Mattarella e Zuppi per inaugurare la 50ª Settimana Sociale
Al via oggi pomeriggio a Trieste la 50ª Settimana Sociale dei Cattolici in Italia. A inaugurarla il presidente della Repubblica Sergio Mattarella e il presidente della Conferenza episcopale italiana, e arcivescovo di Bologna, cardinale Matteo Zuppi. Appuntamento alle 17 presso il Centro congressi dove, dopo aver ascoltato le testimonianze di Simone Ferraiuolo, della cooperativa sociale «Oltre l’Arte», e di Carla Barbanti, della cooperativa sociale di comunità «Trame di Quartiere», la parola è passata al cardinale Zuppi, il quale, dopo aver ringraziato Mattarella «per il suo servizio di custode e garante della democrazia e dei valori della nostra Repubblica e dell’Europa», ha ricordato come «dal 1907 a oggi il cattolicesimo italiano non sia rimasto chiuso in sacrestia, ridotto un intimismo individualista o al culto del benessere individuale, ma ha sentito come propri i temi sociali, per progredire verso un ordine sociale e politico la cui anima sia la carità sociale. Ha pensato e operato non per sé ma per il bene comune del popolo italiano, il più prezioso, perché l’unico di cui tutti hanno bisogno e che dona valore a quello personale. Questa è la bellezza della Chiesa cattolica, con i suoi limiti e miserie umane, ma che, come diceva De Lubac, “presenta un carattere eminentemente sociale, che non si potrebbe misconoscere senza falsarla”».
La Chiesa è libera
Preziosa la scelta di Trieste, come sede di questa edizione, «terra di confine», un confine, ha ricordato il Porporato che non deve mai diventare muro o trincea, ma cerniera e ponte. «Lo vogliamo perché questo è il testamento di chi sulle frontiere ha perso la vita. Lo vogliamo per quanti, a prezzo di terribili sofferenze, si sono fatti migranti e chiedono di essere considerati quello che sono: persone!».
«La Chiesa – ha proseguito il cardinale – è madre di tutti, perché solo guidata dal Vangelo. Leggere e qualificare le sue posizioni in un’ottica politica, deformando e immiserendo le sue scelte a convenienze o partigianerie, non fa comprendere la sua visione che avrà sempre e solo al centro la persona, senza aggettivi o limiti». Zuppi ha poi ricordato come, nel gennaio 1994, in un momento molto difficile per l’Italia, «Giovanni Paolo II scrisse ai vescovi italiani esortandoli a testimoniare “quell’eredità di valori umani e cristiani che rappresenta il patrimonio più prezioso del popolo italiano” e che declinava come “eredità di fede”, “eredità di cultura” ed “eredità dell’unità”. “Certamente oggi è necessario un profondo rinnovamento sociale e politico”, aggiungeva allora il Papa, e perciò “i laici cristiani non possono sottrarsi alle loro responsabilità”».
La pace e lo sviluppo non sono beni conquistati una volta per tutte, ha sottolineato ancora l’alto Prelato «Richiedono un “amore politico” che deve assumere l’unità come un obiettivo da perseguire, da difendere e da far crescere, perché l’unità non è mai statica, ma sempre dinamica». Per questo «non vogliamo accontentarci di facili lamentele sulla crisi della democrazia e sulla scarsa partecipazione al voto. Ci impegniamo per risposte positive, consapevoli, condivise, possibili« perché «è così che si costruiscono inclusione e convivenza, si vincono i pessimismi, si sconfiggono le furbizie che piegano a interesse privato il bene pubblico».
«La Chiesa – ha continuato Zuppi – parla perché è libera e ha uno sguardo amorevole e benevolo verso ciascuno: di tutti è amica e preoccupata, nessuno è per lei nemico. Per questo, come Chiesa, di tempo in tempo, con la nostra esperienza umana dell’Italia, maturata tra la gente, esprimiamo “preoccupazioni”: Romano Guardini ha scritto che la democrazia non è solo un ordinamento che nasce dalla responsabilità dei singoli, ma fa riferimento anche al fatto che “ciascuno di questi singoli può fidarsi degli altri, perché sa che tutti vogliono il bene comune; lo vogliono effettivamente e non soltanto dicono di volerlo. La democrazia è tanto più reale quanto più questo atteggiamento è operante”. Perciò, come ha suggerito papa Francesco in Evangelii gaudium, “non lasciamoci rubare la speranza”,cadendo nell’apatia o nella rassegnazione, perché la nostra democrazia può e deve essere migliore e più inclusiva».
