Il tronco e le sue radici
Dopo «aprile dolce dormire», viene «maggio, su coraggio». Ma coraggio di che cosa? Coraggio di vivere? Coraggio di morire? Coraggio di scegliere?
Il dibattito sul testamento biologico, sul fine vita, sull’accanimento terapeutico è da sempre infuocato e rimane un tema fondamentale.
Fondamentale perché ci riguarda tutti. Ora che il tema è regolato da una nuova legge, spero vivamente che si affronti la discussione con meno polemiche e più umanità.
Il mio punto di vista sull’argomento è il solito e non è mia intenzione gettare ulteriore benzina su una questione da sempre rovente.
Eppure, stuzzicato da una bellissima intervista fatta dal mio amico e collega Antonio Malafarina ad Adriano Pessina, docente di bioetica dell’Università Cattolica di Milano, sento l’esigenza di tornare a parlarne. Iniziando da una bellissima metafora fatta dal docente, che mi riguarda molto da vicino e che faccio mia:
«Ciò che mi pare evidente è che gli uomini occidentali, cresciuti nel mito del self made man, temano soprattutto la dipendenza e i tempi lunghi della malattia o dell’invalidità. In fondo noi non siamo fatti per la morte, che resta la grande contraddizione della vita, ma per la vita. Oggi dobbiamo imparare che ci sono legami e dipendenze che non mortificano l’autonomia, ma le danno significato e direzione: come le radici di un albero che sembrano legarlo al terreno ma che in realtà sono la condizione per cui possa fiorire».
Come molti di voi sanno, il giorno della mia venuta al mondo il commento dei medici fu impietoso, per me e per i miei genitori: «Vostro figlio sarà un vegetale per tutta la vita».
Un vegetale, come un albero, con delle radici ben piantate, mosse solo da quattro ruote. Mentre ero appena una piantina in fasce, c’era già chi annaffiava le mie radici, fino a farle fiorire nel tempo, con sofferenza e divertimento, fatiche e gioia, speranza e sacrifici.
Quello che vi racconto non vuole fungere da esempio, non vuole essere una regola, è semplicemente la mia vita. Troppo spesso, come dice anche Pessina nell’intervista, si accendono i riflettori su casi specifici che animano discussioni ideologiche e politiche, senza pensare in primo luogo all’autodeterminazione degli esseri umani e in seconda battuta alla specificità e alle peculiarità dei diversi casi.
Casi che sono esseri umani, non dimentichiamolo. Decisive, e lo sono in ogni momento dell’esistenza, sono le relazioni. Senza relazioni il mondo è inanimato.
Sono le relazioni che contribuiscono ad annaffiare le nostre radici, ad aiutarci nelle nostre scelte. Nel personale e drammatico momento della scelta stessa sul testamento biologico, nella relazione con gli altri è possibile trovare quel sostegno e quel coraggio che da soli facciamo fatica a tirare fuori.
Non è un caso che un luminare come il professor Pessina chiuda la sua intervista con queste parole: «Abbiamo bisogno di speranza e non di illusioni, e la speranza è la presenza di relazioni significative capaci di dare senso al tempo della vita, anche a quello estremo che ci approssima alla morte».
E voi siete disposti ad annaffiare radici? Scrivete a claudio@accaparlante.it o sulla mia pagina Facebook.