Oratorio, «casa da abitare»
Sara parte tra poco per un campo scuola in Trentino, mentre Marco, insieme ad altri ragazzi, sarà impegnato con la parrocchia sulle spiagge di Riccione per parlare di Gesù ai giovani. Silvia animerà invece le giornate dei bambini dell’oratorio alla periferia di Milano, tra i quali diversi figli di immigrati. Altri giovani della Calabria andranno alla scoperta dei luoghi della fede. Chi pensa a un’estate deserta, senz’anima, con piazze vuote e luoghi disabitati si sbaglia. Perché questo è sì tempo di riposo, ma anche periodo in cui le attività si moltiplicano e si riempiono gli oratori che sono 8 mila in Italia, con punte massime in Lombardia, Piemonte e Puglia. Due milioni i ragazzi che li popolano: 350 mila gli adolescenti che, gratuitamente, se ne prendono cura. Campi estivi in parrocchia, dunque: veri e propri «cantieri per la crescita» che vedono coinvolti diocesi, istituti religiosi, sino alle associazioni come Anspi, Noi e Csi. Al centro, ragazzi e giovani. L’oratorio diventa così un’alternativa ai tradizionali campi scuola, anche per i costi difficili da sostenere per molte famiglie.
Bei paesaggi di montagna o di mare, ma anche strade da percorrere nel caldo delle città, con l’entusiasmo e la volontà di migliorare se stessi ed essere utili agli altri. Tutto si basa su «gratuità», «prossimità», «relazione» e «annuncio». Protagonisti i ragazzi, ma anche i genitori. Intere famiglie. Famiglie «in famiglia» che dialogano, progettano, si danno da fare. «Quando si parla dei ragazzi si tende a evidenziarne i problemi – spiega don Riccardo Pascolini, incaricato della Pastorale giovanile dell’Umbria e segretario nazionale del Forum degli oratori italiani (Foi) –. Scopriamo, invece, come questi, in realtà, siano una vera risorsa per tutti: per la chiesa e la società». È grazie al loro impegno ed entusiasmo che gli oratori diventano crocevia di numerose iniziative per rendere l’estate «viva». Dove parte delle attività è «in uscita», con una solidarietà diffusa che va oltre i confini della singola comunità. E «Facciamo fuori l’oratorio - Oratori in uscita»: è, per esempio, lo slogan del prossimo incontro nazionale che si terrà, dal 4 al 6 settembre prossimi, a Molfetta, in Puglia, terra di don Tonino Bello, vescovo degli ultimi.
Gli oratori non sono centri statici, ma realtà in movimento capaci di incontrare i giovani nei luoghi di vita ordinari. «Non è più tempo – sottolinea il segretario del Foi – di rinchiudersi nei propri spazi, ma di fare rete, aprirsi al territorio e osare». Oggi l’oratorio è multietnico, aperto a tutti: italiani e stranieri, di qualsiasi confessione religiosa. A Milano più del 25 per cento dei ragazzi che li frequenta è di origine islamica e in oratorio si sentono a casa. Qui nessuno è forestiero. L’integrazione si pratica quotidianamente.
Minori al centro
«Non deve sorprenderci o scandalizzarci il fatto che, soprattutto in estate, l’oratorio si riempia a partire da un bisogno concreto come quello delle famiglie. Deve essere anche questo – spiega don Stefano Guidi, direttore della Fondazione oratori milanesi –: rispondere al bisogno educativo del territorio». Non un «servizio sociale», ma «un’esperienza che coinvolge l’intera comunità, rilanciando il rapporto tra le generazioni nel segno della responsabilità educativa». Con un forte riflesso sul comportamento dei ragazzi. A loro – spesso minori –, agli educatori e ai sacerdoti che li accompagnano vengono offerti, oggi, nuovi strumenti di lavoro. Un esempio? Il manifesto, con dieci «regole», diffuso per prevenire e contrastare il cyber bullismo: «un’altra forma di attenzione – precisa don Guidi – al vissuto vero dei nostri ragazzi». La diocesi di Trento ha invitato gli oratori a condividere in maniera esplicita uno stile educativo. Come? È stato chiesto ad animatori ed educatori di compiere con i ragazzi un semplice esercizio: tracciare su un foglio due colonne. In quella di sinistra vanno segnati tempi e luoghi di un’attività (nel caso di un campeggio, le varie fasi della giornata con i rispettivi orari); in quella accanto, ognuno dovrà rispondere nella riga corrispondente a una precisa domanda: «Che cosa significa mettere il minore, il debole al centro, in quel preciso momento e in questa attività?». A Torino, invece, l’associazione oratori «Noi» e la Pastorale giovanile hanno promosso una scuola per animatori e coordinatori di oratorio, intitolata: «Animatori con stile», rivolta a quanti prestano servizio nelle strutture della parrocchia a servizio di bambini e ragazzi, sia normodotati che disabili.
Il minore al centro, sempre. Con la responsabilità degli adulti. Senza dimenticare le parole di papa Francesco: «L’educazione è per il bambino quello che la coltivazione è per la terra. Essere chiamati a coltivare – sottolinea – richiede soprattutto lo sforzo di coltivare se stessi. L’educatore religioso deve occuparsi del suo campo interiore, delle sue riserve umane e spirituali, in modo che possa uscire a seminare e coltivare la terra a lui affidata». Per questo il Servizio di tutela minori della diocesi di Bergamo ha realizzato il vademecum «Buone prassi di prevenzione e tutela dei minori in parrocchia». Don Gianluca Marchetti, direttore del Servizio, lo definisce «una cassetta degli attrezzi». Regole chiare su scelte di base, formazione dei volontari, ma anche cura degli ambienti e degli spazi. Basta deleghe in bianco. I genitori devono concordare interventi, linee di condotta e seguire, se possibile anche direttamente, l’attività dei figli. Un’attenzione particolare poi all’utilizzo di strumenti tecnologici: cellulari, connessioni a internet, macchine fotografiche. Vale anche per l’uso dei social network: Instagram, Whatsapp. «Strumenti dalle potenzialità incredibili – osserva don Gianluca – ma devono essere usati con criterio, perché portano con sé anche moltissimi rischi». Come quelli legati all’utilizzo di fotografie di minori e alla loro pubblicazione. L’indicazione è quella di non pubblicarle mai, soprattutto se non esiste un consenso informato da parte dei genitori. Immagini e video di minori pubblicati su profili Facebook e Instagram, di sacerdoti, operatori pastorali e volontari, avviene sotto la loro esclusiva personale responsabilità. Eventuali liberatorie rilasciate dai genitori per i «media» della parrocchia non valgono per altri usi personali. «La nostra prima preoccupazione – sottolinea don Marchetti – è quella di salvaguardare la sicurezza dei minori. E di rendere più sereno ed efficace il servizio di sacerdoti ed educatori».
L'articolo integrale è pubblicato sul «Messaggero di sant'Antonio», numero di luglio-agosto 2019, e nella corrispondente versione digitale.