Sant’Antonio a Comiso
Chiamarsi Antonia non è frequentissimo nel Veneto; più spesso trovi delle Antonelle, nomi lievi, squillanti come campanelle, o qualche volta austere, nobili Mariantonie. Molto più usato è nel Meridione d’Italia, anche con altre varianti: Antoniette, Tonine... ma per tutte noi l’onomastico è il 13 di giugno, come per le legioni di Antonii. Perciò non mi stupii affatto di ricevere, per la mia festa, posta dal Sud: una lettera da una coppia di cari amici siciliani (e lei si chiama, appunto, Antonella!), con una busta elegante e di un certo spessore. Dentro, oltre a un biglietto di auguri, c’era la riproduzione di una statua di sant’Antonio in vivaci colori su uno sfondo marroncino, contornata da una cornicetta di carta traforata.
C’erano tutti gli elementi della venerazione tradizionale: un santo in ampia tonaca scura, un paffuto Bambino benedicente seduto sul suo braccio e sorretto dalla mano sinistra, il Libro e un bel ramo di gigli tenuti su dalla destra, due belle aureole sui capelli ricciuti e un’espressione pacifica e paziente. Sul retro, una «Preghiera a sant’Antonio di Padova venerato nella Parrocchia omonima in Comiso (Ragusa)», che era stata composta per un’occasione recente, probabilmente quella della data scritta in calce, «aprile 2012».
Non sono mai stata a Comiso, e non vi abitano neanche i miei amici, che vivono in un’altra cittadina della provincia di Ragusa. Ma mi incuriosì molto che ci fosse là un’intera parrocchia dedicata a lui: e così andai a guardare su internet, fonte oggi per tutti di informazioni veloci (anche se non sempre del tutto affidabili...). E scoprii un mondo. Informazioni e video su youtube mi fecero capire un sacco di cose.
Prima di tutto, che quella che gli amici mi avevano mandato era una piccola, elegante riproduzione di una statua in realtà molto grande e molto venerata, che viene portata in processione per le vie di Comiso con grande pompa e grande seguito di folla: la parrocchia di sant’Antonio, che la custodisce, organizza ogni anno in suo onore festeggiamenti che durano diversi giorni e coinvolgono l’intera città. Passai da un video all’altro divertendomi, guardando i fuochi d’artificio, le bande dai bei nomi esotici, i bambini che suonavano, i giovanotti che portavano la statua sulle spalle con orgoglio attraverso tutta la città.
È la grande festa d’ottobre: un periodo dell’anno straniante per i padovani, per i quali il mese di Antonio è giugno, quando fioriscono i gigli bianchi profumatissimi, quelli che sono presenti in quantità in ogni immagine del Santo che si rispetti. Ma le immagini vivaci ed emozionanti dei festeggiamenti di Comiso mi coinvolsero profondamente, mi fecero capire ancora una volta l’importanza dei riti. C’era un entusiasmo nella gente, un’allegria condivisa, un correre di bambini e di adulti che accompagnavano la statua illuminata, benevolmente protesa a benedire la folla, nel suo lento percorrere le strade, fino al momento culminante dei fuochi d’artificio, che scoppiavano uno dopo l’altro nel cielo notturno.
Un video in particolare mi commosse: è intitolato «Trionfale uscita di sant’Antonio di Padova», ma per lunghi minuti la statua non si vede, chiaramente è ancora dentro la chiesa. Suonano invece con un ritmo ipnotico ed evocativo, affacciati a una balaustrata davanti alla porta da cui deve uscire, trombe e tamburi: sono i Tamburi Imperiali di Comiso. Sopra la porta, c’è una scritta luminosa fatta di lampadine: e finalmente si vede e si sente un campanellino squillante e lui esce, lentamente. Sulla scalinata suona un gruppo di bambini in costume, serissimi e molto impegnati, e per l’aria va un volo di palloncini. Poi iniziano i fuochi a solcare il cielo, e anche a me in quel momento prese una felicità strana: mi sentii fra quella gente, con Antonio sopra di noi, colmo di luce.