Gli angeli della montagna

Da 65 anni i volontari del Corpo Nazionale di Soccorso Alpino e Speleologico vigilano e intervengono in situazioni di crisi.
17 Agosto 2020 | di

Passo passo, anche la montagna fa i conti con il covid-19. C’è da scommettere, infatti, che quest’anno una boccata d’aria pura aiuterà a superare, se non a dimenticare, il lungo periodo di lockdown, contraddistinto dall’hashtag #Iostoacasa, magari sostituendolo con #Iostoinmontagna. L’estate, d’altronde, come pure l’inverno, ha sempre attratto nelle alte cime milioni di turisti, anche prima della pandemia. E tanto più lo farà ora, visto che gli assembramenti non sono proprio tipici dell’ambiente montano.

L’appello degli esperti è sempre stato, comunque, quello di prestare la massima attenzione. Improvvisarsi esperti scalatori o super-escursionisti non è l’atteggiamento giusto per affrontare avventure in alta quota. «Il fascino delle montagne è dato dal fatto che sono belle… grandi e pericolose», ricorda da sempre il grande alpinista ed esploratore Reinhold Messner.

A raccomandare prudenza e a garantire sicurezza e aiuto in caso di emergenza sono gli operatori del Corpo Nazionale Soccorso Alpino e Spleleologico (CNSAS), che di recente hanno festeggiato il sessantacinquesimo anno di fondazione. Era il 12 dicembre 1954, infatti, quando il Club Alpino Italiano costituiva il nuovo Corpo divenuto, come ha affermato recentemente il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, «immagine di un’Italia positiva, altruista, pronta ad aiutare il prossimo». Che «incarna appieno i valori del volontariato e della solidarietà, rappresentando ai livelli più alti il nostro Paese».

Un servizio particolarmente delicato e pericoloso, svolto in un territorio difficile, vista la conformazione dell’Italia: il 75 per cento del territorio è montuoso e collinare, impervio, ostile, caratterizzato dalle due grandi catene delle Alpi e degli Appennini. Oltre 10 mila, nel 2019, gli interventi attuati in stretto contatto con il «Sistema di emergenza 118». Con una efficace rete di stazioni (242 alpine e 27 speleologiche) sempre più attiva sul territorio nazionale: circa 7 mila tecnici, donne e uomini, pronti a intervenire 24 ore al giorno per 365 giorni. Alla luce del sole o al buio.

Tra le cause degli incidenti in montagna, al primo posto restano le cadute e le scivolate, l’incapacità a continuare un percorso o di tornare sui propri passi. E poi il ritardo, la perdita dell’orientamento e lo sfinimento. Molti gli interventi per malori, dato in costante crescita in rapporto anche all’invecchiamento della popolazione che si cimenta su inutili sfide che richiedono forza ed energia. Anche perché - sosteneva saggiamente il grande alpinista, Walter Bonatti, soprannonimato il «re delle Alpi» -: «La montagna più alta rimane sempre dentro di noi».

«Le alte vette italiane restano, comunque, tra le più ambite da turisti e appassionati, anche internazionali – osserva Maurizio Dellantonio, presidente nazionale del Soccorso Alpino e Speleologico –. Anche gli sport all’aria aperta stanno vivendo una crescita pari. Tutti fattori che aumentano il numero generale delle persone a rischio incidente e che richiedono sempre più spesso il nostro intervento».

Alta specializzazione

Il Soccorso Alpino e Speleologico italiano è considerato tra i più preparati a livello internazionale, con protocolli e collaborazioni con diverse realtà di intervento ed emergenza. In questi decenni, i tecnici volontari sono stati in prima linea nelle più gravi calamità. Rischio e generosità si sono mescolati in importanti operazioni: il terremoto de L’Aquila, il sisma del Centro Italia del 2016 e 2017. Senza dimenticare la straordinaria corsa contro il tempo dopo la valanga abbattutasi su un albergo di Rigopiano (Pescara) o in altre aree del territorio nazionale flagellate dal maltempo. E poi lo storico disastro del Vajont, le drammatiche alluvioni in Sardegna, ma anche il terremoto in Nepal e altri disastri in diverse parti del mondo.

