29 Ottobre 2018

Nessun confine a Belmonte Calabro

«Si parla sempre del vuoto, di chi se ne è andato. Non si ci sofferma mai sul pieno. Su chi rimane. E su chi arriva» dicono a Belmonte Calabro, centro della Calabria. Dove si sono inventati un festival e un’organizzazione culturale.

l'ombra di un lampione

C’è un paese quasi al centro della Calabria. Dovrei dirvi di lato, spostato a sinistra: sta sul versante tirrenico. Terra di Cosenza. Il paese guarda il mare dall’alto, da un balcone di meraviglia. Si chiama Belmonte Calabro. E io vorrei parlarvene. Senza sapere spiegarvi.
Ma non sapevo che foto farvi vedere (ne posso scegliere solo una). Alla fine ho scelto l’ombra notturna di un lampione. Perché in un’ombra c’è la nostalgia, il futuro, il margine e anche il centro del mondo: si può sostare sotto un lampione, si può leggere, aspettare qualcuno, incontrarsi.

Il paese è nato in alto, appeso a uno sperone di roccia. In basso c’è una marina, la sfilza delle case e degli alberghi. La bellezza struggente del mare. In alto, invece, ci sono grandi case nobiliari abbandonate, case di pietra, cadenti, dai tetti sfondati e le chiese dalle mura scricchiolanti. C’è un graffito su un portone: W la Repubblica. Appena fuori del paese, c’è un ex-convento. Per due secoli, fra ‘600 e ‘800, vi hanno vissuto frati cappuccini. Vi si ricorda Sant’Antonio. E questo, perciò, ci riguarda.

Volevo dirvi di Belmonte perché qui, nelle stanze, nei terrazzi-giardino, negli orti, nell’aranceto, sotto gli alberi dell’ex-convento, alcuni «ragazzi» (si dice sempre così: ragazzi) hanno provato a creare una comunità. Di artisti, di poeti, di contadini, di gente dei computer, di musicisti, di gente con idee nel cuore. Per tre anni, hanno fatto anche festival: rifugi d’aria_border. Un margine, appunto, un respiro di Calabria. Un confine per dire che non ci sono confini. Fra il mare e la terra. Fra chi vive in queste terre, chi se ne è andato, chi è tornato, chi sta arrivando. Nuovi abitanti di Belmonte. Vecchi abitanti. Spiegano i ragazzi: «Si parla sempre del vuoto, di chi se ne è andato. Non si ci sofferma mai sul pieno. Su chi rimane. E su chi arriva». A Belmonte, pensate, ho imparato che i pastori accordano le zampogne sul suono dei campanacci delle loro capre. Dove altro avrei potuto saperlo? E questo può servirmi nella modernità?

A Belmonte si confondono i tempi. Si fa teatro. Si crea, nelle montagne aspre che franano a mare, il «bisogno del teatro». Si va oltre il sipario che non c’è, perché i palcoscenici dei vicoli sono sempre spazi aperti. Alberi antichi, via crucis nella chiesa e wi-fi e piattaforme per dj. Il prossimo inverno sarà difficile, duro. Ci sarà vento. Vento freddo. E nei bar ci saranno solo gli uomini e le birre e la televisione sulle partite o su RadioCapital. Ci saranno assenze, ci sarà un’assenza. In inverno le idee si rintanano e Belmonte ci apparirà davvero «lontano». Pochi vi verranno. O forse no. Forse questa storia finirà, o, forse, l’ex-convento ospiterà una nuova storia.

In una giornata di ottobre un pezzo di Calabria si è ritrovato a Riace per un sindaco arrestato perché colpevole di umanità e un altro frammento di questa terra era a Belmonte Calabro per cercare un sentiero verso il futuro per quella stessa umanità O, almeno, per una comunità.

Adesso ho davvero una grazia da chiedere al Sant’Antonio di Belmonte. Che ho visto passeggiare nella chiesa, incuriosito dai ragazzi che cantavano in polifonia. E che costruivano futuro.

Se volete sapere cosa c’è dietro queste parole dovete andare a vedere Exconvento.it. E da qui cominciare a esplorare.

Data di aggiornamento: 29 Ottobre 2018
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