Non aver paura del Colombre
Alajuela, in Costa Rica, meno di venti chilometri dalla capitale San Josè, è una ciudad-palabra. Terra di cuenteros. Di cantastorie. Nella piazza, ascolto il racconto di un ragazzo della costa del Caribe. Ha un cappelluccio di paglia in testa, una barbetta a pizzo e occhi che non si fermano un secondo. Racconta all’ombra delle palme, con orchestra di uccelli. Il suo pubblico sono i bambini, le mamme, i passanti incuriositi, alcuni anziani seduti su una panchina vicina. Racconta del Colombre, creatura fantastica, mostro marino, messaggero di divinità marine. Chi ne avrebbe intravisto solo la scia, non avrebbe avuto scampo, questo aveva detto un pescatore al figlio Stefano. E il ragazzo passò la sua vita a fuggire dalla paura di incontrare nuovamente il Colombre. E l’animale, con insistenza, lo seguiva in qualunque lato del mondo marino. Alla fine erano entrambi stanchi e vecchi. Stefano decise di affrontarlo. Si trovarono uno di fronte all’altro. L’uomo impugnava un arpione. Il Colombre fece in tempo ad aprire la bocca, Stefano arretrò, l’animale ruotò la testa e qualcosa brillò fra i suoi denti. Una perla, una grande perla, una perla bellissima. Per ordine del Re del Mare, il Colombre aveva inseguito Stefano per tutta la vita solo per donargliela e lui era sempre fuggito in preda alla paura.
Trovarono il corpo di Stefano in una barca alla deriva. Nel pugno stringeva la perla.
E io sono venuto dall’altra parte dell’oceano per ascoltare Eyder, cuentero dei Caraibi, raccontare una storia di Dino Buzzati scritta nel 1966. Dovevo venire in una piazza di una città di cantastorie per apprendere a guardare in faccia la paura.
Scatto una foto a Eyder. Per ricordare. Per ringraziarlo del dono della perla.
(Ad Alajuela, ogni anno, a novembre, si svolge la grande festa dei cuenteros. Per saperne di più, si può collegarsi al loro sito Alajuelaciudadpalabra.org)
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