La sicurezza non è un concetto da prendere sotto gamba solo in alta quota, perché in qualsiasi ambiente non è possibile eliminare tutti i pericoli. Serve un comportamento prudentemente adeguato, che metta al riparo da errori e da rischi inutili. Anche e soprattutto per una pratica diffusa come l’escursionismo. Paolo Comune, 45 anni, direttore del Soccorso Alpino Valdostano, all’attivo spedizioni e ascensione di vette himalayane, come il Dhaulagiri e l’Everest, e il K2 nel Karakorum, si rivolge a quanti lo praticano: «Occorre rispetto per se stessi, per la montagna e per l’intera comunità. Il punto non è tanto nelle risorse tecniche e sanitarie dedicate, comunque sempre garantite, ma su quanto un recupero di un ferito in montagna impatterebbe sul sistema sanitario regionale, per esempio in un periodo come quello del covid-19, per affrontare un’altra emergenza».

No al fai da te

Una stagione, questa, che si preannuncia dunque particolarmente impegnativa: tante persone passeranno le proprie vacanze sulle alte cime, rischiando assembramenti pericolosi nonostante la montagna non sia un luogo che di per sé li favorisce. «Evitiamoli – raccomanda Walter Milan, tecnico di soccorso e responsabile nazionale Comunicazione del Cnsas –. Soprattutto evitiamo di esporci a rischi se la preparazione tecnica o l’allenamento non sono dei migliori». Meglio pianificare con grande attenzione ogni uscita. «L’escursione – spiega – inizia la sera prima, con un accurato controllo del meteo nei siti web ufficiali delle agenzie per l’ambiente regionali. Diffidate delle app generaliste, spesso imprecise. Occhio poi a cosa mettere nello zaino: non possono mancare una giacca, una lampada frontale e un accumulatore per ricaricare il cellulare in emergenza». E ancora: «Pianificate attentamente gli itinerari e rivolgetevi alle Guide Alpine, al Cai o alle stazioni locali del Soccorso Alpino per preziosi consigli. Seguite l’itinerario prescelto, comunicatelo ai familiari e non esponetevi a rischi inutili».

Indicazioni precise, consigli di chi ha tante ore di soccorso alle spalle. Ma soprattutto con una preparazione altamente specializzata. Per entrare nel Corpo è, infatti, necessario essere alpinisti o speleologi con forte esperienza. In circa due anni, poi, si apprendono le tecniche di soccorso organizzato, con la possibilità di acquisire ulteriori qualifiche. Per un primo approccio è possibile rivolgersi alla stazione di soccorso più vicina, o alla sede del Servizio Regionale dove si risiede.

«L’impegno richiesto – avverte ancora Milan – è piuttosto importante: capita di dover partire di notte, nei week-end, con il buono o il cattivo tempo. A volte l’attività può comportare grandi fatiche e rischi. Ma la vita è il bene più prezioso. E salvare vite ci rende davvero felici, consapevoli di far parte di una grande famiglia, di una comunità che aiuta». Coloro che vengono salvati, poi, non dimenticano. Mai.

Come Gianni, 76 anni, di Ravenna, vittima quattordici anni fa di un incidente a Sappada, nel bellunese. I tecnici del Soccorso Alpino Veneto lo cercarono ostinatamente prima di ritrovarlo, gravemente ferito, in un canale roccioso. Era ormai il calar della sera. Il buio si stava impadronendo della luce. Gianni ricorda quei tragici momenti: il freddo, il dolore, le grida di aiuto. La disperata ricerca del telefonino rimasto intrappolato nel fondo di una tasca dei pantaloncini. I numerosi tentativi, falliti, di chiamate al 118. Poi, la risposta di un operatore.

Scattano i soccorsi, ma l’eliambulanza, dopo la prima rotazione senza esito, si ritrae. Lo sconforto di chi si considera al termine della propria esistenza. Le lacrime. Il pensiero che va ai propri cari per un ultimo saluto. Infine, l’immensa gioia, quando la squadra dei soccorritori lo raggiunge. Gianni ha gli occhi sorridenti di chi ha vissuto un’esperienza che gli ha cambiato la vita. Ma soprattutto custodisce nel cuore e nella mente l’immensa riconoscenza per loro, i «ragazzi della montagna». I suoi angeli.

 

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Data di aggiornamento: 17 Agosto 2020

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