Santità quotidiana

Forse è questa la santità possibile a tutti: accettare un cuore diviso, perché Dio ci ama così. E siamo liberi. Liberi di prenderci cura del Bambino. Della vita.
08 Dicembre 2020 | di

«Nessuno, nemmeno un Santo, ama Dio tutto il tempo». È un’affermazione di Joseph Malègue, scrittore francese dei primi del Novecento, amato da papa Bergoglio che lo riportò all’attenzione del mondo nel 2013. In particolare, Francesco sottolineò un’espressione di Malègue: «La classe media della santità», cioè una santità del quotidiano che consiste nel vivere in qualche modo «naturalmente» accompagnati da Dio in ogni azione della nostra vita, senza che questo conduca agli altari. Solo, cambia la vita di chi abbiamo intorno, e non è poco. Una luce.

L’abbiamo a volte incontrata questa fede misteriosamente semplice, che ci affascina ma che non sembra a noi possibile. Troppo grandi le domande. Troppo complicata la vita, e toccata dal dolore e dall’ingiustizia. Perché è facile amare il Dio bambino che ci aspetta in questo periodo benedetto dell’Avvento. Il Natale ci sorprende ogni volta, come accadde a Simeone.

Che Messia si aspettava Simeone? Una salvezza preparata da Dio davanti a tutti i popoli, lo dice nel Cantico che noi ripetiamo. Cioè si aspettava un Messia circonfuso di una qualche gloria. Eppure lo vede in un bambino. C’è questa divina capacità che ha il bambino, fragilissimo, esposto ai pericoli del tempo, affidato alla nostra cura, di farci riconoscere ogni anno a Natale, con Simeone, che qui c’è Dio, qui c’è Dio. 

È più difficile amare Dio quando il mondo intorno si capovolge e siamo toccati dall’incertezza economica, dalla malattia, dal tradimento di chi pensavamo amico, dalla disuguaglianza che nemmeno questo abitare insieme la pandemia ha permesso di rendere meno feroce e ingiusta. Più difficile ancora quando proprio chi dice di amarlo non sembra vedere l’indifferenza colpevole con cui manda avanti la propria vita, ricca e piena di superfluo in faccia a chi manca di tutto.

E viene da pensare che il «guai a voi» del Vangelo più che minaccia sia purissimo dolore, di Gesù che prova a scuotere le vite inviluppate nel proprio prevalente. Ma come potete non vedere quanto siete ciechi? È storia antica. Davide cieco del suo peccato di aver tradito il suo generale Uria per tenersi Betsabea. E poi si scandalizza dell’identico peccato quando gli viene raccontato da Natan. 

Come fare ad amare Dio? Naturalmente la domanda ha un suo senso. Ad esempio, non si ama chi non si conosce. Anche se magari conosciamo il nostro desiderio e allora indirettamente sappiamo chi possiamo amare e chi no. Ma in fondo molte di queste domande partono dal capo sbagliato della relazione, per dir così. E cioè il nostro. Mentre la storia biblica è la storia di Dio che ci ama sempre, comunque, quale che sia quel che facciamo. Questo è qualcosa che noi possiamo intuire perché amiamo in modo simile i figli.

Non è vero, può dire qualcuno. In realtà c’è chi abbandona i figli, non li ama se non corrispondono alle aspettative, se deludono troppo. E anche chi li ama, a volte, ha l’impressione di amarli un po’ meno. Anche i santi, appunto. Ma ecco, invece, Dio no: «Non sarai dimenticato da me» (Is 44,21). E anche se una madre può dimenticarsi del figlio, Dio non ci dimenticherà mai (Is 49,15) e anche se mio padre e mia madre mi abbandonassero «il Signore mi raccoglierà» (Sal 27,10).

Quanti «io» abbiamo dentro di noi! Quello che ama, quello che è sfiduciato, quello che ha l’impressione di non amare più. Forse è questa la santità possibile a tutti: accettare il cuore diviso perché Dio ci ama così. E siamo liberi. Dall’ansia di essere perfetti. Dall’ansia che gli altri siano perfetti. Liberi di prenderci cura del Bambino. Della vita.

 

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Data di aggiornamento: 08 Dicembre 2020
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