Ecco... inni nazionali. Strette di mano. Monetina in aria per scegliere il campo. Calcio d’inizio. Una folla in adrenalina. Campionati d’Europa. Perché negare? Mi piace il calcio e sento sempre i brividi farsi strada prima «giocare». Dovrei dire: prima di «veder giocare».
Eppure so: il calcio oggi è dei comunisti cinesi (piano d’investimenti per formare 50 milioni di nuovi giocatori entro il 2020), degli emiri del Golfo, degli oligarchi russi, dei magnati asiatici. Ma poi c’è il piccolo miracolo dei Leicester (che pur appartiene a un miliardario thailandese) e l’Atletico Madrid che perde due finali di Coppa dei Campioni (ops, come mi piace il vecchio nome novecentesco della Champions) all’ultimo minuto, all’ultimo rigore. Ed è emozione vera, cuore che palpita. E, in ogni caso, poi c’è la gioia purissima di correre dietro a una palla.
E, allora, che la partita cominci. In una piazzetta bianca di Andria, cittadina della Puglia, la piccola Safiya insegue una palla immaginaria e si aggira, sorniona, ma felina come un vero attaccante, attorno a una porta disegnata sul muro. E noi siamo tutti certi che Thiago Motta (italiano? Brasiliano? Gioca in una squadra pagata dagli emiri del Qatar), numero 10 dell’Italia, ha visto il suo scatto e sta per passarle la palla con un lancio lungo. Noi lì, ad applaudire.
Dicono che il Barcellona, la squadra più bella, toglierà dalle sue maglie blu-granata la scritta dello sponsor (ancora il Qatar) e scenderà in campo con maglie «pulite».
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