Etiopia, la felicità del sacro
La veglia è stata lunga, le notti sono fredde sull’altopiano dell’Etiopia. Una notte di preghiere, di trance, di lettura, di canti. Una notte infinita. Fuochi per riscaldarsi. Candele. Attesa dell’alba. Attesa del primo raggio di sole. Che scintillerà per un istante sulla grande croce. L’abuna, il vescovo, allora, la immergerà nell’acqua. È il momento del sacro. Arrivano le urla, un’estasi di stanchezza e fede, follia e bellezza. Un gesto, un segno e l’acqua verrà lanciata sulla folla, sui fedeli, sulle donne vestite di cotone bianco, sui bambini, sui vecchi che non provano a proteggersi. Sugli uomini avvolti negli shamma. È un battesimo collettivo. È il buon presagio per il tempo che verrà. È il giorno più santo sul più vasto altopiano d’Africa. È il Timkat, l’Epifania ortodossa copta. Non ricorda l’arrivo a Betlemme dei Magi, ma il battesimo di Cristo nelle acque del Giordano. È la notte tra il 18 e il 19 del nostro gennaio. Le immagini più segrete delle chiese d’Etiopia sono state trasportate vicino a un fiume, a un lago, a un pozzo, a una vasca costruita apposta. Ci vuole l’acqua, la notte, il sole perché il miracolo si compia.
La donna della foto prega nella notte. Alla luce di una candela di sego. Deve ancora arrivare il giorno, manca poco. E allora, quando il sole sorgerà, vi è una sola parola che può descrivere quanto accade vicino a ogni chiesa d’Etiopia in questa notte: felicità. È un’ebbrezza, una corsa sfrenata a prendersi l’acqua addosso e sentirsi benedetti. È raccogliere quell’acqua e conservarla a casa per tutto l’anno.