Hic sunt dracones!
E se non erano dracones erano non meno terrificanti leones! La realtà delle cose cambiava di poco. A dire la verità, studiosi e cartografi ne mettono seriamente in dubbio la storicità, ma taluni raccontano, e giurano, di aver letto questa scritta latina, accompagnata dalla rispettiva illustrazione «bestiale», ai margini di alcune antiche misteriose mappe. Che proprio perché antiche e misteriose non possono che essere ormai scomparse, o chissà dove diavolo ben nascoste ai nostri occhi.
La traduzione, «qui sono i draghi» (o, appunto, i leoni, ma anche altri animali più o meno fantastici), era un post-it, messo lì a bella posta. Un segnale, un alert, in elegante e sinuosa calligrafia, anzi, una crittografia: la password per accedere a un «altro» mondo. Insomma, un reagente chimico che, a contatto con la curiosità e l’indomabile sete di infinito che sonnecchia dentro l’uomo, ogni uomo, avrebbe provocato una detonazione esistenziale ed emotiva.
Perché «hic sunt dracones» segnava drasticamente un confine, un limite invalicabile della nostra conoscenza: fin qui stanno le terre sinora esplorate, quelle di cui sappiamo e possiamo dire usi e costumi, coltivazioni e produzione industriale. Di là, inizia il «non ancora conosciuto», le terre inesplorate e misteriose, «dove la mano dell’uomo non ha mai messo piede» (la battuta è di uno dei due famosi agenti dei fumetti di Tintin, appena sbarcati sulla luna). Se preferivate, potevate arrestarvi lì. Nessuno ve ne avrebbe fatta una colpa. Perché per essere coraggiosi, bisognerebbe avere coraggio, e questo uno non se lo dà da sé.
Ma un confine è fatto anche per essere oltrepassato, se non proprio per indurci alla trasgressione! Fisicamente, ma senz’altro con la mente e anche gettando il cuore oltre la staccionata. È riconoscere che «là fuori» esiste molto altro: che poi noi non si sia in grado di definirlo o descriverlo, o di piegarlo a nostro tornaconto, nulla toglie alla sua realtà.
«Hic sunt dracones» marca il nostro limite, ci ridimensiona, ci favorisce un sano principio di realtà. Ma, allo stesso tempo, ci spalanca l’orizzonte, facendoci sedere sull’orlo dell’infinito! Ci rende responsabilmente operosi, ma senza il delirio di sentirci onnipotenti. O con l’illusione che il mondo finisca dove si esaurisce la mia capacità di comprensione e di manipolazione. Ridà fiato a sogni e desideri. Scuote e disturba la nostra pigrizia.
Per certi versi, è la riedizione, linguisticamente e simbolicamente rivista e aggiornata, della parabola evangelica dei talenti (Mt 25,14-30). Nella tensione tra il «qui», limitato e imperfetto, e il «là», incommensurabile e spiazzante, da riempire con la nostra capacità di meravigliarci e di metterci in gioco. Di intravedere qualcosa che nessun altro scorge. Di fidarci. Spinti oltre, vibrando accarezzati dal vento ignoto che soffia da non sappiamo bene nemmeno dove.
Un futuro di bellezza e di novità che ci viene incontro. E se anche sorella morte, come la chiama san Francesco, uno di quei contrabbandieri dello spirito capaci di oltrepassare i limiti sia in un verso che nell’altro, non fosse altro che l’ennesimo «hic sunt dracones»? Che il suo sconfinamento sia proprio la vita per sempre in Dio?
Dispiace un po’ che noi, internauti in cerca di certezze con corto respiro, abitanti del villaggio globale e nel futuro sempre più prossimo anche interstellare, ci affidiamo per il nostro camminare solo a googlemaps. Che, preciso, evidente, senza sorprese, al cui occhio spaziale nulla sfugge delle pieghe più recondite della terra, non segnala più nessun «hic sunt dracones». Ma neppure altri animali.
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