Pensieri. Liberi ma ben nutriti

Mariapia Veladiano, nella sua consueta rubrica Bene-dire, una parola al mese per pensare e riflettere, parla di Pensieri.
05 Dicembre 2019 | di

I pensieri che non si possono dire. Quanti dei pensieri che ci attraversano ogni giorno potremmo far conoscere al mondo intorno a noi senza sprofondare di disagio? A volte ci scappano fuori, diciamo proprio così, con parole che sono eccessive e fanno disastri. Avviano o alimentano rancori, provocano reazioni feroci. E dopo stanno tutti peggio, gli altri certo, ma anche noi. Lo sappiamo, ci sentiamo offesi eppure offendiamo.

Non ci pensiamo abbastanza: le parole creano la realtà in cui viviamo, ogni giorno la creano attraverso la vita propria che acquisiscono una volta che le abbiamo pronunciate. Quando sono «scappate» non possiamo inseguirle e ritirarle. Vengono ascoltate, accolte o respinte, in ogni caso trasformano il mondo.

Isaia 55 offre un estremo accorato invito alla conversione che passa attraverso i pensieri e le parole: «L’empio abbandoni la sua via e l’uomo iniquo i suoi pensieri; ritorni al Signore che avrà misericordia di lui, al nostro Dio che largamente perdona» (7); «Perché i miei pensieri non sono i vostri pensieri, le vostre vie non sono le mie vie» (8).

Non si tratta di praticare un’igiene dei pensieri. Certo un poco sì: esiste una sapienza universale che mette in guardia dal non esercitare controllo alcuno sui propri pensieri. Circondarsi di ascolti e letture volgari e aggressivi vuol dire offrire al nostro pensiero le parole dell’offesa e del giudizio, incarcerarlo nella paura o nel pregiudizio, togliergli la libertà di incontrare la varietà e bellezza del mondo. In media un adulto è iscritto a otto social, appena uno più dei ragazzi. Certo, i social possiamo usarli bene e crearci una «bolla cortese», ma quanti mettono davvero attenzione a non scivolare nella curiosità morbosa, nel linguaggio volgare esibito? Ci sono riviste e quotidiani che ci rendono abituali parole tremende che scavano fossati tra di noi.

Eppure non è solo questione di pulizia del pensiero, perché ci sono anche dei pensieri ben controllati che si mascherano bene e sembrano alquanto adeguati. È il pensare stretto stretto dell’integrista. L’arte del preservare (il messaggio, la verità, la moralità, l’identità) e del preservarsi soprattutto, circoscritti e definiti. Ma nell’integrismo la multiforme varietà del mondo non ci sta. Chi è un integrista non vuol bene alle persone, semplicemente perché le persone sono meravigliosamente diverse e l’integrismo non sa accogliere la loro imprevedibilità. E nemmeno i pensieri devoti sono sempre buoni. Anche la devozione può essere difesa e protezione.

Non è questione di pulizia ma di armonia e, per chi crede, anche di fede, vera e propria fede nel potere buono della parola che la Bibbia ci insegna. L’armonia è l’arte della relazione, tra i suoni e tra le persone. È l’arte che rende gradito il suono e la vita tutta, come sta, varia e inafferrabile.

Resta l’obiezione: i pensieri non si possono controllare. Arrivano da soli. È vero, ma si possono educare. Nutrire di letture e incontri che ospitiamo liberi, carichi di emozioni curiose e benevolenti o accoglienti, non giudicanti.

Infine, cosa vogliamo tutti dalla vita se non che ci arrivino pensieri che ci fanno sentire parte di un’umanità accogliente e amica, ricevere parole che ci riconoscono come persone piene di valore, quale che sia il lavoro che facciamo o il ruolo che ricopriamo, e dire, anche dire, parole che cambiano il mondo, che fanno essere il mondo migliore. Come la splendida parola generatrice di Isaia: «Uscita dalla mia bocca: non ritornerà a me senza effetto, senza aver operato ciò che desidero e senza aver compiuto ciò per cui l’ho mandata» (11). Parole efficaci che fanno germogliare la vita.

«Una parola muore / appena è detta / dice qualcuno – Io dico che comincia / appena a vivere / quel giorno», Emily Dickinson.

 

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Data di aggiornamento: 05 Dicembre 2019
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