L’anima della democrazia e la sapienza della Costituzione

Il presidente della Repubblica oggi a Trieste alla 50ª Settimana sociale: «Mai più “analfabeti di democrazia”». È «rischioso cedere alla frequente tentazione di inserire richiami a temi particolari nella Costituzione».
03 Luglio 2024 | di

Una vera e propria lectio magistralis, quella pronunciata oggi alla cerimonia inaugurale della 50° Settimana sociale dei cattolici in Italia, dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella, lungamente applaudito dal folto pubblico prsente. Un lungo e appassionato discorso, denso di significati e ricco di rimandi a numerosi episodi della lunga storia della «dottrina sociale» della Chiesa, ma anche, com’era prevedibile, un’ampia riflessione sul significato più profondo della democrazia.

«La democrazia è un valore» ha esordito Mattarella, e forse per questo «le dittature del Novecento l’hanno identificata come un nemico da battere» mentre «gli uomini liberi ne hanno fatto una bandiera». È «insieme una conquista e una speranza che, a volte, si cerca, in modo spregiudicato, di mortificare ponendone il nome a sostegno di tesi di parte» o addirittura si giunge a dire che essa sia contrapposta alla libertà. Per questo è importante chiedersi sempre «se vi sia e quale sia l’anima della democrazia (…), visto che una democrazia senz’anima, come diceva Alexis de Tocqueville, è destinata a implodere, perché i suoi contenuti valoriali sono venuti meno». Le condizioni minime della democrazia, ha proseguito il capo dello Stato, sono esigenti: «Generalità e uguaglianza del diritto di voto, la sua libertà, proposte alternative, ruolo insopprimibile delle assemblee elettive e, infine e non da ultimo, limiti alle decisioni della maggioranza, nel senso che esse non possano violare i diritti delle minoranze e impedire che possano diventare, a loro volta, maggioranze».«È la pratica della democrazia – ha ribadito il presidente della Repubblica – che la rende viva, concreta, trasparente, capace di coinvolgere. Non esiste democrazia senza la tutela dei diritti fondamentali di libertà, che rappresentano quel che dà senso allo Stato di diritto e alla democrazia stessa».Per questo, ha ricordato ancora Mattarella, l’impegnativo tema al centro della riflessione di questa Settimana sociale interpella, con forza, tutti: «La democrazia, infatti, si invera ogni giorno nella vita delle persone e nel mutuo rispetto delle relazioni sociali, in condizioni storiche mutevoli, senza che questo possa indurre ad atteggiamenti remissivi circa la sua qualità. Pertanto non ci si può arrendere all’astensionismo, al crescere di un assenteismo dei cittadini dai temi della cosa pubblica. Non ci si può accontentare di una democrazia a “bassa intensità”. Perché non può esistere infatti una democrazia senza il consistente esercizio del ruolo degli elettori». 

Le persone al cuore della democrazia

«Al cuore della democrazia – ha specificato il Presidente – ci sono le persone, le relazioni e le comunità a cui esse danno vita, le espressioni civili, sociali, economiche che sono frutto della loro libertà, delle loro aspirazioni, della loro umanità: questo è il cardine della nostra Costituzione. Questa chiave di volta della democrazia opera e sostiene la crescita di un Paese, compreso il funzionamento delle sue istituzioni». Ma è necessario però che, al di là delle idee e degli interessi, ci sia la percezione di un modo di stare insieme e di un bene comune e non si ceda «all’ossessiva proclamazione di quel che contrappone, della rivalsa, della delegittimazione», oltre a garantire che l’universalità dei diritti non venga menomata da condizioni di squilibrio sociale, e che la solidarietà resti il tessuto connettivo di una economia sostenibile, ove «la partecipazione è viva, diffusa, consapevole del proprio valore e della propria essenzialità». Oggi, ha poi ricordato Mattarella, in questo cambiamento d’epoca in cui stiamo vivendo, assistiamo a delle criticità inedite, che si aggiungono agli antichi problemi. Per questo è importante ricordare che la democrazia non è mai conquistata una volta per tutte, ma va inverata nel succedersi delle diverse condizioni storiche e delle loro mutevoli caratteristiche. Inoltre, alla complessità dei nostri tempi, si aggiunge oggi una serie di nuovi rischi epocali (ambientali e climatici, sanitari, finanziari, oltre alle sfide indotte dalla digitalizzazione e dall’intelligenza artificiale) che rendono la nostra società sempre più una «società del rischio» che si tende a voler fronteggiare con soluzioni tecnocratiche. Per questo è fondamentale oggi interrogarsi sul futuro della democrazia e sui compiti che le sono affidati, «proprio perché essa non è semplicemente un metodo, bensì costituisce lo “spazio pubblico” in cui si esprimono le voci protagoniste dei cittadini».Nel corso del tempo, ha continuato il capo dello Stato, più volte ci è chiesti, purtroppo, a che cosa serva la democrazia: «La risposta è semplice: a riconoscere – perché preesistono, come indica l’art. 2 della nostra Costituzione – e a rendere effettive le libertà delle persone e delle comunità». Perché, come sosteneva Karl Popper, solo le forme di vita democratica realizzano, essenzialmente, quella società aperta che può massimizzare le opportunità di costituzione di identità sociali destinate a trasferirsi, poi, sul terreno politico e istituzionale. E la stessa esperienza italiana negli ultimi trent’anni ne è un esempio. La libertà espressa nelle vicende novecentesche, con l’irruzione della Questione sociale, ha messo poi a fuoco la dinamica delle aspettative e dei bisogni delle identità collettive nella società in permanente trasformazione, tema caro al mondo cattolico, se è vero che «quel giovane e brillante membro dell’Assemblea Costituente, che fu Giuseppe Dossetti, pose il problema del “vero accesso del popolo e di tutto il popolo al potere e a tutto il potere, non solo quello politico, ma anche a quello economico e sociale”, con la definizione di “democrazia sostanziale”».

