Le molte forme dell'amore
Elisa, un’umile giovane donna delle pulizie, single e muta (ma ci sente benissimo), s’accorge che uno strano ospite viene condotto di nascosto nel laboratorio scientifico-militare di Baltimora, dove lei lavora. Si tratta di un lungo anfibio, rinchiuso in una gabbia di vetro e poi incatenato in una vasca. Catturato in un fiume amazzonico, dove era ritenuto una creatura semidivina, è ora ridotto a cavia da esperimenti.
La curiosità di Elisa non è frenata dalla paura ed ella scopre che l’uomo pesce può comunicare, apprezzare la musica, imparare segni linguistici ed esprimere emozioni. Tra i due nasce un’alleanza e poi una relazione sentimentale, persino erotica. Viene così progettato un rischioso piano di fuga…
La fiaba di Del Toro illustra una storia d’amore che è nel contempo un mito ecologico e una parabola di liberazione: poveri contro ricchi, disabili contro potenti, diritti civili contro abusi dei tiranni, l’emancipazione dei dissidenti contro la gestione paranoica e cancrenosa delle organizzazioni.
Un primo gruppo di riflessioni, elaborate dall’etica della vita, ruota attorno al concetto di persona. L’uomo pesce è una persona? Persona è una sostanza individuale di natura razionale, scriveva Severino Boezio (un filosofo del VI secolo d.C.). Domanda opposta: basta appartenere alla specie umana per meritare una tutela personale, anche se non si è ancora in grado di svolgere funzioni superiori (l’embrione) e anche se un soggetto ha perso per sempre ogni capacità di coscienza (i coma irreversibili di certi stati vegetativi permanenti)?
La posizione cattolica ha sottolineato la profonda unità, nella vita umana, tra corpo e coscienza. La malattia non altera la natura umana, ma ne soffoca le qualità e le prestazioni. Una vita nascente, un corpo malato meritano la nostra cura massima ed eguale a quella riservata agli altri membri più fragili della famiglia umana. Solo dopo l’istante della morte, si potrà dire che quell’individuo non esiste più.
Altro tema etico-filosofico riguarda il mostro. L’uomo-pesce è un mostro? E che cosa ce lo fa apparire brutto, anzi orribile, spaventoso, inguardabile? Una prima ragione sta nello spettacolo di una natura, la cui imprevedibile fecondità sovrasta le nostre forze fisiche e spezza le ordinate classificazioni dei biologi. Questa potenza traboccante spaventa la nostra ignoranza e ferisce la nostra ambizione, rivelandoci che anche noi, esseri razionali, siamo «animali umani» piccoli e inermi.
Una seconda ragione di paura si lega probabilmente al fatto che la contaminazione tra elementi diversi (i polmoni e le branchie, la cute e le squame) sconvolge la separazione tra normale e patologico e fa pensare a una malattia, che potrebbe contagiare chi contempla troppo da vicino queste strane creature. Non c’è forse anche dentro ciascuno di noi, nei nostri corpi o nelle nostre anime qualcosa di diverso, selvaggio, pericoloso, malato?
La forma dell’acqua è quella che non ha una forma, ma si adatta agli spazi che essa riempie. Anche il desiderio amoroso, per diventare realtà, segue destini imprevisti, profitta di incontri casuali, avvicina e lega personaggi lontani: una donna delle pulizie, una spia sovietica, un mostro di fiume, un buffo pittore gay. Elisa ama, ma è disposta a perdere l’amato pur di salvarlo; guadagnerà invece una nuova identità, un nuovo habitat, una nuova salute.
L’appartamento d’Elisa poggia sul soffitto di una sala di proiezione, e in platea piovono le gocce di una passione incontenibile. Ma tutto il film è disseminato di riferimenti al cinema. Perché? Perchè il cinema è l’ambiente liquido, in cui lo spettatore s’immerge, per contattare una realtà sfuggente, per sentire sulla pelle le squame di un sogno impossibile, per prendere il largo tra le correnti di una trama infinita, spaventosa e commovente, rischiosa ma assieme prodigiosa, capace di guarire le ferite di un’atmosfera violenta.