Paolo Belli. In bicicletta con Dio
Sotto questo sole, è bello pedalare anche (e soprattutto) quando si può aiutare qualcuno che ha bisogno. «E fare qualcosa per gli altri è davvero come leggere il libro più importante che esista», esclama convinto Paolo Belli. Esuberante e vivace come la sua musica che fa abbracciare Fred Buscaglione e i Blues Brothers, il cantante emiliano, beniamino del sabato sera televisivo (in queste settimane è tornato su Rai1 per Ballando con le stelle, insieme a Milly Carlucci), è pure un campione della solidarietà: da più di vent’anni, ormai, dedica tempo, passione ed entusiasmo a progetti anche internazionali che segue passo passo perché tutto sia chiaro e trasparente. Insieme ad altri amici e big dello spettacolo ha fondato, già nel 1994, l’associazione Rock no War, in prima linea in tante emergenze, in Italia e all’estero, dalla Cambogia all’Eritrea al Nicaragua. «Non è un sacrificio, ma una gioia grande. E, alla fine, capisco sempre che sto facendo qualcosa di buono e di bello anche per la mia stessa vita», ammette Belli. Come musicista, è sulla cresta dell’onda da trentadue anni, da quando cioè fondò i Ladri di Biciclette: la sua carriera solista, poi, è iniziata proprio venticinque anni fa. Per lui il 2016, dunque, segna anche un giubileo artistico.
Msa. Com’è sbocciato in lei l’amore per la musica?Belli. Mi accompagna da bambino. Ricordo che un nostro vicino di casa suonava il pianoforte, e allora chiesi a mia mamma di portarmi a lezione. Poi, crescendo, mi sono reso conto che la musica mi accompagnava con semplicità e naturalezza: come tanti ragazzi ho suonato con gli amici, nei vari complessini, finché mi sono iscritto al Conservatorio. La musica era una grande passione, e ho compreso che avrebbe potuto diventare anche una professione.
I suoi genitori l’hanno ostacolata? No. Tuttavia, all’inizio, non mi hanno permesso di fare solo quello. Quarant’anni fa, si guardava soprattutto al lavoro manuale e forse, nell’immaginario collettivo, esiste ancora il pregiudizio secondo cui una persona non possa vivere di musica. E così i miei familiari mi hanno iscritto anche a una scuola tecnica e sono diventato un perito elettronico industriale. Adesso temo, però, di non essere capace neppure di avvitare una lampadina...
Non si è mai pentito di aver scelto la musica? Mai. Beethoven diceva che la musica è il linguaggio di Dio. E io mi sono accorto che, quando ci si avvicina alla musica, non si è mai soli, perché c’è Qualcuno dall’alto che ti manda energia e che ti fa star bene anche se stai per conto tuo. Avvicinarsi alla musica è un grande dono che ci viene fatto. E quando degli amici mi chiedono consiglio per i loro figli, io porto il mio esempio e li invito ad assecondare il desiderio di fare musica.
So, però, che sua nonna le diede un consiglio... Mi ha insegnato anche il valore del silenzio. Mi raccontava che, nel periodo della guerra, quando ci si rifugiava nelle stalle, chi sapeva suonare non doveva mai dimenticare di portare la chitarra o la fisarmonica: la musica dava, e dà, un senso di protezione anche nei momenti più difficili. Per questo lei mi ha spronato a rimanere a contatto con la musica. Però mia nonna era straordinaria anche nei suoi silenzi. Quando le domandai il motivo per cui rimanesse a lungo senza parlare, mi spiegò che cercava di capire tante cose dentro di sé e, prima di confrontarsi con un’altra persona, provava ad ascoltarla. Questo insegnamento tornò anche al Conservatorio: un mio docente mi raccomandò di ricordare sempre che nella vita, come nella musica, esistono anche le pause.
La sua è una carriera lunga e felice. E lo ritengo un miracolo, la realizzazione del sogno che avevo da bambino. Sono convinto che dall’Alto mi abbiano regalato passione e determinazione. Da parte mia ci ho messo e ci metto ancora tanto lavoro. Ho studiato parecchio, continuo a farlo, ho fatto e faccio tuttora molta gavetta. Se dall’Alto ci viene data una possibilità (e prima di tutto la vita), a noi spetta di restituire ciò che abbiamo ricevuto. Bisogna pedalare, a volte da soli, a volte con gli altri.
C’è un momento speciale che le piace ricordare? Non ce n’è soltanto uno: potrei raccontare l’emozione di cantare al concerto del 1° Maggio a Roma, davanti a 500 mila persone, ma anche di trovarmi con mille spettatori in una piazza di paese. Si trasmette e si riceve. Resto sempre colpito dall’accoglienza che ricevo anche all’estero, in luoghi dove all’inizio pensavo che non mi conoscesse nessuno: è evidente che la musica è un linguaggio universale. Tra gli incontri più belli, c’è stato quello con Dan Aykroyd dei Blues Brothers. Qualche anno fa ha chiesto di cantare con me: dovevamo fare un solo brano, ci siamo esibiti insieme per un’ora.
Cosa vuol dire, per lei, impegnarsi nella solidarietà? Innanzitutto significa essere consapevoli di avere ricevuto dei talenti e dei doni: da qui la necessità di aprirsi sempre più, di mettersi in gioco. Non c’è smania di protagonismo, non lo si fa «per farsi vedere» o per farsi pubblicità. Da parte mia, ogni volta che affronto un nuovo progetto solidale, sento che la mente si apre: imparo, una volta di più, quanto ognuno di noi possa essere utile a questo mondo. Siamo tutti piccoli granelli di sabbia, ma possiamo costruire case se lo facciamo insieme. Penso comunque che il significato di tutto sia racchiuso nell’Amore: fare solidarietà vuol dire andare a scuola d’Amore, e voler stare continuamente a contatto con l’Amore.