L’apporto dei cattolici

Il percorso dei cattolici alla nascita e alla crescita della democrazia nel nostro Paese, ha ribadito Mattarella, è stato fondamentale, eppure va riconosciuto che l’adesione dottrinale alla democrazia fu condizionata dalla «Questione romana» e dall’accidentato percorso della sua soluzione. Ma già l’ottava Settimana sociale, a Milano, nel 1913, non avvertiva remore nell’affermare la fedeltà dei cattolici allo Stato e alla Patria. Il tema che veniva posto, era fondamentalmente un tema di libertà – anche religiosa – e questo riguardava tutta la società, non esclusivamente i rapporti bilaterali tra Regno d’Italia e Santa Sede.

«Guido Gonella – ha sottolineato ancora il capo dello Stato –, personalità di primo piano del movimento cattolico italiano e poi statista insigne nella stagione repubblicana, fu relatore alla Settimana sociale di Firenze nel 1945, e non ebbe esitazioni nel rinvenire nelle Costituzioni, una “forma di vita più alta e universale”, con la presenza di elementi costanti, “categorie etiche”, e di elementi variabili, secondo le “esigenze storiche”, ponendo in guardia sui rischi posti da una eccessiva rigidezza conservatrice o da una troppo facile flessibilità demagogica che avrebbe potuto caratterizzarle, con il risultato di poter passare con indifferenza dall’assolutismo alla demagogia, per ricadere all’indietro verso la dittatura». Ed è proprio su questo che si basa la distinzione tra prima e seconda parte della nostra Costituzione. «Il messaggio – ha ricordato Mattarella – fu limpido: sbagliato e rischioso cedere a sensibilità contingenti, sulla spinta delle tentazioni quotidiane della contesa politica. Come rischia di avvenire con la frequente tentazione di inserire richiami a temi particolari nella prima parte della Costituzione, ignorando che questa, per effetto della saggezza dei suoi estensori, li ricomprende comunque in base ai suoi principi e valori di fondo». La Costituzione, ha proseguito il Presidente, «seppe dare un senso e uno spessore nuovo all’unità del Paese e per i cattolici l'adesione a essa ha coinciso con un impegno a rafforzare, e mai indebolire, l'unità e la coesione degli italiani. Spirito prezioso, come ha ricordato di recente il cardinale Zuppi, perché la condivisione intorno a valori supremi di libertà e democrazia è il collante, irrinunciabile, della nostra comunità nazionale».

Mattarella ha quindi sottolineato il rapporto fondamentale tra libertà e democrazia e tra democrazia e pace, perché la guerra sempre soffoca la democrazia. A tale riguardo ha citato il messaggio natalizio di Pio XII del 1944, un messaggio «ricco di indicazioni importanti e feconde», nel quale veniva pronunciato il chiaro monito di «guerra alla guerra» e l’appello a «bandire una volta per sempre la guerra di aggressione come soluzione legittima delle controversie internazionali e come strumento di aspirazioni nazionali». E tutto ciò, ha chiosato il Presidente, senza mai scadere in un semplice irenismo o «in uno scontato ossequio pacifista della Chiesa di fronte alla tragedia della Seconda guerra mondiale», ma come «ferma reazione morale che interpreta la coscienza civile presente nei credenti – e, comunque, nella coscienza dei popoli europei – destinata a incrociarsi con le sensibilità di altre posizioni ideali». Prova ne è stata la generazione delle Costituzioni del Secondo dopoguerra, in Italia come in Germania, in Austria, in Francia. Per l’Italia gli art. 10 e 11 della nostra Carta, volti a definire la comunità internazionale per perseguire la pace. Sarebbe poi stato, ha ripercorso il Presidente, il professor Pergolesi, sempre a Firenze nel 1945, ad affermare il diritto del cittadino alla pace interna ed esterna con la proposta di inserimento di questo principio nelle Costituzioni, dando così vita a una nuova concezione dei rapporti tra gli Stati.

