«Io quegli occhi li ho già visti»
Sono davvero molte le storie (e i volti) che si incrociano in Basilica, grazie a sant’Antonio. Molte di queste non vengono narrate: rimangono racchiuse dentro una mano che non si stacca dal marmo della tomba del Santo; o si fissano negli occhi chiusi raccolti in preghiera.
Tante, invece, si possono ritrovare affidate a un piccolo foglio di carta, a un’immagine a volte scolorita, a un dipinto, a un oggetto tra i tanti che si trovano nel Museo della pietà popolare. Basta entrare in questo luogo, anche per pochi minuti, per incrociare, realmente, alcune di queste storie.
Le si può scorgere negli ex voto che le raccontano e, al tempo stesso, nei volti delle persone che arrivano in Basilica per dire grazie a sant’Antonio.
È, infatti, nella «casa» di Antonio che, spesso, si «chiude il cerchio»: chi ha ricevuto la carezza del Santo, chi ne ha sentito la presenza, l’intercessione potente nella propria vita viene a restituire, fosse anche solo con un semplice grazie, ciò che gli è stato donato.
Nel Museo della pietà popolare sono tante le vicende ricordate: ad esempio, c’è chi ha creduto di perdere un figlio e, invece, l’ha ritrovato; chi è caduto e si è rialzato; o, ancora, chi, come mostrano i dipinti più antichi, è rimasto coinvolto in un incidente con la carrozza ed è stato miracolato; chi è scampato a un incendio e chi si è salvato da un naufragio; chi è uscito da una malattia e chi ha avuto il dono di un figlio; chi stava per perdersi nel tunnel di una dipendenza e, invece, ha trovato la luce.
È una storia di buio, e di luce improvvisamente ritrovata, anche quella di Domenico (nome di fantasia), 40 anni, di Cosenza. In Basilica ci era arrivato per caso. Scoprendo, poi, che nulla capita senza un perché. A raccontarla oggi è uno dei tanti frati che in Basilica accolgono, ascoltano e accompagnano i pellegrini.
«Mi trovavo quel giorno a passare davanti al Museo della pietà popolare, dove vengono raccolti gli ex voto. Gli addetti alla sorveglianza erano agitati. Mi chiesero di entrare: un uomo si era sentito male. Mi riferirono che, d’improvviso, egli aveva iniziato a barcollare e subito lo avevano fatto sedere».
Il frate arrivò mentre Domenico stava sorseggiando dell’acqua. Il volto, dapprima bianco come un lenzuolo, pian piano andava riacquistando colore. Appena il tempo di riprendersi ed ecco che l’uomo, senza nemmeno attendere che gli venisse chiesto se finalmente si sentisse bene, esordì perentorio: «Io quel volto lo conosco!».
Il frate si guardò intorno: «Ma di chi sta parlando, a quale volto si riferisce?». «Caro padre – disse Domenico al frate – io quegli occhi li ho già visti!» e indicò una piccola immagine raffigurante sant’Antonio. Poteva forse non riconoscere una voce, un particolare accento o un’intonazione. O non ricordare con precisione corporatura e altezza di qualcuno.
Ma davanti a un volto o a uno sguardo Domenico non si era mai sbagliato. Gli bastava incrociarli una sola volta, fosse anche per un attimo, perché gli si fissassero per sempre nella memoria. Così gli era capitato anche quel giorno, quello che da principio avrebbe definito il più buio della sua vita ma che si dimostrò essere tale solo in apparenza.
Domenico iniziò il suo racconto al frate. «Era un venerdì. Quel giorno stavo finendo di tinteggiare le pareti esterne di un’abitazione. Non è propriamente il mio lavoro, ma devo arrotondare lo stipendio e guadagnarmi qualcosa in più per arrivare a fine mese. Inavvertitamente, con la scala, toccai i fili dell’alta tensione. Il mio ricordo si ferma qui: quanto accadde dopo mi fu raccontato dai compagni di lavoro e dai miei famigliari».
Scaraventato a terra, perse i sensi. I colleghi diedero l’allarme. Sul posto arrivò un’autoambulanza che lo trasferì d’urgenza nel più vicino ospedale. «Su quel letto d’ospedale rimasi inchiodato per giorni, privo di conoscenza, senza alcun contatto con il mondo esterno. L’unico fatto che rammento con nitidezza è che, a un certo punto, vidi una grande luce. Da quel bagliore cominciò poi a stagliarsi una figura.
Era un uomo vestito da frate. Subito non ne distinsi bene i lineamenti. La luce era talmente intensa che, a malapena, riuscivo a scorgerne i contorni. Ma quel frate lentamente si avvicinò. Appoggiò quindi le mani sulla sponda del letto e pronunciò alcune parole che non dimenticherò mai: “Domenico non è ancora arrivato il tuo momento, torna a vivere”.
Solo allora potei vedere nel dettaglio quel volto, in particolare quegli occhi: erano gli stessi che ora mi stanno fissando da quell’immagine. Padre, lei forse mi crederà un visionario, ma lo sa qual è il mio lavoro principale? Io sono un pittore, sono specializzato nell’esecuzione di ritratti e, quando vedo un volto, anche una sola volta, mi si imprime nella memoria in maniera indelebile.
Dopo quella visione ripresi conoscenza. Uscii dall’ospedale e ricominciai la vita di tutti i giorni. Ora sono venuto da sant’Antonio per ringraziarlo: sentivo dentro di me che era stato lui a salvarmi. Fino a oggi non avevo più rivisto il volto di quel frate, ma ora è qui davanti a me, impresso in questo quadro che pare guardarmi dritto negli occhi. E l’emozione mi ha tolto il fiato».
Grazie a sant’Antonio Domenico è tornato a vivere. Di più, ha iniziato a dipingere di nuovo: occhi, sguardi, volti e, in fondo, vite.