Riaperto al culto il Duomo di Finale Emilia
Era la notte del 20 maggio del 2012. Il boato di una forte scossa di terremoto squarciò il silenzio e aprì ferite nei paesi e nei cuori degli uomini e delle donne dell'Emilia e della Romagna. Quella notte qualcosa si ruppe e non furono solo le case. Sette persone morirono, circa 50 rimasero ferite anche in modo grave, oltre 5 mila furono gli sfollati e incalcolabile il danno al patrimonio artistico e culturale della Regione: molti palazzi storici, chiese, monumenti, ma anche aziende agricole e fabbriche crollarono o ebbero danni ingentissimi. A quella prima scossa di magnitudo 5,9 della scala Richter, ne seguirono poi molte altre, uno sciame sismico che ebbe un’impennata ulteriore il 29 maggio, con una scossa di magnitudo 5,8.
Quella prima importante scossa del 20 maggio aveva come epicentro il comune di Finale Emilia, in provincia di Modena ma al confine con la provincia di Ferrara, un piccolo scrigno ricco di bellezza e con un importante patrimonio storico e artistico che venne pesantemente danneggiato. Le immagini del Duomo parzialmente crollato fecero il giro del mondo e divennero uno dei simboli di quei terribili giorni.
Sono passati 12 anni e finalmente, lo scorso 26 maggio, quello stesso Duomo è stato riaperto al culto, con una solenne cerimonia presieduta dall’arcivescovo di Modena-Nonantola, monsignor Erio Castellucci. Si tratta della chiesa parrocchiale dei Santi Filippo e Giacomo, che nella notte del 20 maggio 2012 aveva perso quasi completamente la facciata, le cui pietre avevano invaso tutta la strada antistante. Ma a essere colpita fu tutta la struttura architettonica della maestosa chiesa, l'apparato pittorico decorativo e le opere artistiche interne, come gli altari e la cantoria lignea. Tra i danni più evidenti, si registrò pure il crollo della retrostante volta in legno e gesso della navata centrale, il crollo delle volte in muratura delle navate laterali, e un esteso stato fessurativo sulla volta dell'abside e lungo tutto il fusto del campanile.
Il restauro del Duomo, avviato il 25 marzo 2019, è durato cinque anni ed è costato oltre 6 milioni di euro, interamente finanziati dalla Regione Emilia - Romagna grazie al Programma delle opere pubbliche e dei beni culturali danneggiati dal sisma. Soggetto attuatore dei lavori è stata l'Arcidiocesi di Modena - Nonantola, tramite il suo Ufficio Ricostruzione. L'imponente chiesa è stata ricostruita esattamente come prima del sisma, con però un lavoro di consolidamento di tutte le strutture principali. Solo nella facciata si è voluto lasciare una piccola traccia di quella notte del 2012, una sorta di «dialogo fra la muratura esistente e quella nuova che appaiono armonizzate, senza annullarne la differenziazione a distanza ravvicinata» si legge nei documenti diffusi in occasione della riapertura.
La Chiesa principale di Finale Emilia ha origini antichissime. È stato costruito infatti (tra la fine del ’400 e il primo ’500) sul luogo in cui sorgeva una piccola chiesetta risalente al XIII secolo. L'interno del Duomo così come oggi lo conosciamo (in stile barocco) è frutto invece di interventi risalenti al periodo 1770-73, a opera dell’architetto ferrarese Angelo Marescotti, mentre la facciata distrutta dal sisma era datata 1807. All’interno della chiesa sono custodite opere d'arte di enorme pregio, tra cui il Battesimo di Cristo di Sebastiano Filippi detto il Bastianino (1580 circa), l’Adorazione dei Magi di Giuseppe Maria Crespi (1730 circa), lo Sposalizio di Maria, olio su tela seicentesco di Sigismondo Caula, il Crocifisso ligneo di esecuzione quattrocentesca che, secondo la tradizione, sarebbe giunto a Finale trascinato dalle acque in piena del fiume Panaro. Sull'altare maggiore, la tela con i Santi Filippo e Giacomo (a cui sono intitolate la parrocchia e la chiesa), opera del modenese Giovanni Mussati, risalente al 1772. È stata restaurata anche la venerata immagine della Beata Vergine delle Grazie: la statua della Madonna, in legno a tutto tondo, risale al 1603 e assunse l’attuale denominazione nel 1631, dopo l'epidemia di peste che in parte risparmiò il paese. Oggetto di restauro è stato pure il pregiato organo costruito nel 1911 dalla Casa organaria Mascioni di Azzio (Varese) che ha curato anche il suo recupero con l'ausilio dei disegni costruttivi originali.
Tra i primi altari a essere risistemati, quello dedicato a Sant’Antonio di Padova (risale al 1920 ed è opera del professor Elmo Diegoli), che si trova nella navata sinistra. Il terremoto aveva parzialmente risparmiato questa cappella, che ha quindi potuto essere recuperata efficacemente. Degna di nota la statua collocata nella nicchia: si tratta di un sant'Antonio che tiene in braccio il Gesù Bambino, il quale regge un cestino con il pane, e contemporaneamente porge un panino a un bimbo che gli chiede aiuto. Tale altare è tra i luoghi ancora oggi più amati e frequentati dell’intero Duomo.
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