I cardini della democrazia

Tornando poi alla riflessione sui cardini della democrazia, Mattarella ha sottolineato come la democrazia comporti sempre il principio dell’eguaglianza, perché riconosce che le persone hanno eguale dignità. La democrazia è strumento di affermazione degli ideali di libertà ed è antidoto alla guerra. «Quando ci chiediamo se la democrazia possiede un’anima, quando ci chiediamo a cosa serva la democrazia, troviamo agevolmente risposte chiare – ha detto rivolto ai presenti –. (Per questo) lo sforzo che, anche in questa occasione, vi apprestate a produrre per la comunità nazionale, richiama le parole con cui il cardinale Poletti, nel 1988, alla XXX assemblea generale CEI accompagnò, dopo vent’anni, la ripresa delle Settimane Sociali: “diaconia della Chiesa italiana al Paese”. Con il vostro contributo avete arricchito, in questi quasi centoventi anni dalla prima edizione, il bene comune della Patria e, di questo, la Repubblica vi è riconoscente».

In quest’epoca in cui il mondo è sempre più interconnesso, in cui ci scontriamo con tentazioni neo-colonialistiche e neo-imperialistiche, nuovi mutamenti geopolitici sono sospinti anche dai ritmi di crescita di Stati-continente in precedenza meno sviluppati, da tensioni territoriali, etniche, religiose che, non di rado sfociano in guerre drammatiche, da andamenti demografici e giganteschi flussi migratori. Ma questi fenomeni però, non devono farci dimenticare che a prevalere deve essere sempre il futuro dei cittadini chiamati a cooperare «da pari», rifiutando il ritorno «alle sfere di influenza dei più forti o meglio armati - che si sta praticando e teorizzando, in sede internazionale, con la guerra, l’intimidazione, la prevaricazione - e, in altri ambiti, di chi dispone di forza economica che supera la dimensione e le funzioni degli Stati».

Oggi, ha detto ancora Mattarella, mentre nuovi steccati sono pronti a minare la basi della convivenza sociale, non dobbiamo dimenticare l’importanza del «dare risposte che vedono diritti politici e sociali dei popoli concorrere insieme alla definizione di un futuro comune», affinché, come recitava la Populorum progressio di Paolo VI, i popoli siano «affrancati dalla miseria», vedano garantite «in maniera più sicura la propria sussistenza, salute, una partecipazione più piena alle responsabilità, al di fuori di ogni oppressione, al riparo da situazioni che offendono la loro dignità di uomini, godere di una maggiore istruzione, in una parola fare conoscere e avere di più per essere di più: ecco l’aspirazione degli uomini di oggi, mentre un gran numero di essi è condannato a vivere in condizioni che rendono illusorio tale legittimo desiderio». Per questo l’esercizio della democrazia non può essere ridotto a un semplice aspetto procedurale e non si può limitare solo al momento del voto. Esso, infatti, «presuppone lo sforzo di elaborare una visione del bene comune in cui sapientemente si intreccino – perché tra loro inscindibili – libertà individuali e aperture sociali, bene della libertà e bene dell’umanità condivisa».

A tale riguardo il Presidente ha ricordato la figura di monsignor Adriano Bernareggi, il quale, nelle sue conclusioni alla Settimana sociale del ’45, disse, citando Jacques Maritain, «che una nuova cristianità si affacciava in Europa», capace di comprendere che «l’unità da raggiungere nelle comunità civili moderne non aveva più un’unica “base spirituale” bensì un bene comune terreno, che doveva fondarsi proprio sull’intangibile “dignità della persona umana”». «Per affrontare il disagio, il deficit democratico, bisogna dunque partire dal fatto che, in termini ovviamente diversi, ogni volta si riparte dalla capacità di inverare il principio di eguaglianza, da cui trova origine una partecipazione consapevole - ha concluso il capo dello Stato -.. Perché ciascuno sappia di essere protagonista nella storia. Come ricordava anche don Lorenzo Milani, il quale esortava a “dare la parola”, perché “solo la lingua fa eguali”. A essere alfabeti nella società». La Repubblica nella sua lunga storia ha saputo percorrere molta strada, ma, «il compito di far sì che tutti prendano parte alla vita della sua società e delle sue istituzioni non si esaurisce mai. Ogni generazione, ogni epoca, è attesa alla prova della “alfabetizzazione”, dell’inveramento della vita della democrazia. Prova, oggi, più complessa che mai, nella società tecnologica contemporanea. Ebbene, battersi affinché non vi possano essere “analfabeti di democrazia” è una causa primaria, nobile, che ci riguarda tutti. Non soltanto chi riveste responsabilità o esercita potere. Per definizione, democrazia è esercizio dal basso, legato alla vita di comunità, perché democrazia è camminare insieme. Vi auguro, mi auguro, che si sia numerosi a ritrovarsi in questo cammino».

 

Data di aggiornamento: 04 Luglio 2024
Lascia un commento che verrà pubblicato