Segnaletiche antoniane

Dei gesti di Antonio parleremo sul «Messaggero di sant'Antonio» in questo 2022. Gesti con cui il Santo continua ancora oggi a raccontarci l’amore di Dio per ogni uomo e ogni donna.
11 Gennaio 2022 | di

Non si può non comunicare. Lo affermano, convinti, gli studiosi di comunicazione: se parliamo, è evidente che le nostre parole, più o meno sconclusionate, comunicano qualcosa ai nostri interlocutori. Ma anche se ostentiamo un caparbio mutismo, pure il nostro silenzio, sia esso risentito o colmo di stupore, è eloquente. La qual cosa è così vera che un venerando e antico padre del deserto, abba Pambo, richiesto di dire alcune sagge parole a un vescovo in visita, così se la cavò: «Se per lui non è edificante il mio silenzio, non c’è speranza che lo siano le mie parole».

Da un paio di anni stiamo inseguendo e tallonando da vicino il nostro sant’Antonio, l’abbiamo accompagnato passo passo dalla nativa e lontana Lisbona, via Marocco, fino in Italia, dove si è incontrato anche con san Francesco d’Assisi, al capitolo delle stuoie del maggio 1221. Ricordate? Ne abbiamo abbondantemente trattato nel numero speciale del «Messaggero di sant’Antonio» del maggio scorso. Ci resta un ulteriore prezioso anniversario antoniano da celebrare, ma anche di cui umanamente e spiritualmente approfittare, in questo 2022. Vediamo un po’…

Concluso il capitolo delle stuoie, frate Antonio è invitato da frate Graziano, ministro, e cioè superiore, della Romagna, a seguirlo fino all’eremo francescano di Montepaolo, in provincia di Forlì, che necessitava della presenza di un frate che fosse anche sacerdote, per la celebrazione quotidiana dell’eucaristia. Siamo agli inizi dell’estate, e Antonio farà parte, a pieno titolo e mansioni domestiche comprese, del piccolo manipolo dei frati di Montepaolo per poco più di un anno: un tempo di cui c’è ben poco da raccontare, fatto di una quotidianità abitata da silenzio, preghiera, solitudine e fraternità. E, infatti, le antiche biografie se la cavano in poche generiche righe.

Naturalmente i bravi fraticelli dell’eremo ignoravano bellamente chi fosse davvero quel frate straniero, arrivato da lontano, di poche parole, apparentemente gravato da più scontri con il suo Dio e forse anche con qualche ferita, nell’orgoglio più che nel fisico, ancora da leccarsi. Sapeva un po’ di latinorum, almeno abbastanza da poter celebrare Messa, e tanto loro bastava. Il resto, il suo passato, chi fosse stato, che discipline avesse studiato, apparteneva alla curiosità fraterna sacrosanta ma importuna. D’altro canto, lui stesso non ne faceva alcun accenno.

Le stagioni trascorrevano prevedibili una dopo l’altra come da copione. E bastava ben poco, a dire il vero, per interrompere l’apparente monotonia dell’eremo. Come un’ordinazione sacerdotale di alcuni confratelli, giù in città, a Forlì. Anche i frati di Montepaolo vi sono invitati, e sembra del tutto probabile che abbiano accettato l’invito con grande gioia. L’appuntamento è al «luogo» dei frati, dove per cortesia sono invitati anche i padri domenicani. A questo punto, probabilmente poco prima dell’inizio della solenne liturgia, è di prassi un fervorino a uso e profitto spirituale degli ordinandi: una predica, un discorsetto che infervori gli animi, una sorta di incitamento in spogliatoio prima di scendere in campo. Chi lo fa, chi non lo fa, tutti, sia tra le fila dei domenicani che dei francescani, si scusano e si tirano indietro, accampando impreparazione o indegnità. Al superiore dei frati viene infine in mente quel fraticello di origini portoghesi, «come si chiama? ah, Antonio!», riservato e di poche parole, ma che qualche specie di studi l’avrà ben fatta, e qualche sentenza o citazione sarebbe stato ben in grado di proferirla. Insomma, si sarebbe almeno limitato il danno e la figuraccia.

Era probabilmente il 24 settembre, sabato, o forse il giorno prima, dell’anno 1222. Quindi, ecco la nostra nuova ricorrenza, esattamente ottocento anni fa!Le antiche storie ci raccontano come andò a finire. Mentre frate Antonio parlava, tutti i convenuti si guardavano meravigliati e perplessi l’un l’altro, domandandosi dove mai fosse stato nascosto fino a quel momento un predicatore così abile e sapiente, o come era mai possibile che nessuno si fosse finora accorto di lui. È proprio il caso di dire che quella sera, dal pulpito, Antonio si rivelò al mondo intero!

Probabilmente non ci fu nemmeno il tempo di tornare a Montepaolo a raccattare i suoi quattro stracci: d’ora in poi strade e piazze, chiese e conventi, si sarebbero riempiti di uomini e donne desiderosi di ascoltare la «bella e buona parola» di Antonio! La sua parola avrebbe raggiunto, e tuttora raggiunge, ogni angolo della Terra, in barba ai confini o alle appartenenze religiose le più diverse. La sua parola o, forse, i miracoli e tanti altri suoi segni, che anche ai giorni nostri continuano a parlare a nome suo, con i vocabolari dell’arte, della liturgia, della carità, della predicazione, del meraviglioso e di molti altri, alcuni persino inaspettati.

Di alcuni di questi segni, uno per volta, parleremo in quest’anno che si è appena aperto: sul «Messaggero di sant'Antonio» le nostre consuete pagine riservate alla catechesi, in modo particolare pensata per i giovani, ma non solo, e alla Basilica, saranno proprio dedicate al racconto e all’attualizzazione di questi segni: di queste «parole», verbali o meno, con cui sant’Antonio continua imperterrito a raccontarci l’amore di Dio per ogni uomo e ogni donna. I suoi gesti famosi, tramandati da fior fiore di opere artistiche, verranno resi contemporanei, incarnati nell’attualità di tante vicende dei nostri giovani. Ma andremo anche a cercarli e a scovarli all’interno della Basilica di Padova e della grande famiglia antoniana. Riprendiamo allora assieme il nostro cammino con sant’Antonio!

 

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Data di aggiornamento: 11 Gennaio 2022
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