I migranti di Cerri
Quella proposta dal Galata Museo del Mare di Genova è un’affascinante esperienza espositiva che già nel titolo: «L'Italia che partiva. Via mare verso l'America» condensa la drammatica epopea dei migranti italiani che iniziarono a lasciare l’Italia per le Americhe già a partire dal XIX secolo, imbarcandosi dai quattro porti di Genova, Napoli, Palermo e Messina.
Le opere in bianco e nero della mostra in programma dal 14 marzo al 14 aprile, curata dalla storica dell’arte Barbara Vincenzi e sostenuta dal Museo Italo Americano di San Francisco sono di Giovanni Cerri, e sono state realizzate con tecnica mista su tela o tavola. L’artista esplora la memoria collettiva di un’epoca caratterizzata da profonde trasformazioni sociali e culturali, invitando i visitatori a riflettere sul passato migratorio italiano.
Cerri, con il suo occhio attento, ha catturato storie di braccianti, operai, lustrascarpe, facchini, venditori ambulanti, balie, ecc. che affrontavano un futuro pieno di incognite e incertezze, sobbarcandosi le difficoltà di viaggi transatlantici che duravano dalle tre alle cinque settimane in spazi angusti e sovraffollati, e in condizioni igieniche tali da favorire il diffondersi di malattie, tra i giacigli di paglia maleodoranti e i miasmi del fumo delle macchine a vapore dei piroscafi.
La mostra ha preso avvio dal recupero di immagini, documenti, fotografie e cartoline che racchiudono l’intensità e il dramma della migrazione: dalla ressa sui moli alle visite mediche, a volte umilianti, prima dell’imbarco, alla salita a bordo con valigie di cartone ingombranti, preceduta da strazianti addii; e poi le reazioni alla vista della nuova terra americana, della Statua della libertà, simulacro di una promessa che sanciva, in molti casi, l’inizio di una nuova vita in un Paese con tradizioni, abitudini e leggi differenti, e che archiviava per sempre un passato spesso ingombrante.
La mostra non si limita a celebrare storie di coraggio e speranza, ma rende anche omaggio a tre figure emblematiche legate all’emigrazione italiana: Nicola Sacco e Bartolomeo Vanzetti, ingiustamente condannati a morte sulla sedia elettrica nel 1927 nello Stato del Massachusetts (salvo poi essere riabilitati cinquant’anni dopo dal governatore dello stesso Stato, Michael Dukakis), e George Moscone, il sindaco progressista di San Francisco di origini liguri, difensore dei diritti civili, assassinato nel 1978.
«Le memorie raccolte e trasferite nei dipinti, ci parlano di episodi dolorosi, rimossi dalle nostre coscienze – osserva Barbara Vincenzi –. Figurazioni che tradiscono momenti di disperazione, ma che ci comunicano la dignità di uomini, donne e bambini, che cercando una vita migliore hanno affrontato lunghissimi tragitti fino al primo grido: Terra. L’arrivo! La gioia».
Giovanni Cerri ha lavorato sulla memoria, sul ricordo di quello che gli italiani sono stati in quegli anni a cavallo tra i due secoli: migranti in cerca di fortuna, di una vita migliore. Oggi ci restituisce, come ammette lo stesso artista, «una sensazione di quei nostri “nonni e bisnonni” dei quali forse siamo tutti un po’ discendenti. Si pensi all’Italia di quel periodo post-unitario con un tasso di scolarizzazione molto basso, dove l’analfabetismo era diffuso, e la mortalità infantile ancora alta a fronte di un’aspettativa di vita media certamente non lunga rispetto a quella dell’Italia di oggi, Paese tra i più benestanti al mondo. Ecco, forse il nostro benessere dipende anche da quei milioni di italiani che intrapresero quel viaggio, che spiccarono quel “salto” verso terre lontanissime».