Parola di Svetlana
Gli ultimi testimoni (Bompiani) non è l’ultimo libro di Svetlana Aleksievic, ma è quello di più recente pubblicazione in Italia. È datato 2013, e dopo sono venuti Tempo di seconda mano e La guerra non ha un volto di donna, ma in realtà è uscito una prima volta nel 1985, e venne censurato dal regime russo di allora scomparendo dalla circolazione. I rapporti tra la scrittrice bielorussa e i due regimi congiunti, bielorusso e russo, non sono stati mai buoni. Quel che scriveva, o meglio: le storie che raccoglieva ed elaborava con il massimo dell’attenzione e della perizia, non era gradito al potere, e non lo è tuttora; i governi bielorusso e russo hanno visto il Nobel assegnato a Svetlana come una provocazione nei loro confronti.
Il metodo di lavoro della scrittrice ha una storia, che è iniziata forse in epoca moderna con le Memorie di una contadina trascritte da Tolstoj alla fine dell’Ottocento, e ha avuto grandi esempi nel Novecento, per esempio il capolavoro di James Agee Sia lode ora a uomini di fama, sulle famiglie dei poveri bianchi al tempo della grande crisi in America, certi libri dei sociologi della «Scuola di Chicago» o i lavori di alcuni animosi italiani del secondo dopoguerra, Scotellaro e Montaldi, Dolci e Cagnetta… Svetlana (mi permetto di chiamarla per nome, avendola conosciuta al tempo del suo esilio italiano) raccoglie interviste/racconti in prima persona, in affreschi potenti che hanno per oggetto la guerra come vissuta da soldati e civili e in particolare dalle donne e ora dai bambini, le conseguenze del disastro di Cernobyl nel suo libro forse più famoso Preghiera per Cernobyl', il disorientamento dei vecchi che hanno creduto nel socialismo in Urss dopo il crollo veloce e traumatico di quel regime, le tragiche esperienze dei giovani soldati russi mandati a uccidere e a morire in Afghanistan.
Anche per Svetlana si è trattato di dar voce a chi non l’aveva, ma si è trattato anche – più moderna in questo di tutti i nomi che ho citato – di mettere in discussione né più né meno che la Storia con la S maiuscola, che Shakespeare nel Macbeth ha definito una volta per tutte come il sogno sognato da un pazzo, come urlo e furore. E sì, anche La Storia della Morante. Un mondo che, ricostruito dal suo interno e dal suo intimo nell’esperienza delle persone comuni, delle vittime più comuni, ci accosta ai dilemmi più veri e più radicali – noi ipocriti lettori di un Paese che non vede guerre da settant’anni e si lamenta per cose assai meno gravi e tragiche di quelle subite da altri e altrove.
In un piccolo e prezioso libro edito in queste settimane da La Scuola di Brescia (Il male ha nuovi volti) sono raccolti i due discorsi tenuti da Svetlana a Stoccolma in occasione del conferimento del Nobel, dichiarazioni di poetica e di convinzioni che non so definire altrimenti che religiose, tanto mettono in gioco le verità ultime, pongono interrogativi sul senso della Storia, sulle ingiustizie del mondo, sui limiti dell’umano, sulla prevalenza del male sul bene, sul perché – se c’è – del dolore degli umili, e innanzitutto dei bambini. Milioni di bambini sono morti, milioni hanno sofferto nell’ultima guerra mondiale, una guerra che ha fatto 60 milioni di vittime. Migliaia, decine di migliaia continuano a morire nelle guerre di oggi e a soffrire delle ingiustizie di oggi.
Ascoltiamo la testimonianza di Anja, di quando era una bambina di 12 anni: «Dopo l’assedio… Ho imparato che una persona può mangiare qualunque cosa. Si mangiava persino la terra… Al mercato vendevano la terra con gli avanzi bruciati delle scorte di viveri dei magazzini Badaev. Particolarmente apprezzata era la terra su cui si era sparso l’olio di semi di girasole, o quella mescolata alla marmellata bruciata. Questi due tipi di terra erano cari. La nostra mamma poteva permettersi solo la terra più economica su cui erano state sistemate delle botti piene di aringhe, questa terra sapeva di sale, anche se di sale non ne conteneva. Aveva l’odore dell’aringa». All’inizio di Gli ultimi testimoni, sulla guerra come vissuta dai bambini, Svetlana ricorda lo scandalo di Dostoevskij di fronte alla lacrima di un bambino, e afferma con lui che «nessun progresso, nessuna rivoluzione, nessuna guerra potrà mai valere quella sola lacrima. Essa peserà per sempre. Quella sola piccola lacrima…».