Wojtyla, a un passo dal cielo

Guida alpina, maestro di sci e volto televisivo di «Linea Bianca», Lino Zani fu grande amico di san Giovanni Paolo II di cui racconta il volto privato tra aneddoti, fughe e misteri.
23 Giugno 2021 | di

«Signora Carla, non deve cambiare proprio nulla, va tutto bene così». È l’estate del 1984. Le parole sono di don Stanislao Dziwisz, all’epoca segretario personale di papa Giovanni Paolo II. La signora in questione è Carla. Lei e il marito Martino Zani gestiscono il Rifugio Lobbia Alta sull’Adamello, a 3.040 metri di altezza, in Trentino.

Sono originari di Temù, paesino nella valle sottostante, in Lombardia. D’estate, a dare una mano durante la stagione dei turisti, salgono in quota anche i figli, tra cui Lino. Maestro di sci e guida alpina, Lino Zani, che ha scalato le più alte vette del mondo, è oggi un noto volto televisivo, conduttore di Linea Bianca su Rai 1 insieme con Massimiliano Ossini.

Lo raggiungiamo al telefono mentre si trova sul ghiacciaio del Mandrone, sempre sull’Adamello, impegnato in «Ada 270», il più importante progetto di carotaggio di ghiaccio nelle Alpi: studierà gli effetti dei cambiamenti climatici.

Fu Lino a fare da guida a Wojtyla, salito al rifugio intitolato ai Caduti dell’Adamello per quel breve soggiorno ricordato, da allora ogni anno (10-11 luglio 2021), con un’ascesa in vetta e una Messa celebrata sull’altare consacrato dal Papa.

Partiamo da una curiosità: com’era il Papa sugli sci?
Gli feci da guida anche se, in verità, non ne aveva bisogno. Ancor meno di un maestro di sci: sulle piste scendeva con sicurezza. Da allora sono diventato il compagno segreto di tante escursioni lontane dai riflettori. Quando riusciva a ritagliarsi anche solo una mezza giornata, scendevo verso Roma per raggiungere le montagne a lui più vicine e sciare insieme.

Un’amicizia mai interrotta: se ne è spiegato il motivo?
Le ragioni me le ha rivelate lo stesso Pontefice. Un giorno mi domandò a bruciapelo: «Lino, cosa ti spinge ad arrivare in cima a quelle montagne, perché lo fai?». Gli risposi: «Perché mi piace scoprire quello che c’è al di là. Quando arrivo in cima, mi sembra di poterlo comprendere, di avere una diversa visuale delle cose». E lui: «È così anche per me. Siamo alla ricerca della stessa cosa, ecco perché ci intendiamo». E aggiunse: «Ma ricordati che, arrivati in cima, si può solo scendere. Più in là di tanto, l’uomo non può andare!». 

Torniamo all’estate del 1984.
Al rifugio Lobbia Alta, gestito dai miei genitori, arrivò non solo il Papa, ma anche l’allora presidente della Repubblica, Sandro Pertini. Saputo che era lassù, volle raggiungere il Pontefice con cui condivideva la grande passione per la montagna. Doveva essere una permanenza segreta, lo fu per poco: in meno di 72 ore si era già sparsa la notizia di un Papa e di un Presidente insieme a sciare.

Prima di loro era passato il segretario particolare di Wojtyla.
Al rifugio assistevamo alla Messa solo quando saliva un prete a cui chiedevamo di celebrarla. E preti, soprattutto d’estate, ne capitavano spesso. Quindi ci parve del tutto normale quando, quel pomeriggio di giugno, si presentarono quattro preti polacchi. Uno di loro, a un certo punto, si avvicinò a mia madre: «Signora, io sono don Stanislao, il segretario particolare del Santo Padre. Che ne dice se lo porto qui?». Mostrammo le piccole camere arredate in modo spartano, un solo lettino, una sedia e un attaccapanni. Su ogni piano c’erano due bagni che dovevano bastare per tante persone. Per questo motivo mamma Carla chiese a don Stanislao, e con lui a don Taddeo: «Ma che cosa dovremo fare se arriva il Papa?». «Nulla – rispose don Stanislao –, è perfetto così». 

