La Flotilla, metafora della crisi della politica
La Global Sumud Flotilla è stata abbordata e fermata dall’esercito israeliano, nella sua corsa verso Gaza. Al momento pare che una delle barche, di nazionalità turca, la Mikeno, abbia raggiunto le acque a poche miglia da Gaza, un risultato che se confermato avrebbe l’eco di un’impresa da Davide contro Golia. La gente che a terra sostiene la Flotilla sta protestando a gran voce contro l’azione israeliana, dichiarandone l’illegittimità; i governi dei Paesi a cui appartengono gli attivisti per lo più hanno avuto reazioni tiepide, intimando vagamente di seguire il diritto internazionale e di salvaguardare i propri cittadini, altri hanno condannato la spedizione, considerandola in mala fede, una sorta di scampagnata radical chic, un intralcio agli accordi di pace in corso. Capovolgiamo la domanda: Chi, tra i governi, ha condannato o commentato criticamente il blocco israeliano della Flotilla? Pochi, specie a Occidente, per esempio il Brasile di Lula, i «borderline» come la Turchia e i «cattivi» come l’Iran. Il risultato è che si polarizza un'esperienza senza la possibiità di rifletterci su.
Peccato non si voglia andare oltre la superficie delle opposte propagande, per farsi alcune domande di fondo, molto serie: Come mai la società civile di ben 44 Paesi ha reputato necessario, pur con tutti i limiti, di muoversi di persona in soccorso di Gaza? Metterci il corpo, la presenza, rischiare la vita? In questa storia di soccorritori improvvisati – come dicono alcuni – di governi abbottonati, di Paesi che sembrano avere la licenza di uccidere, chi sta agendo seguendo il diritto internazionale e chi no? Come mai molta gente non va più a votare nelle democrazie occidentali, ma è capace di mobilitarsi in modi che non vedevamo da tempo contro quello che viene percepito come un abominio umanitario, un qualcosa da cui smarcarsi per non essere complici?
Nel nuovo mondo multipolare, rissoso e guerrafondaio, dal punto di vista delle relazioni internazionali c’è sempre più bisogno di un minimo comune denominatore, un ordine etico e giuridico che tutti riconoscano e che possa fare da garante. Da decenni le istituzioni internazionali, il diritto internazionale e il diritto internazionale umanitario sono stati indeboliti e picconati spesso proprio dai governi che vogliono mano libera, in un mondo che invece ha sempre più bisogno di alcune certezze di base. Il caos giuridico diventa caos etico e le persone sempre di più percepiscono il pericolo, la confusione, l’abbandono dei decisori, a tratti la follia, di un mondo che ha perso i punti cardinali della propria umanità. Quale migliore metafora di quella di imbarcarsi su barchette fragili che cercano di tenere la rotta in balia della tormenta?
E, ultima fondamentale domanda: non è una buona notizia che così tante persone, pur con tutti i limiti della Flotilla, si attivino per far finire lo sterminio di Gaza? Non sarebbe meglio ascoltare e accogliere, magari orientare verso forme ancora più efficaci, questo impeto di partecipazione, invece che limitarsi a giudicarlo?
Possiamo perdere settimane a domandarci se la Flotilla sia di destra o di sinistra, se voleva portare aiuti o piuttosto un messaggio politico, se voleva andare contro a questo o quel governo; ciò che appare è che la politica a tutti i livelli, smarrita nei calcoli d’interesse e geopolitici, abbia perso i suoi fondamentali, e ora stia perdendo anche la sua gente, che si è sentita e si sente assolutamente sola, come in una barca in balia di una tempesta infinita.
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