Una Settimana per immaginare

«L’immaginazione ha bisogno di realismo, ma è una dimensione che non dobbiamo mai perdere». Ne è convinto Giovanni Grandi, membro del Comitato preparatore della 50esima Settimana sociale dei cattolici in Italia, a Trieste dal 3 al 7 luglio.
03 Luglio 2024 | di

Aspettando l'inizio della 50esima edizione della Settimana sociale dei cattolici in Italia, a Trieste dal 3 al 7 luglio, per entrare subito nel vivo dell'evento abbiamo fatto qualche altra domanda (qui la prima intervista) al professor Giovanni Grandi, ordinario di Filosofia morale all’Università di Trieste e membro del Comitato preparatore di questa edizione della Settimana.

Msa. C’è un altro termine, sempre presente nel Documento preparatorio, che è a mio avviso centrale, ma che rischia ancora una volta di essere «romanticizzato», come lei ha ben ricordato. Si tratta di «immaginazione». Un tema su cui anche papa Francesco è tornato più volte. Quanto importante è l’immaginazione nella vita civile e nella visione politica?

Grandi. È molto importante. Qualche decennio fa si parlava addirittura di «immaginazione al potere». L’immaginazione ha bisogno di realismo, ma è una dimensione che non dobbiamo mai perdere, insieme a quella del sogno e alla fiducia che le cose possano essere trasformate.  È senz’altro un punto centrale, perché immaginare significa permettersi di uscire da quelli che sono i binari alle volte non soddisfacenti del mondo in cui viviamo. Lo dicevamo prima: abbiamo vite frettolose, che non riescono ad ascoltarsi, vite alienate, condensate nel consumo. Bene, ci sono dei grandi pattern, dei grandi binari, in cui alle volte le persone vivono e nei quali si sentono strette, ma non riescono a immaginarne altri, non riescono a comprendere che non sono obbligati ma sono percorsi che noi abbiamo tracciato e che possiamo anche ridisegnare diversamente. Quindi l’immaginazione, la voglia di pensare modi diversi anche nella città, modi di stare, di abitare, anche di costruire, (anche l’urbanistica è importante, ce lo ricorda molto spesso Elena Granata) è un modo di desiderare il futuro, con la consapevolezza che può essere diverso da come lo viviamo oggi, con meno cemento, con più verde, più rispetto dell’ambiente… Tante sono gli ambiti che possono essere reimmaginati. Certo, poi l’immaginazione ha bisogno di trovare anche delle gambe, di trovare progetti concreti e c’è tutto un percorso da fare.

Di che cosa si discuterà nei cinque giorni, vale a dire quali saranno i temi al centro del dialogo? E con quali modalità si affronteranno? Ho visto che ci saranno anche dei momenti per la riflessione personale…

Bisogna scindere tra tematiche e ambiti. Noi abbiamo individuato tanti ambiti di lavoro, le persone saranno anche aggregate in base alle loro preferenze e questo favorirà di certo la discussione. Noi speriamo di arrivare a delle proposte concrete, che siano targettizzate, cioè che siano collocabili in diversi ambiti di impegno. L’altro grande filone è quello che riguarda invece le indicazioni macroscopiche che noi possiamo dare. L’esercizio in questo caso non è quello di una focalizzazione soltanto nel particolare, ma di invitare i partecipanti a sollevare insieme lo sguardo per dire quali possono essere le esigenze del Paese dal punto di vista del rilancio della partecipazione sia in senso orizzontale (che cosa ci può aiutare a creare più rete) sia in senso verticale (che cosa ci può aiutare a riconnettere i territori alle istituzioni e in particolare al disegno delle politiche del sistema Paese). Sappiamo che c’è una grande cesura in questo momento, sappiamo che si fa fatica a partecipare a questo tipo di elaborazione, le politiche vengono scritte per lo più attraverso dei sondaggi, attraverso delle percezioni abbastanza approssimative, perché c’è una grande crisi anche dei corpi intermedi, una grande crisi di questa cinghia di trasmissione di idee e di pensiero. Però, all’interno di tutto questo (ed è il terzo passaggio che sottolineo), c’è una scelta metodologica che è quella che richiamava lei prima, cioè il dire che tutti i delegati e le delegate hanno una visione, possono dare una parola. Per dare questa parola ciascuno però ha bisogno di tempo, come dicevamo prima. Quindi dall’ascolto delle relazioni non si passerà direttamente a quelli che sono i dibattiti e le discussioni, ma ciascuno avrà un tempo di studio personale. Non esteso, però un tempo sufficiente a raccogliere le idee, indirizzare lo sguardo possibilmente nella stessa direzione, ovviamente con tutte le sfaccettature caleidoscopiche delle personalità e delle esperienze di ciascuno. Quindi c’è lo spazio per l’interiorità, cioè per l’ascolto di sé e poi ci sarà anche una modalità un po’ più articolata e forse organizzata, per fare in modo che tutte queste voci possano ascoltarsi e che non ci siano grandi asimmetrie, come alle volte accade nei momenti di lavoro. La possibilità di ascoltare tutti sarà fondamentale e allora il percorso stesso diventerà un esercizio di partecipazione al di là di quelli che potranno essere i risultati e le indicazioni che emergeranno. 

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Data di aggiornamento: 03 Luglio 2024
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