Perché questo luogo entrò nel cuore del Papa?
Il rifugio Lobbia Alta è un edificio tozzo, basso, costruito dopo la fine della Prima guerra mondiale. Sorge su quanto rimasto di una cittadella degli alpini che comprendeva anche un ospedale da campo. Sotto la coltre candida, la catastrofe della guerra: migliaia di morti, soldati italiani e austro-ungarici che avevano combattuto su quelle montagne. «Tra loro, molti giovani polacchi, anche di Cracovia», mi disse il Papa. Gliel’aveva raccontato sin da bambino il padre Jozef che quella guerra l’aveva combattuta. Quando vide i resti delle baracche degli alpini, volle fermarsi in preghiera. Era la prima volta, mi disse, che parlava di particolari così intimi. Rimase, poi, in silenzio di fronte alla vecchia croce sul Cresta Croce (nella foto qui sotto), uno sperone di roccia bellissimo e solitario tanto caro a noi del luogo. Solo molto tempo dopo collegai quella esile croce alla «grande croce di tronchi grezzi come se fosse di sughero con la corteccia» di cui parla il terzo segreto di Fatima reso pubblico nel 2000 e al perché questo luogo significasse tanto per lui.

Lei si aspettava che sarebbe diventato santo?
Alla sua «santità» non avevo mai pensato, fino a un episodio. Era di pomeriggio, sempre sull’Adamello. All’improvviso il solito sorriso gli sparì dal volto. Scambiò poche parole con don Stanislao che mi chiese: «Lino, il Santo Padre desidera stare un po’ da solo in raccoglimento. Cerchiamo un posto adatto». Ci guardammo in giro e lo trovammo: un grande masso piatto, pareva una poltrona. Quel sasso sul Passo di Lares aveva una posizione pazzesca: dominava tutta la Val Rendena, il Brenta, il Monte Bondone fin quasi Trento, da lì lo sguardo poteva spaziare quasi all’infinito. Lo aiutai a sedersi. Fu lì che assistetti, per la prima volta, a qualcosa che non dimenticherò mai.

Di che cosa fu, pur inconsapevole, testimone?
Il Papa teneva il capo chino ed era assorto in preghiera, immobile. Una specie di estasi che nascondeva a noi seduti alle spalle. Anche se non potevo vederlo in volto, ebbi la netta sensazione di trovarmi di fronte a una persona dotata di una forza spirituale non più umana, che stava vivendo una piena comunione con Dio, con i santi e con le anime del paradiso. Di colpo ogni cosa tacque. Conosco le cime, i ghiacciai, ho trascorso gran parte della mia vita in posti così. So bene che il silenzio della montagna è pieno di voci, suoni, versi di animali, rumore del vento. Eppure sembrava essersi fermato tutto, noi compresi. E non era una visione: tutte le persone presenti hanno confermato quella sensazione. Posso dire di aver toccato con mano come un uomo, all’apparenza normale, riesca a emanare santità. La cosa più strana accadde poi: appena alzati ci siamo resi conto, guardando l’orologio, che non erano passati pochi minuti, bensì un’ora.

Un santo, ma prima ancora un uomo.
Sono molto legato a un’immagine del Papa. Una sera, sempre al rifugio, si ritirò in camera per cambiarsi. Scese poco dopo, maglioncino grigio, pantalone scuro, andando dritto in cucina dove mamma stava preparando la cena. Rimase lì con lei a chiacchierare, seduto in un angolo accanto alla stufa, come un nonno che aspetta che le donne di casa finiscano di spadellare. «Santità, sono quasi le nove, adesso si va a tavola!» gli disse mamma Carla. E il Papa: «Sì, ma io non mi siedo a mangiare se lei non si siede vicino a me e non come oggi che è rimasta sempre in cucina».

Prova la versione digitale del «Messaggero di sant'Antonio»! 

Data di aggiornamento: 23 Giugno 2021

Articoli Consigliati

Muoversi per vivere

21 Luglio 2020 | di

1 comments

10 Agosto 2021
Santo Antonio proteggi e benedici la mia famiglia
Elimina
di Antonio

Lascia un commento che verrà pubblicato