E qual è la forza di Rock no War? Una regola fondamentale nella nostra associazione è «Alzati dalla sedia e datti da fare». Tutti quelli che collaborano a Rock no War sono così: persone a cui piace darsi da fare e scoprire quanta bella gente sta attorno a noi. Io ci credo veramente e voglio che tutti coloro che ci aiutano si sentano rassicurati anche della destinazione di quanto ci offrono: per questo documento tutto con foto, video, testimonianze.
E tanti incontri... Proprio così, incontri di persone. Per esempio, mentre portavo aiuti umanitari nell’ex Jugoslavia, vent’anni fa, sono divenuto amico di un signore attivo nel progetto Chernobyl: tramite lui sono entrato in contatto con Vladic, un bimbo bielorusso che io e mia moglie abbiamo adottato. Oppure ricordo un ospedale martoriato dalla guerra in Kosovo, e un dottore di un reparto pediatrico oncologico che aveva imparato solo una parola in italiano, «grazie», e ce la disse in lacrime. Fu un’emozione profonda. Ma ogni volta è così. Dopo il terremoto del 2012 in Emilia, abbiamo ricostruito scuole e case per anziani. In quei giorni drammatici anche solo una canzone nelle tendopoli portava sollievo: la solidarietà non è solo denaro.
Qual è il suo rapporto con la spiritualità? Provengo dalle terre di don Camillo e Peppone, dove non sempre la fede è di casa. Ma con gli anni ho percepito chiaramente nella mia vita la presenza di Dio. Quando scrivo una canzone, sento di essere davvero in un’altra dimensione, avverto un’energia speciale. Qualche volta mi capita di «litigare» col Signore, perché mi ostino a pensare di aver trovato una strada, e invece Lui, a suo modo, mi dice «Sei sicuro?». Così riesce a mettermi in discussione e, alla fine, capisco che ha ragione Lui. Nella vita ho conosciuto sacerdoti straordinari, come don Ciotti o don Claudio di Carpi: con loro mi sono misurato umanamente e spiritualmente.
Ci sono luoghi dove sente di più la presenza di Dio? Quando vado in bicicletta, mi piace sostare nelle chiese: per esempio ce n’è una a Civago, sull’Appennino reggiano, dove è molto faticoso arrivare, ma è bellissimo sostare. In queste chiese mi ricarico di energia. Mi piace trovare spazi di riflessione anche in luoghi affollati. Il giorno del compleanno del Papa sono andato in piazza San Pietro con la mia bici: c’erano tante persone, e molti mi hanno riconosciuto e mi hanno fermato per salutarmi, però poi mi sono messo in un angolino, per ragionare e riflettere un po’.
Cosa pensa dell’attuale Papa? È fantastico, e credo che stia avvicinando molti alla fede. Perché è importante razzolare bene oltre che predicare bene. Papa Francesco predica bene e applica ancora meglio, in prima persona, quanto insegna. Lo stimo molto e spero di poterlo incontrare.
Quanto è importante per lei la famiglia? Credo sia stato un dono, quasi un miracolo, aver potuto incontrare persone con cui ho condiviso valori spirituali e intellettuali. Con mia moglie Deanna festeggiamo il 33° anniversario di matrimonio. Vladic, che ora ha 27 anni, due anni fa ha deciso di tornare in Bielorussia per costruire la sua famiglia. So che è molto felice e quindi lo sono anch’io, anche se è stato un dispiacere vederlo partire. Penso che sia stata la stessa reazione avuta da mio padre nel momento in cui io andai a vivere da solo: quando si diventa grandi, si ha diritto di fare scelte. Spero che quello che io e mia moglie gli abbiamo fatto vedere (e spero anche insegnato), possa servire a Vladic per vivere la vita che si merita. È un ragazzo d’oro.
La scheda Paolo Belli (che questo mese compie 54 anni) abita a Carpi, nel modenese. Ha raggiunto la notorietà dai primi anni ‘80, quando ha fondato i Ladri di Biciclette. Poi, dal 1991, ha proseguito da solista. Fra i suoi grandi successi: Sotto questo sole e Dr. Jazz e Mr. Funk. Il suo stile swing e funk ha conquistato il pubblico e anche altri artisti con cui ha collaborato, come Sam Moore, Dan Aykroyd, Jon Hendricks ed Enzo Jannacci. Nel 2000 ha iniziato anche un percorso televisivo come showman nel cast di Torno sabato con Giorgio Panariello, e dal 2004 conduce con Milly Carlucci il varietà di Rai1 Ballando con le stelle, e con la sua musica accompagna le coppie in gara.
Da molti anni è anche uno dei protagonisti della maratona di Telethon. Appassionato sportivo, tifoso della Juventus, calciatore e ciclista, negli anni ha firmato e cantato varie sigle del Giro d’Italia. È da sempre impegnato sul fronte della solidarietà, in particolare attraverso l’associazione Rock no War e la Nazionale Italiana Cantanti. Nel 2012 ha pubblicato un’autobiografia (scritta a quattro mani con Elisa Casseri), Sotto questo sole, come mi è successo tutto quello che mi è successo?, edita da Aliberti.