Evviva la Mole «Burtoniana»
Avvistato un drago a Torino: era intento a scavalcare la recinzione dei giardini intorno alla Mole Antonelliana. Dietro di lui un grande cervo dalle corna possenti si godeva lo spettacolo con aria fiera. Tutto sotto lo sguardo divertito dei passanti, per nulla contrariati dal fatto che, al posto di scaglie e pelliccia, i due animali sfoggiassero corpi vegetali, come fossero stati ricavati dalla potatura di due grandi cespugli. No, non siamo impazziti. E questa non è l’ennesima fake news acchiappa clic: potete verificarlo voi stessi con un viaggio a Torino. Ad accogliervi fuori dalla torre, simbolo del capoluogo piemontese, troverete, fino al 7 aprile, queste due sculture topiarie realizzate dai diplomati del corso Tecnico Costruzione Scenografie Teatrali e Cinematografiche delle Scuole Tecniche San Carlo. Un team di giovani che si sono ispirati alle creazioni di Edward mani di forbice nell’omonimo film (1990) diretto da Tim Burton. È solo un piccolo assaggio di tutta la creatività che ci aspetta oltre l’ingresso della Mole, alla scoperta della prima mostra italiana dedicata al grande regista californiano.
Ideata e co-curata da Jenny He in collaborazione con il maestro stesso e adattata da Domenico De Gaetano in quella che è la sede del Museo Nazionale del Cinema, l’esposizione «Il Mondo di Tim Burton» attinge dall’archivio personale del regista. Risultato: dieci sezioni tematiche e oltre 500 opere originali, inedite e no, tra schizzi, dipinti, foto, storyboard, modellini, installazioni. Un vero tuffo a 360 gradi nell’universo burtoniano, costruito in oltre 40 anni di carriera. Non a caso la mostra si sviluppa in un percorso a spirale dal centro dell’Aula del Tempio verso l’alto, attraverso una rampa elicoidale. «Fondendo la magia del cinema di Tim Burton con la magia dell’architettura, abbiamo trasformato la Mole Antonelliana nel suo “laboratorio” creativo» afferma Domenico De Gaetano, direttore del Museo Nazionale del Cinema. E a quanto pare il regista ha apprezzato lo sforzo. «Quando il Museo del Cinema mi ha contattato per la mostra ho capito che era lo spazio perfetto – conferma Burton in una nota del catalogo –. La Mole è iconica e una fonte di ispirazione, spero che pensiate lo stesso di questa mostra».
Dentro al set
Geppetto insegna: passare attraverso le fauci di una bestia (nel suo caso una balena) non è mai piacevole. Ma se la bestia in questione è un buffo mostro con rami per capelli, occhi spaiati e la pelle ricoperta di cerchi concentrici (Monster Mouth, 2023, realizzato sulla base di un disegno di Tim Burton), forse possiamo cambiare idea… Superata questa originale «porta d’ingresso», alla mostra veniamo subito rapiti dalle note di Danny Elfman. Con i suoi cori uniti alle percussioni dei metallofoni, The Ice Dance, il tema realizzato dal compositore per Edward mani di forbice ci conduce nel pieno dell’inverno e al centro dell’Aula del Tempio. In un istante la Mole Antonelliana si trasforma in un set. Mentre su pannelli e maxischermi appesi alle pareti si susseguono personaggi e scene tratte dai film più iconici di Tim Burton, puntiamo il parallelepipedo al centro della sala. Sviluppata su 4 lati, questa grande bacheca raccoglie tante paginette di quaderno schizzate e strappate, per non parlare della serie di tovaglioli di carta su cui il regista ha abbozzato nel corso degli anni bambini dai denti aguzzi, donne con serpenti al posto dei capelli (il riferimento alla Medusa della mitologia greca è d’obbligo), lottatori messicani in calzamaglia e clown sorridenti.
Tim Burton non è soltanto un cinefilo. Nelle sue vene scorre sangue d’artista e di viaggiatore. Che sia per pochi giorni o per mesi, per girare un film o solo per fare un sopralluogo, per lui viaggiare significa aprire la mente e lasciarsi stimolare dalle situazioni. Come quando tratteggia a penna e matita su un tovagliolo del Caesar’s Palace di Las Vegas un’aliena dalla testa schiacciata. O quando esce dal Ritz di Parigi con una donna ricoperta di punti di domanda. Ennesimo tovagliolo finito nella sua collezione accanto a tartarughe giganti, licantropi, pipistrelli. L’ispirazione arriva quando meno te l’aspetti. Tanto vale coglierla al volo. Alle volte essa prende le sembianze di un block notes da riempire, altre volte di una linea rossa, come quella che, a partire dal centro della Mole, si srotola lungo la rampa elicoidale, verso il tetto.
Come Teseo con il filo di Arianna, seguiamo quel filo color sangue oltre una manciata di gradini. Alla nostra destra, dentro una nicchia, è ricostruito lo studio dell’artista: uno spazio privato in cui Burton disegna, dipinge, progetta, revisiona sceneggiature e scenografie. Al suo servizio in questo delicato compito troviamo una semplice scrivania nera, due lavagne di sughero su cui appuntare idee. E poi modellini (su tutti, quello di Jack Skeletron, il protagonista del capolavoro animato in stop motion Nightmare before Christmas, ideato e co-prodotto da Tim Burton nel 1993), penne, pastelli, matite, acquerelli, libri, quaderni, una macchina fotografica e una lente d’ingrandimento. Sono i «ferri del mestiere» di un grande creativo nato (1958) e cresciuto a Burbank, in un quartiere privo di stimoli della periferia californiana. Un luogo che, a detta del regista, «non brillava per la sua cultura museale» e dove le uniche attrattive per il giovane Tim erano rappresentate dalla sala cinematografica, dai fogli da disegno e dal cimitero locale, luogo silenzioso e introspettivo per eccellenza.
