01 Maggio 2020

Si stava meglio quando si stava peggio?

«Non dire: “Come mai i tempi antichi erano migliori del presente?”, perché una domanda simile non è ispirata a saggezza», ci ricorda il Qoelet. Molto meglio imparare dalla storia.
madre povera con bambino, XX secolo

© Getty Images

«Caro direttore, ormai la maledetta fretta è l’imperativo della nostra società contemporanea. È sotto gli occhi di tutti la corsa folle che facciamo tutti i giorni da mattina a sera: dalle piccole alle grandi cose. Sembriamo degli autentici forsennati. La tecnologia è sempre all’insegna del fare prima, in minor tempo, e anche con una ridotta fatica. Sostituiamo, a volte, le persone con le macchine per guadagnare tempo. Momenti preziosi che però non valgono nulla, se non li sappiamo sfruttare per qualcosa di utile, moralmente e spiritualmente. L’uomo, antropologicamente parlando, non ama più l’oggi, l’istante da assaporare, il presente da valorizzare. È semplicemente proteso verso una corsa frenetica che lo condanna a una vita grama e infelice. La fretta è diventata un grande nemico dei rapporti umani. Ricordo, temporibus illis, che i nostri ritmi quotidiani venivano scanditi da dialogo, letizia del cuore e serenità introspettiva. Credo che, nonostante il progresso tecnico-tecnologico raggiunto, non bisogna mai rinunciare alle nostre caratteristiche e avere fretta di arrivare a un obiettivo. La saggezza popolare ci insegna che la fretta è cattiva consigliera. Il fumettista argentino Quino, diceva: “Fermate il mondo, voglio scendere”. La giusta dimensione della nostra esistenza, attualmente ansiosa e agitata, la dobbiamo trovare in noi stessi, come ci esorta sant’Agostino: “Non uscire fuori, rientra in te stesso: nell’interiorità dell’uomo abita la verità” […]​».

Franco Petraglia – Cervinara (Avellino)
antichissimo e irriducibile lettore del Msa: da oltre 50 anni

 

Il nostro «irriducibile lettore», come lui stesso si definisce, ha verità da vendere: basta semplicemente che ci guardiamo attorno, O anche, probabilmente, che osserviamo disincantati la nostra stessa vita: quante volte ci capita, arrivati a sera, di domandarci: «Ho fatto mille cose, ma che cosa ho “davvero” realizzato?». Ma, direi, oltre che guardarci attorno bisognerebbe guardarci anche… indietro. Una volta i tempi erano sicuramente diversi, scanditi in modo più tranquillo e naturale, segnati dal ritmo della natura. Si aveva molto più tempo, o forse si era per certi versi più «costretti» a stare assieme. Ma, diciamocelo onestamente, non solo per questo si viveva un granché meglio. C’erano possibilità che noi oggi, dal nostro punto di vista perciò, rimpiangiamo, ma che forse non erano ritenute tali allora. Guerre, migrazioni, malattie, povertà, relazioni spesso superficiali se non addirittura «perverse» anche all’interno delle famiglie, vita di fede superficiale: oggi possiamo pure idealizzare certune di queste situazioni, ma servirebbe a poco cercare soluzioni vecchie a problemi nuovi.

«Non dire: “Come mai i tempi antichi erano migliori del presente?”, perché una domanda simile non è ispirata a saggezza», ci ricorda la Bibbia (Qo 7,10)! Ci è decisamente più utile, infatti, imparare dalla storia e dall’esperienza dei nostri padri (e anche dall’epidemia di coronavirus?): per esempio per rivalutare i valori delle relazioni autentiche e profonde, che possono comunque essere vissute anche nel mondo del lavoro, in parrocchia, a casa, negli ambienti del tempo libero, che si abbiano poche o tante ore a disposizione. Si può recuperare il valore della festa, come momento e spazio di riposo, di dono, di gratuità e gioco. Occasione per nutrire il nostro spirito: «Venite in disparte, voi soli, in un luogo deserto, e riposatevi un po’» (Mc 6,31).

In realtà, niente e nessuno ci impedisce tutto questo, neanche al giorno d’oggi.

 

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Data di aggiornamento: 01 Maggio 2020

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