Francescani in Marocco: una storia lunga otto secoli
Tazart è un piccolo villaggio a 60 km a est di Marrakech, ai piedi dell’Alto Atlante. Una moschea, un piccolo dispensario medico, un negozio di alimentari che vende un po’ di tutto e il recinto del mercato settimanale sono i luoghi che ritmano la vita della comunità. Gli abitanti sono berberi e, in berbero, il nome del paesino significa «fichi». Fino agli anni Sessanta ospitava una comunità ebraica, che proprio dai fichi ricavava un modesto reddito, producendo la mahìa, una grappa aromatizzata con anice. Gli abitanti sono pastori e agricoltori che ricavano ben poco da una terra secca e spoglia. Molti emigrano. È questo villaggio lontano da tutto che fu scelto nel 1931 come luogo di eremitaggio dal francescano André Poissonnier. La lettura della vita di padre Charles de Foucauld lo aveva profondamente colpito e desiderava seguire il suo esempio. A Tazart, quindi, costruì una cappella e un dispensario. Il contatto con la popolazione locale era facilitato dalla sua conoscenza dell’arabo e del berbero.
La comunità francescana di Tazart rimase nel villaggio per circa quarant’anni, prodigandosi per curare i malati e dispensare cibo alle famiglie svantaggiate. Oltre alla cappella originaria, furono costruiti alloggi per accogliere coloro che desideravano condividere, non fosse che per un breve tempo, la vita dei frati, le preghiere e la meditazione. Divenne un vero e proprio monastero, chiamato Monastero della Visitazione. Il testimone passò per altri quarant’anni a un gruppo di clarisse appartenenti alla chiesa cattolica greco-melchita. L’origine orientale del culto si palesava negli arredi della cappella, con il semplice altare bizantino ornato da icone. Le monache vi rimasero fino al 2013, poi, anziane, si ritirarono in Francia.
Il monastero fu chiuso e lasciato alle cure del guardiano, un abitante del villaggio, che ricorda con reverenza i tempi in cui le monache curavano i malati, soprattutto i bambini morsi dagli scorpioni. Dopo sei anni, il monastero è rinato e la gestione è stata affidata alle Sorelle Minori di San Francesco. L’inaugurazione ha avuto luogo il 13 novembre 2019 alla presenza dell’arcivescovo di Rabat, delle autorità locali e, soprattutto, degli abitanti del villaggio. È stato un momento di emozione e incontro e, dopo tanti anni, le tre campane hanno suonato di nuovo. Il monastero è un luogo di silenzio e pace, dove olivi ed eucalipti danno ombra agli edifici che racchiudono il giardino: la cappella, il refettorio e il portico nel quale si aprono le dodici stanze per i visitatori.
Alle origini: l’Umbria
La rinascita del monastero e la presenza delle Sorelle francescane sono solo l’ultimo capitolo di una storia lunga otto secoli, iniziata in terra marocchina nel 1219. Tutto cominciò in Umbria, quando san Francesco affidò a sei frati la missione di recarsi in terra musulmana per evangelizzare le genti. I sei frati erano tutti di nobili origini: Berardo de’ Leopardi da Calvi, Pietro de’ Bonanti da Sangemini, Ottone de’ Petricchi da Stroncone, Accursio Vacuzio di Aguzzo, Adiuto e Vitale da Narni. Berardo parlava l’arabo. Una volta che i sei ebbero raggiunto la Spagna, Vitale si ammalò e non poté proseguire. I cinque frati continuarono fino a Coimbra.
Qui si incrociarono i destini di quelli che saranno i primi cinque martiri del francescanesimo e di colui che poi diventò sant’Antonio di Padova, al secolo Fernando Martinez da Lisbona, allora canonico agostiniano. Fu probabilmente l’incontro con questi frati che influì sulla sua scelta di vestire il saio francescano. Lasciata Coimbra, i cinque raggiunsero Siviglia, ricca città di commerci, allora sotto dominio musulmano. La loro predicazione nelle strade e perfino nelle moschee valse loro l’imprigionamento e, saputo del loro desiderio di recarsi in Africa, il governatore li fece imbarcare alla volta del Marocco con l’infante del Portogallo don Pedro. Questi era fratello del re Alfonso II, ma era in conflitto con lui e si era perciò messo al servizio del nemico, il sultano almohade del Marocco.
I frati salparono alla volta di Ceuta e raggiunsero Marrakech, ospiti di don Pedro. La predicazione per la conversione dei musulmani valse loro la cacciata dalla città. Don Pedro cercò di farli imbarcare per la Spagna, ma i cinque tornarono a Marrakech. L’infante tentava in tutti i modi di proteggere i propri correligionari e, al tempo stesso, le buone relazioni con il sultano. Quest’ultimo, tuttavia, non poteva tollerare ciò che per la sua fede era una provocazione. Fece perciò imprigionare, frustare e, infine, decapitare i frati (16 gennaio 1220).
I corpi furono lasciati alla folla che li oltraggiò e abbandonò fuori città. Don Pedro ne raccolse i resti e li trasportò a Coimbra da dove, nel 2010, furono trasportati a Terni: qui oggi riposano nella chiesa di Sant’Antonio di Padova. I Protomartiri francescani furono beatificati nel 1481. Altri seguirono il loro esempio. Nel 1227, sette frati originari della Calabria si recarono a Ceuta per predicare il Vangelo. Furono incarcerati e, di fronte al rifiuto di abiurare, decapitati per ordine del califfo della città.
La presenza cristiana in Marocco non si interruppe mai nei secoli. Commerci, guerre, pirateria erano «canali» attraverso cui si facevano affari, ma anche prigionieri, e i francescani si prodigavano per dare conforto ai cristiani incarcerati. Così fu per Giovanni de Prado, inviato a Ceuta e Marrakech e qui condannato ai lavori forzati e poi al rogo. A lui fu dedicata la prima chiesa costruita a Marrakech durante il Protettorato francese quando chiese, monasteri e scuole cattoliche furono fondati un po’ ovunque. Ben due Papi visitarono il Marocco. Il primo fu Giovanni Paolo II nel 1985 (memorabile l’incontro allo stadio di Casablanca con 80 mila giovani), il secondo Francesco nel 2019. Pietre miliari aggiunte al dialogo interreligioso di cui il Monastero della Visitazione è tuttora un simbolo.
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