Sulla scia di queste passioni giovanili, la mostra prosegue con una serie di stampe realizzate tra il 1992 e il 1999 con una Polaroid 20x24. Una pausa dal mestiere di regista, che gli consente di approfondire il tema del grottesco e dello stitching (cucitura). Cani con le corna, braccia e gambe decontestualizzate e ricucite, vampiri e uomini lupo sono un omaggio ai film horror firmati Universal e Hammer che tanto Tim Burton apprezzava. Ad averlo influenzato ancor più nella fase iniziale della sua carriera, dopo la formazione al California Institute of the Arts, sono fumettisti e illustratori come Edward Gorey, Charles Addams, Don Martin e Dr. Seuss. Risale più o meno a quel periodo l’albo Il Gigante Zlig, scritto e illustrato da Tim Burton nel 1976. Alla mostra, oltre alle tavole dell’albo, è esposta anche la lettera con cui l’artista chiedeva alla Disney di pubblicarlo. «Non mi sono solo divertita a leggere del Gigante Zlig – risponderà in un’altra missiva T. Jeanette Kroger, allora curatrice editoriale della WD Productions –, ma mi sono fatta una risata anche a guardarlo». Nonostante l’apprezzamento, il libro non verrà mai riprodotto dalla major. Il suo ideatore, tuttavia, sarà assunto come apprendista animatore nel ’79 e parteciperà alla creazione di Red e Toby nemici amici nel 1981, salvo poi essere licenziato e tornare a collaborare saltuariamente con l’azienda (l’ultima volta nel 2019 per Dumbo).
Burton, del resto, è uno spirito libero, ama le contaminazioni e non si adagia mai sugli allori. Sperimenta anche nel campo musicale, dirigendo due video della band The Killers (Bones, 2006, e Here with me, 2012). Proprio i videoclip e i backstage di queste due esperienze rappresentano un altro tassello del percorso dentro la Mole Antonelliana. Dagli scheletri che camminano nel video di Bones passiamo allo scheletro che levita in aria (maquette di Beetlejuice, film del 1988 su uno spirito che infesta una casa). Tra gli schizzi a matita e penna di questo fantasma dispettoso (nel 2024 uscirà il sequel) e della sedia da barbiere di Sweeney Todd (musical del 2007), incontriamo anche i numeri mostruosi concepiti nel 1982 per un libro da bambini, ma utilizzati nel 2009 in The Art of Tim Burton. Per l’artista il macabro non è mai fine a se stesso. C’è sempre in ogni sua opera dark un messaggio positivo o didascalico. E i personaggi dei suoi film, veri e propri outsider, nascondono molto spesso un cuore tenero.
Proprio a questi ultimi è dedicata la parte finale della rampa. L’intera filmografia di Burton, da Pee Wee’s Big Adventure (1985) a Dumbo (2019) e Mercoledì (2022-’23), è rappresentata attraverso modellini, acquerelli, video e disegni. Incrociamo Edward mani di forbice in versione dark e cittadina (schizzi del 1990), il Joker di Batman (1989, pastello su carta), gli Oompa Loompa de La fabbrica di cioccolato (2005) sottoforma di statuette. Il cavaliere senza testa di Sleepy Hollow (1998, pastello e acquerello su carta) e le scimmie antropizzate del Pianeta delle scimmie (1999-2001). Tra spose cadavere (penna e acquerello, 1995-’98, per La sposa cadavere), regine di cuori (Alice in Wonderland, 2009) e bambole dagli occhi grandi (Big eyes, 2013), ammiriamo lo storyboard di Mercoledì (la seconda serie Netflix in lingua inglese più vista in assoluto) e il prologo manoscritto di Nightmare before Christmas.
Mentre dal soffitto pende un robottino con al posto dei piedi due stampini per biscotti (ricordate il flashback di Edward mani di forbice in cui compare il grande Vincent Price?), un alieno dal cervello ipertrofico (Mars Attacks!, 1996) ci prende di mira con una specie di fucile a doppia canna. È sceso anche lui a Torino da chissà quale pianeta per rendere omaggio al suo ideatore. Perché Tim Burton non lascia mai indifferenti. Lo sanno gli organizzatori della mostra alla Mole Antonelliana che, in occasione dell’inaugurazione, gli hanno conferito il premio Stella della Mole. E lo sa anche il suo attore feticcio Johnny Depp, che per Burton ha interpretato ben otto ruoli. «Qualunque cosa lui voglia girare, io la faccio – scrive Depp nella prefazione di Burton racconta Burton (Feltrinelli) –. È un artista, un genio, uno spostato, un amico onesto, pazzo, eccezionale, istericamente divertente, leale e anticonformista. (...) Non ho mai visto una persona così palesemente fuori posto trovarsi così perfettamente al posto giusto. A modo suo».
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