Le stagioni di Mario
La casa e l’arboreto selvatico di Mario Rigoni Stern non sono recintati. Il piccolo gruppo di alberi – abeti, larici, tigli, frassini, betulle, sequoia – piantati dallo scrittore e dai suoi figli nel corso dei decenni, sono aperti verso la strada sottostante e il bosco dietro casa.
A cento anni dalla nascita, avvenuta il primo novembre 1921, è un fervore di iniziative in ricordo dello scrittore dell’«Altipiano», come lo chiamava lui. Un interesse inaspettato a detta di quanti, da anni, ne divulgano la figura e le opere. La grande novità è la scoperta dell'autore da parte di molti giovani e l’approccio innovativo con cui essi stessi, attraverso articoli, scritti, tesi universitarie, ma anche l’apertura di pagine social e blog, raccontano un Rigoni Stern a tratti persino inedito.
«La casa di Valgiardini e l’alboreto non recintato bastano da soli a spiegare la visione che Mario aveva del mondo – spiega Giuseppe Mendicino, biografo di Rigoni Stern –. È una visione aperta e tollerante, la consapevolezza di essere tutti parte di un’unica umanità, tutti compaesani quando si condividono valori come generosità, coraggio, sobrietà, senso di giustizia, amore per la ragione e per la libertà. Così come antesignano è l’amore per la natura e il fondersi con essa nel rispetto dei cicli e delle stagioni, camminando quasi fianco a fianco per ascoltarne il respiro.
Le celebrazioni del centenario – iniziate con un convegno internazionale, l’emissione di un francobollo speciale, la mostra «Selvatici e salvifici» a Rovereto (TN) fino al 22 febbraio 2022, la prima biografia a fumetti realizzata da Camilla Trainini e Chiara Raimondi, edita da Becco Giallo – vedono in calendario iniziative per tutto il 2022 (www.mariorigonistern.it).
«C’è molta modernità nei suoi scritti – ha detto il ministro per la Cultura, Dario Franceschini –. Con grande anticipo ha dimostrato di avere un rapporto sano con la natura fondato sul rispetto. Un messaggio universale di cui non possiamo fare a meno. Rigoni Stern ne scriveva prima che questa sensibilità divenisse centrale nell’agenda globale». Per Sergio Frigo, giornalista, scrittore, presidente del Premio internazionale Mario Rigoni Stern, questa nuova stagione, con interesse anche all'estero, è «tutta farina del suo sacco.
Piacciono i suoi libri, il suo modo di vivere e narrare la montagna, il suo essere un uomo semplice, cristallino, rigoroso. Se molti giovani studiosi gli stanno dedicando ricerche, il merito è solo suo. Come tutti ha sbagliato, ma esserne consapevole gli ha permesso di non lasciarsi sopraffare dagli errori. Quando, a guerra conclusa, è tornato a casa, l’immergersi nei suoi boschi lo ha guarito dalla depressione. La montagna lo ha salvato e lui non lo ha mai dimenticato».
Due i temi centrali nel racconto dell’uomo e dello scrittore: storia e natura. «L’intensa storia personale si salda con la grande Storia, annoverandolo tra i testimoni indiscussi del Novecento – prosegue Frigo –. Ha saputo coniugare, in maniera profonda, il dovere della memoria con l’amore per un ambiente fatto di boschi, cime, avvallamenti, rocce. Tra l’altro in un luogo, l’Altipiano, già di per sé intriso di storia, imbevuto del sangue di migliaia di soldati».
Per lo scrittore, afferma Sara Luchetta, giovane ricercatrice, cattedra Unesco Università Ca’ Foscari di Venezia, «la montagna non è solo uno spazio, ma un nucleo di significati da cui si dipartono i fili della costruzione di un modo di essere cittadino del mondo, di leggere e comprendere la storia, di sentirsi frammento di una collettività. Una montagna che disegna i contorni dell’umano e che, quindi, va vissuta, capita, raccontata».
