sottolineato come il binomio carità /giustizia abbia un peso enorme non solo nella Dottrina sociale della Chiesa, ma anche nella Bibbia. E non a caso un santo come Antonio, uomo di carità e profondo conoscitore delle Scritture, si impegnò a fondo in tutta la sua vita per alleviare la condizione dei poveri, anche con ripetuti interventi che portarono alla modifica degli statuti comunali della città di Padova. «Monsignor Nervo – ha ricordato Toniolo – era umile, mite e sobrio, è vero, ma estremamente fermo quando doveva denunciare ingiustizie». Egli ha sempre mostrato che non esiste carità senza giustizia intesa anche come rispetto di leggi precise che tutelano l'umanità , perché, come sosteneva il filosofo tedesco Josef Pieper, dove non è possibile agire l’amore interviene la giustizia. Già l’Antico Testamento, ha continuato il teologo, diceva che l’amore verso Dio deve passare attraverso regole precise: basti pensare, per esempio, al brano di Levitico 25 (che codifica con leggi precise anche il riposo degli esseri umani e della natura). Ma anche nel Nuovo Testamento più volte vengono citati i comandamenti quale condizione essenziale per poter amare Dio: basti pensare al testo giovanneo nel quale si ricorda che chi ama Dio osserva i suoi comandamenti. O alla parabola degli operai dell’ultima ora, nella quale è Dio stesso che agisce con giustizia (dona a tutti il salario pattuito), anche se segue una logica diversa da quella umana, una logica che, senza stravolgerla, completa la giustizia umana con una più grande, che parte dagli ultimi. Monsignor Nervo, ha ribadito Toniolo, «ci ha mostrato quindi che la carità , l’amore, non è mai senza giustizia ma, anzi, la completa».
Il fondatore di Caritas italiana, ha detto ancora don Toniolo, sapeva essere profondo senza mai essere astratto, e per questo ha saputo darci una chiara chiave interpretativa della realtà contemporanea, nella quale la carità appare quasi estranea alla cultura laica, che la confonde con l’assistenza o l’elemosina. «Nervo ripeteva infatti che ciò che conta oggi è la giustizia non la carità – ha sottolineato il teologo – e invece questo binomio è indissolubile e va recuperato non solo a livello ecclesiale e pastorale, ma anche a livello laico, mostrando come, in realtà , quando manca la carità , la giustizia diventa solo falsa retorica e ipocrisia, è incompleta, cade nel formalismo o nella cieca e sterile osservazione della regola. La giustizia da sola non basta anche in una cultura laica: necessita sempre di essere integrata dall’amore-misericordia, attitudine che sale più in alto della giustizia. Il vero volto morale degli uomini è plasmato dalla carità , sosteneva Nervo. Senza carità non è possibile nessuna giustizia, e faceva spesso l’esempio del perdono come volto concreto dell’amore. Un perdono che, come vediamo anche oggi molto chiaramente, è assente nel mondo giuridico, ma è essenziale, nella forma di giustizia riparativa o rigenerativa proprio per ripartire in situazioni drammatiche. Basti pensare a quanto sta succedendo in Ucraina o a Gaza: nessuna giustizia basterà da sola a rappacificare queste popolazioni, ci vorrà una giustizia riparativa, cioè una giustizia che parta dalla prospettiva della carità e abbia come faro l’opzione preferenziale per i poveri. E proprio questo, secondo monsignor Nervo, può essere il contributo dei cristiani alla società . Perché una giustizia vera non potrà mai essere bendata, non potrà mai essere imparziale, dovrà sempre tenere la parte dei poveri, perché l’opzione preferenziale per i poveri non è solo fedeltà al Vangelo ma anche alla Costituzione, che parla di pari dignità tra gli esseri umani, rimuovendo gli ostacoli che la impediscono».
In definitiva, ha concluso don Andrea Toniolo, la grandezza di monsignor Nervo sta anche nell’aver saputo tradurre le gemme della Dottrina sociale della Chiesa in un linguaggio universalmente riconosciuto, mostrando come carità e giustizia non solo non esistano l’una senza l’altra, ma non siano nemmeno immaginabili.
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