Il volto di Antonio
Un volume che è uno scrigno di tesori. Tesori artistici, certo, ma anche tesori legati a una pietà popolare che nel corso dei secoli ha voluto dare un volto al suo ispiratore. Stiamo parlando di Antonio di Padova e dei moltissimi affreschi, dipinti, tavole, incisioni... che nel corso dei secoli gli sono stati dedicati da artisti grandissimi così come da semplici «artigiani dell’immagine» che in tal modo volevano, forse, esprimergli semplicemente la propria riconoscenza.
Il Centro Studi Antoniani ha appena dedicato a questo tema un ponderoso volume, firmato da Leo Andergassen, dal titolo: L’iconografia di sant’Antonio di Padova dal XIII al XVI secolo in Italia. In estrema sintesi, una summa, molto accurata, delle numerosissime immagini legate al Santo presenti nella storia dell’arte italiana. Ne parliamo con fra Luciano Bertazzo, direttore del Centro.
Msa. Per quale motivo avete scelto di prendere in esame proprio il periodo compreso tra il XIII e il XVI secolo?Bertazzo. Il XIII secolo è quello in cui Antonio vive e muore (il 13 giugno 1231), quindi a questo periodo risalgono le prime testimonianze iconografiche che lo riguardano. Il XVI secolo è, invece, quello in cui non solo si è avuta la prima importante divisione dell’Ordine francescano in conventuali e osservanti (1517), ma anche quello in cui, a partire dal concilio di Trento (1545-1563), c’è un consolidamento dell’immagine del Santo, per cui egli comincia a essere quasi sempre rappresentato con alcuni simboli distintivi che lo rendono immediatamente riconoscibile: il libro, il giglio e il Bambino. Questi tre elementi, a partire proprio da tale periodo, sono sostanzialmente punti fermi dell’iconografia antoniana, anche se possono variare nella composizione o nella rappresentazione.
Lo studio dell’iconografia relativa a san Francesco è molto più avanzato rispetto a quello di sant’Antonio. Come si spiega questo fatto? E quali sono le differenze sostanziali tra le due? La differenza è la stessa rintracciabile tra il fascino di san Francesco, che ripercorre non solo l’iconografia ma anche la sua biografia, e lo strano sdoppiamento della figura di sant’Antonio, diviso tra storia e devozione popolare. Fino al 1317, quando venne canonizzato Ludovico d’Angiò, sono loro i due campioni di santità che l’Ordine può proporre. Anche per questo molte volte, dal punto di vista storico, Francesco e Antonio sono raffigurati in parallelo: uno è il santo fondatore dell’Ordine, il «padre» Francesco, l’altro, Antonio, è il discepolo perfetto, colui che ha saputo dare un – diremmo oggi – imprinting particolare all’Ordine soprattutto nel campo della predicazione. Ma il gioco di parallelismi si vede anche nei riferimenti cristologici che accomunano i due santi: Francesco è rappresentato molto spesso con le stimmate, mentre Antonio ha sempre il Bambino tra le braccia. Francesco, nel primissimo periodo, ha anche la croce; Antonio ha invece sempre il libro, perché è il predicatore per eccellenza della parola di Dio. Francesco è raffigurato mentre predica agli uccelli; Antonio ai pesci. Questi parallelismi percorrono l’intera storia dell’iconografia antoniana e francescana. C’è invece un motivo per cui le immagini di Francesco sono più numerose e quindi più studiate: egli fu infatti sepolto sotto terra e per un lungo periodo non si potè nemmeno vedere la sua tomba; questo favorì ad Assisi una proliferazione di immagini che servivano a raccontarne la vita. Il corpo di Antonio, invece, venne posto nell’Arca, punto di riferimento visibile e costante che rese quasi superfluo l’utilizzo dell’immagine artistica per incontrare la sua storia di santità.
Quali sono gli ambiti nei quali le raffigurazioni antoniane sono più frequenti e perché? Dove ci sono insediamenti francescani. Si tratta, in genere, di raffigurazioni che raccontano storie che è possibile comprendere proprio attraverso una catechesi. Una grande reminiscenza iconografica antoniana avviene in particolare nei cicli di chiesa legati all’osservanza francescana, perché essa recupera in modo particolare la figura di Antonio come predicatore capace di spezzare la Parola in modo nuovo. In tali ambienti Antonio rappresenta l’anello di congiunzione, assieme a Bernardino da Siena, tra l’antico e il nuovo. C’è un’immagine nella Basilica del Santo (attualmente conservata al Museo antoniano) che esprime proprio questo: si tratta della lunetta dipinta da Andrea Mantegna nel 1452 e posta (ora in replica) sopra il portale del Santuario. Quell’affresco ci dice che ad accogliere i pellegrini vi sono due santi impegnati entrambi nell’indicare con le loro parole la centralità di Gesù (che infatti troneggia tra loro nel monogramma raggiante): Antonio, il santo nuovo predicatore della prima generazione francescana, e Bernardino (che nella piazza del Santo aveva predicato nel 1444) il santo della seconda rinnovata predicazione francescana, impegnati a proclamare la Parola di Dio.
Esiste un’iconografia antoniana contemporanea? Sì, ed è molto più frequente di quello che si possa immaginare. Basti pensare al ciclo di affreschi realizzato da Pietro Annigoni nella Basilica padovana. In genere, questa fase dell’iconografia antoniana è caratterizzata da un ritorno alle macrotematiche classiche: l’incontro con Ezzelino, la predica ai pesci, Antonio predicatore… Non mancano mai, ovviamente, anche gli altri elementi tipici antoniani: il libro, il giglio, il Bambino. A essi, però, si aggiunge il pane, che era già presente nel Seicento e che deriva dal famoso episodio legato a un bimbo di nome Tommasino, il quale, lasciato solo dalla madre, cadde in un secchio d’acqua e morì e, secondo la tradizione, fu restituito alla vita dal Santo. La madre, in segno di riconoscenza, promise di donare ai poveri tanto pane quanto pesava il piccolo. Il pane rappresenta, dunque, un simbolo di carità capace di parlare ancora agli uomini di oggi. Antonio, anche attraverso le immagini, porta avanti il suo messaggio, riassumibile nel motto «Vangelo e Carità», e sa provocare a un atteggiamento radicalmente evangelico che, seppur differente rispetto a quello di san Francesco, è comunque altrettanto forte.
L'intervista integrale si può leggere sul Messaggero di sant'Antonio n.6/2017 come pure nella versione digitale della rivista.