La scomparsa della tenerezza
Bisogna essere onesti e sinceri: chi, tra noi laici che frequentiamo la Chiesa continuando a credere in questa istituzione, oggi non si sente imbarazzato – se non addirittura allarmato – se vede un sacerdote carezzare con affetto un bambino? Oppure se vede un prete mettere un braccio intorno alla spalla di un ragazzo angosciato che l’ha cercato per aprirgli il suo cuore? Questo significa che qualcosa si è spezzato, irrevocabilmente, nel rapporto tra sacerdoti e fedeli. Ogni gesto è diventato sospetto, perché il significato semplice, buono, affettuoso, di tante espressioni fisiche è stato utilizzato non per rassicurare e confermare un altro, ma, al contrario, per violare l’intimità di un bambino, di una donna, cioè di un debole. E questo fatto ha cambiato in modo radicale il rapporto, impoverendolo, privandolo di spontaneità, di empatia, in definitiva di possibilità di far sentire in modo caldo l’affetto.
Il ruolo del sacerdote non è infatti solo quello di insegnare, o di giudicare, ma in primo luogo quello di mantenere il cuore aperto verso gli altri, di saper stare accanto alle persone con calore e sollecitudine; nella tessitura di questa vicinanza affettiva non potere dunque ricorrere in alcun modo al tatto – ormai considerato anticamera di un possibile abuso – costituisce una grave menomazione.La figura sacerdotale rischia di diventare così sempre più algida, sempre più morale e intellettuale, rinunciando alla creazione di quei legami affettivi che possono meglio lenire il dolore dei cuori. Certo, sappiamo che non tutti ci riuscivano, che aprire il cuore alle ferite degli altri riesce meglio alle donne che agli uomini, ma sappiamo anche che molti preti sono riusciti a vivere la misericordia verso il gregge a loro affidato con straordinario calore e intensità. Adesso è diventato indubbiamente più difficile per tutti, e sempre più numerosi saranno i sacerdoti che, per difendersi dai possibili sospetti, assumeranno un atteggiamento distaccato, freddo, con grave detrimento della loro missione e quindi, inevitabilmente, della Chiesa nel suo complesso.
Questo accade per gravi e indiscutibili motivi, ma sta cambiando radicalmente la vita quotidiana delle comunità cattoliche nel mondo. E in questo modo il male che è penetrato nella Chiesa è ancora più subdolo e più radicale di quello che si manifesta con orribile evidenza in ogni singolo abuso: come scrive Simone Weil, per ogni essere umano il vero momento in cui concepisce il male è quando un gesto ferisce la prima apertura di fiducia al mondo, negandola, violandola. L’apertura fiduciosa è qualcosa di cui non ci rendiamo conto, che ci accompagna dall’infanzia per tutta la vita, secondo una logica che viene prima della stessa differenza tra bene e male, che precede ogni riflessione. Se sospettiamo il male nel gesto di ogni sacerdote, vuol dire che l’esperienza del male è entrata ormai ad avvelenare la missione evangelizzatrice della Chiesa, che la tolleranza verso una discrepanza tra il dire e il fare, che entro certi limiti era sempre accettata, oggi non esiste più. Si può concludere che i fedeli hanno ormai perso la pazienza. E questo accade non tanto, o non precipuamente, a causa delle trasgressioni sessuali – orribili, ma che sappiamo essere non limitate al solo ambito ecclesiastico –, ma soprattutto per la copertura dei colpevoli, per il silenzio.
Un silenzio che va senza alcuna esitazione deprecato anche se è opera della famiglia, della società sportiva, della scuola laica, ma che diventa inaccettabile se a sceglierlo è proprio chi fonda la sua missione, e quindi anche la sua autorevolezza, sul Vangelo. La Chiesa perde, quindi, completamente la sua credibilità se dimentica di essere responsabile di testimoniare e trasmettere un messaggio che è fondato proprio sul riconoscimento del valore di una vittima, Gesù crocifisso.
Perché allora tante autorità ecclesiastiche hanno scelto, con il silenzio, di stare dalla parte del colpevole che in questo modo non veniva punito, invece che da quella della vittima, che veniva così ignorata e ulteriormente umiliata? Papa Francesco si è reso conto della profondità di questa crisi, e ha individuato la causa che sta alla base di questa insostenibile situazione nel potere e nell’abuso di potere – il clericalismo – che nasce da un’interpretazione perversa del ruolo sacerdotale. E ha detto ad alta voce che per farla finita con questa piaga ci deve essere un cambiamento profondo nella Chiesa, con una revisione completa della mentalità generale e della preparazione dei futuri preti; con la richiesta, cioè, di ritornare alle origini del messaggio evangelico, che parla sempre di servizio e non di potere per quanto riguarda il compito degli uomini che vogliano essere imitatori di Dio.
Si capisce quindi molto bene come questo coraggioso discorso di papa Francesco susciti tante opposizioni, e come la complessa struttura ecclesiastica opponga ancora molte resistenze alle sue parole, alla sua richiesta di purificazione radicale. Si capisce anche perché il Pontefice abbia voluto iniziare l’incontro di febbraio sugli abusi con l’ascolto della voce delle vittime: solo le loro parole e le loro storie, infatti, hanno il potere di scuotere cuori induriti da una errata concezione del dovere, quella, cioè, che vede nella protezione della Chiesa come istituzione il dovere primario.
E, ancora, si capisce perché il Papa non si sia limitato a fare ascoltare la testimonianza drammatica di alcune vittime di violenze avvenute su minori, ma abbia finalmente dato la parola a una religiosa abusata da un prete, e da costui addirittura costretta ad abortire tre volte. Per le donne, infatti, la situazione è molto più complessa. Il rapporto sessuale non è infatti considerato un crimine di per sé, come accade per i minori, e quindi è ancora più necessario identificare l’azione e l’effetto di pesanti trame di potere dalla sempre possibile trasgressione sessuale. In questi casi, bisogna dunque avere più coraggio e occhi più liberi per non fermarsi davanti alle apparenze, e per arrivare finalmente a proteggere religiose che per paura non hanno neppure la forza di denunciare.
È questa la via – rivelare pubblicamente i meccanismi perversi di potere e punire i responsabili – che papa Francesco ha indicato per superare questa crisi, per riacquistare il rispetto e la fiducia dei fedeli, per potere di nuovo osare una innocente carezza come forma di comunicazione, per riconquistare il diritto alla tenerezza, per esercitare in modo più concreto la misericordia.