Natale in via degli Aceri
Eppure doveva fare freddo. Notte di Natale, notte di veglia. Notte della nascita. I simboli: la pensilina al centro della piazza come una capanna, il pane e il vino, il fuoco, la tovaglia, i frutti della natura. E Marco che suonava con la chitarra: «C’è solo la strada su cui puoi contare… la strada è l’unica salvezza… perché il giudizio universale non passa per case». Giorgio Gaber, canto per la Messa di Natale nella piazza dell’Isolotto. E il vento doveva essere la tramontana notturna che scendeva dagli Appennini verso la valle dell’Arno. Quanti anni sono passati? Vecchio Natale in piazza all’Isolotto, quartiere storico di una Firenze della seconda metà dell’900, quartiere di una delle più lunghe e testarde storie di una comunità cristiana. Ricordo che Sergio Gomiti, vicario di don Enzo Mazzi, nella parrocchia di Santa Maria delle Grazie, mi disse: «Ci avevano sbattuti fuori dalla nostra chiesa. E ci venne un pensiero: stai a vedere che “fuori” è il posto giusto». Tutto avvenne negli anni del ’68.
Per anni, nella notte di Natale, sono andato alla Messa, l’incontro eucaristico, come lo chiamava don Enzo Mazzi, l’assemblea che si svolgeva in quella piazza che, per me, fiorentino del centro, era periferia. Credo che l’ultima volta sia stata nel 2011, poco dopo la morte di Enzo. Ho nostalgia di quei Natali. La prima volta vi andai quando ero giovanissimo: alla Messa allora c’erano le operaie della Confi, una piccola fabbrica tessile, rimaste senza lavoro. Oggi la veglia natalizia non è cambiata, si è solo spostata (come la messa della domenica), nelle Baracche Verde, le vecchie scuole del quartiere appena nato degli anni ’50 del secolo scorso. Non è cambiata una liturgia fatta di impegno, di lavoro, di condivisione, di «ricerca comunitaria», di «relazioni aperte», di «parole tramandate», della fatica, della «vitalità di ogni cellula del grande organismo umano». Il Natale dell’Isolotto è la rappresentazione contemporanea del presepio francescano di Greccio.
L’Isolotto era nato negli anni ’50. Una periferia a un passo dal centro che non doveva essere quartiere-dormitorio. Lo volle un sindaco comunista, Mario Fabiani, lo volle un sindaco cattolico, Giorgio La Pira. Vi andarono ad abitare gli sfrattati del centro storico, i contadini fuggiti dalle mezzadrie, i profughi greci e istriani. Sorse sulla sponda sinistra dell’Arno, di fronte al parco delle Cascine. Le sue strade non avevano memoria, si chiamano: via delle Mimose, via dei Melograni, via dei Frassini, delle Camelie, dell’Agrifoglio, dei Mandorli, dei Corbezzoli, viale dei Pioppi, via del Biancospino. Le Baracche Verdi stanno in via degli Aceri. Qui il ’68 della Chiesa passò con fragore: la comunità di don Mazzi e don Gomiti precedeva il Vaticano II, si schierò con operai in lotta, con gli studenti in rivolta, pianse per Martin Luther King, manifestò per il Viet-Nam. Il parroco e il suo vicario furono cacciati, la comunità si ritrovò in piazza e per decenni e decenni, ogni domenica, la Messa è stata celebrata in piazza. E il Natale dell’Isolotto divenne tradizione sacra e laica di Firenze.
Lo scorso anno, nella liturgia della Messa, vennero lette, meditate e discusse le parole di Angela Davis, ribelle afroamericana degli anni ’60: «Spesso le persone mi chiedono se l'impegno del passato non sia stato vano, e io rispondo di no…penso che sia un periodo meraviglioso per avere vent'anni. E anche per essere vecchi». E le parole della teologa Antonietta Potente: «Beate le persone che per vivere prendono poco spazio». E venne letta una poesia di Gioconda Belli, poeta del Nicaragua: «Non si sceglie il paese dove si nasce; ma si ama il paese dove si è nati… Tutti abbiamo un dovere d’amore da compiere, una storia da realizzare una meta da raggiungere».
Buon Natale.