Tra gli altri elementi di attualità, l’etica del coraggio. «Un valore per nulla scontato –aggiunge Mendicino –: coraggio e senso di responsabilità nel guidare i settanta uomini del suo plotone attraverso la steppa immensa e gelata durante la ritirata di Russia; coraggio nel dire “no” a chi, dopo l’8 settembre, avrebbe voluto arruolarlo nella Repubblica Sociale di Mussolini, pagando quel diniego con venti mesi di prigionia nei lager tedeschi; coraggio nel difendere la natura e l’ambiente del suo Altopiano e di altre montagne».
Pietro Lacasella, 26 anni, vicentino, è un giovane appassionato di cime e di Rigoni Stern. In pochi mesi la sua pagina Facebook Alto-Rilievo/voci di montagna ha visto crescere interazioni e followers. Pietro ha potuto conoscere lo scrittore grazie al padre Silvio, artista. «La montagna per me non è fuga, ma osservatorio per capire i luoghi quotidiani del vivere. In più, facendo arrampicata, è il posto dove più mi diverto. La vetta preferita? Cima Portule» confida Pietro. La stessa, non a caso, di Rigoni Stern.
«Quando l’ho conosciuto – continua – ero sporco di fango dalla testa ai piedi. Avevo appena finito di cacciare girini in una pozza per le vacche, inzaccherandomi tutto. In quelle condizioni sedevo a un tavolo dell’Albergo Marcesina. I proprietari, appassionati di arte e di letteratura, avevano organizzato un ritrovo conviviale, a cui i miei genitori erano stati invitati. Finito il pranzo, papà mi prese per mano, dicendomi che mi doveva presentare una persona importante. Così lo seguii, emozionato; anzi, intimorito. A 6/7 anni il mondo appare più grande: quell’uomo barbuto mi sembrò immenso. Chiacchierò un po’ con mio papà e poi mi spettinò i capelli».
È un ricordo delicato che Pietro conserva ancora con orgoglio. «Ho iniziato a leggere i suoi libri dodici anni più tardi, in viaggio, mentre stavo raggiungendo i miei amici in Sardegna. Si trattava di Uomini Boschi e Api: quelle pagine stonavano terribilmente con lo stile mondano di quella vacanza. Così, dopo qualche giorno, decisi di chiudere il libro per continuare a spendere le notti in un’atmosfera di leggerezza chiassosa. Una sera, stanco dei rituali notturni, andai a pescare da solo.
Non abboccò nessun pesce, ma almeno finii di leggere il libro, aiutato dalla torcia del cellulare. Le sue parole mi suggerivano un cambio di rotta. Alternai in rapida sequenza i racconti di Walter Bonatti alle pagine di Rigoni Stern. Le parole dell’alpinista bergamasco, ancora oggi, mi suggeriscono una frequentazione leale dei rilievi.
La fantasia diventa l’ingranaggio principale dell’esperienza e la montagna un terreno d’esplorazione fisica e soprattutto intima. Seguendo questa prospettiva, le asperità offerte dalle alte quote, ma anche le suggestioni regalate da certi paesaggi, si trasformano in un diaframma capace di raffinare i pensieri. È forse questa la ragione che spinge molte ragazze e molti ragazzi a legarsi in cordata».
Il giovane blogger, che collabora con Marco Albino Ferrari – tra i massimi esperti di montagna – e con Ca’ Foscari, conclude: «Nelle pagine dello scrittore altopianese, lo sviluppo verticale delle pareti diminuisce per cedere il passo a un terreno d’indagine altrettanto complesso: la montagna vissuta. Nei suoi racconti, la natura non è mai un coinquilino temporaneo.
Al contrario, la sua narrativa racconta il dialogo millenario tra uomini e territori, dove i primi hanno sempre cercato di interpretare i secondi a partire dalle proprie convinzioni culturali. Non è più la natura a farsi diaframma, bensì il nostro modo di abitarla. La sua intera opera allunga le dita verso la consapevolezza che, per camminare nel mondo senza soffrire di vertigini, è necessario calibrare ogni passo».
Prova la versione digitale del «Messaggero di sant'Antonio»!