Nuova visione per la politica
Si sta fortunatamente ridimensionando l’idea diffusa negli anni di lotta alla «casta» secondo la quale la politica per essere onesta, interessata solo al bene pubblico, doveva essere affidata alla gente comune, anche inesperta, lontana dalla corruzione. Chiunque poteva governare il Paese. Tanto più era lontano dalle regole e dai riti della politica tanto meglio poteva fare. È stata sconfitta – anche in questo caso fortunatamente – pure l’idea opposta, quella secondo cui solo gli esperti, i tecnici, gli intellettuali di mestiere possano davvero comprendere che cosa sia bene.
Entrambe le posizioni hanno provocato negli ultimi anni non pochi danni. Nel primo caso ci hanno portato una rappresentanza politica inesperta, talvolta ignorante, comunque incapace di andare oltre l’espressione della protesta dei cittadini e di individuare le linee necessarie per il cambiamento del Paese. Nel secondo caso hanno aggravato il distacco tra una società ferita dalla globalizzazione e le élites tecnocratiche interessate solo ai dati macroeconomici.
E ora? La partecipazione, l’interesse che le recenti elezioni regionali hanno mostrato per la politica ci dice che dobbiamo cercare e trovare al più presto una nuova idea che superi in meglio le altre due idee di rappresentanza. Sicuramente non basta essere onesti ed è insufficiente essere competenti; è superata un’idea di politica, la politique politicienne, fatta solo di professionisti, quali quelli che si sono alternati nella cosiddetta prima Repubblica.
E allora, come si fa a dire oggi che un cittadino è degno di rappresentarci e di governarci? Che possiede le competenze, sì proprio le competenze, per perseguire il bene pubblico? Se la politica non è solo onestà, se non è capacità di avere voti, se non è conoscenza astratta dei numeri, allora che cosa deve essere oggi? Un politico moderno deve oggi capire fino in fondo i problemi della società in cui vive, ma anche i nuovi meccanismi, spesso sovranazionali, da cui è regolata. Deve immaginare e proporre le soluzioni, ma – questo il punto che ritorna attuale – per farlo deve avere una visione generale. Non si può limitare a conoscere bene la società che ha di fronte ma deve immaginare e proporne una futura.
Non basta, per fare un esempio, limitarsi a considerare l’esistenza di un debito pubblico imponente, dire che sarebbe bene ridurlo, che bisogna fare dei tagli alla spesa. Occorre anche dire se, per raggiungere questo fine, sia meglio tagliare il welfare o aumentare le tasse per chi ha di più. Occorre dire, se si ritiene prioritaria la crescita, gli investimenti, il lavoro giovanile, con conseguente inevitabile aumento del debito, come conciliare tale aumento con le compatibilità internazionali.
Serve, insomma, una visione generale. Negli ultimi decenni la politica ha avuto paura che una visione generale potesse essere foriera di divisioni. In effetti le divisioni sarebbero inevitabili, ma anche benefiche e produttive. Contrariamente a quelle inutili o farneticanti, vissute in questi ultimi anni di politica senza visione.
Prova la versione digitale del «Messaggero di sant’Antonio»!