Ma dinanzi a tutto ciò, si è chiesto Zuppi, «quale contributo può offrire la Chiesa all’Italia in questa stagione storica? La Chiesa non rivendica privilegi, non li cerca, ben consapevole di come questi in passato l’hanno fatta percepire preoccupata per sé e meno madre. Ci sentiamo parte di un Paese che sta affrontando passaggi difficili e crisi epocali. Sentiamo la sfida dell’accoglienza dei migranti, della transizione ecologica, della solitudine che avvolge molte persone e spegne la vita, della difficoltà di spazi per i giovani, dell’aumento della conflittualità nei rapporti sociali e tra i popoli, infine della guerra che domina lo scenario internazionale e proietta le sue ombre su tutto questo. Ci angoscia il fatto che oggi i “poveri assoluti” siano cresciuti fino a diventare più di 5 milioni e mezzo: 1 su 10, tantissimi». Ma la solidarietà, ha esortato ancora l’arcivescovo di Bologna, è verso tutti, non guarda il passaporto perché tutti diventano il nostro prossimo e parte nel nostro futuro.
Chiesa, portatrice di solidarietà
Ecco, dunque, quale può essere la vera rilevanza della Chiesa e dei cristiani: «l’amore per Cristo che la porta necessariamente a quello per i suoi fratelli più piccoli! (…) La solidarietà, che ha memoria, presidia e difende la vita di tutti, tutela il diritto a nascere come quello ad essere curati e accompagnati fino alla fine, difesi dal dolore e senza che nessuna logica o calcolo affretti la morte di nessuno. La solidarietà è un motore invisibile ma indispensabile di tutta la vita collettiva. La sua mancanza indebolisce il tessuto sociale, ostacola la crescita economica, offende l’individuo e non ne sa valorizzare le capacità e, alla fine, svuota la democrazia. La solidarietà passa attraverso le comunità in cui l’uomo vive: le comunità ecclesiali e le tantissime realtà di libero e gratuito altruismo, la famiglia ma anche le comunità locali e regionali, la nazione, il continente, l’umanità intera».
«Oggi – ha concluso il presidente della Cei – la democrazia soffre perché le società sono sempre più polarizzate, attraversate cioè da tensioni sempre più aspre tra gruppi antagonisti, dominate dalla contrapposizione amico-nemico, dalla pervasiva convinzione che l’individuo è tale quando è al centro, mentre è solo nella relazione che la persona comprende il suo valore. Le pandemie ci hanno fatto comprendere il senso di comune appartenenza, di comunità di destino, di partecipazione a una vicenda collettiva. Non c’è democrazia senza un “noi”. Non c’è persona senza l’altro. La democrazia non solo afferma la libertà, ma promuove anche l’uguaglianza, non proclama astrattamente i diritti, ma difende concretamente la dignità umana soprattutto dove è più pesantemente violata. Ecco perché la democrazia non vuol dire solo istituzioni, leggi e procedure, diritti e doveri, ma anche inclusione dell’altro, del fragile, dell’emarginato. Vuol dire contrasto alla cultura dello scarto, alle dipendenze con le loro drammatiche conseguenze in tante violenze, alle condizioni indegne nelle carceri, ai tanti feriti della malattia psichiatrica (e lo diciamo qui a Trieste nel centenario di Basaglia). (…) Noi oggi siamo portatori di voglia di comunità in una stagione in cui l’individualismo sembra sgretolare ogni costruzione di futuro e la guerra appare come la soluzione più veloce ai problemi di convivenza. I cattolici in Italia desiderano essere protagonisti nel costruire una democrazia inclusiva, dove nessuno sia scartato o venga lasciato indietro. Anche, per questo, dobbiamo essere più gioiosamente e semplicemente cristiani, disarmati perché l’unica forza è quella dell’amore. (…) La partecipazione, cuore della nostra Costituzione, consente e richiede la fioritura umana dei singoli e della società, accresce il senso di appartenenza, educa ad avere un cuore che batte con gli altri, pur tra le differenze. Quando la gente si sente parte, avviene il miracolo dell’umanizzazione dei rapporti sociali ed economici: ciò si realizza nei corpi intermedi, nelle istituzioni, sui territori, nelle grandi aree metropolitane e nelle aree interne, al Nord come al Sud».
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