Terapia di coppia: è il caso?
Riprendiamo la riflessione interrotta lo scorso 8 novembre (Blog In famiglia: «Perché non provate a fare una terapia di coppia?»).
È ora il caso di porsi una domanda chiara: quali sono i «sintomi» che dovrebbero spingere ciascuno di noi verso la richiesta di una terapia di coppia o a suggerirne una?
Quelli più frequenti nella relazione di coppia sono:
- forte e ricorrente desiderio o attuazione di fuga e di evasione dalla vita familiare o coniugale (anche solo di uno dei due con sport, hobby, ecc.);
- anafettività (incapacità di provare affetto) o alessitimia (mancanza di emozioni e sentimenti) verso il partner per un tempo superiore alla settimana (spesso accompagnata da confusione a livello emotivo e un non sapere cosa fare);
- un sostanziale equilibrio nella coppia ma con una significativa sofferenza in un settore specifico della relazione (educazione dei figli, sessualità, rapporto con il denaro, gestione domestica, scelte di vita…);
- ricorrente mancanza di tempo trascorso assieme in situazioni dove i soggetti, o almeno uno dei due, ha oggettive possibilità di modificare la situazione. Ad esempio, il marito torna a casa da lavoro tutte le sere alle 21.00 quando il suo orario finirebbe alle 18.30;
- iperinvestimento nei confronti dei figli: si parla solo dei figli, si fanno cose solo insieme ai figli, tutto ruota attorno ai figli;
- lealtà primaria con la famiglia d’origine piuttosto che con il partner, provocando scontri e sofferenze nella relazione;
- fatica/sofferenza prolungata nella relazione di coppia dovuta all’incapacità della coppia ad adattarsi a una nuova fase di vita: convivenza o matrimonio, nascita del primo figlio, pensionamento, ecc.;
- mancanza prolungata di litigi/contrasti/discussioni in assenza di una gioia coniugale;
- conflittualità e litigi sempre più frequenti e/o sempre più intensi;
- messa in discussione esplicita della relazione e del matrimonio;
- tradimento extraconiugale:
- tradimento di pensiero
- tradimento tramite forme di comunicazione (messaggi, chat, ecc.) senza andare mai oltre;
- tradimento estemporaneo-occasionale di natura sessuale;
- tradimento sessuale ripetuto ma con donne diverse;
- tradimento sessuale continuativo con la stessa persona ma non avendo mai l’idea di rompere con il proprio coniuge;
- tradimento continuativo con la stessa persona e avendo la seria intenzione di porre fine al proprio matrimonio a favore della nuova relazione. In questo caso o la relazione extraconiugale è ancora in corso o si è interrotta per esclusiva volontà dell’altra persona;
- effettiva chiusura della relazione coniugale a favore della relazione clandestina per poi ritornare sui propri passi.
- forte sospettosità da parte di uno o entrambi i coniugi nei confronti dell’altro. Vi sono pensieri sul partner del tipo: «sta facendo solo i suoi interessi», «è solo un egoista», ecc;
- dichiarazione imperativa di non amare più l’altra persona. A volte questa può essere più insicura dichiarando non essere più sicuri di amarla ancora;
- trauma/ferita di attaccamento: un episodio molto significativo in cui vi è stata una grande vulnerabilità di un partner e l’altro non è stato presente nella relazione.
Non è un sintomo di coppia ma individuale (anche se ricade pesantemente nella relazione e può essere utile portare occasionalmente il partner in terapia):
- dipendenze da sostanze o alcool
- violenze fisiche o abusi
- emersione di una omosessualità maschile o femminile
- tentati suicidi
- disturbi psichiatrici
- dipendenza affettiva patologica (spesso associata a forti maltrattamenti della vittima)
In tutti questi casi l’invio in psicoterapia è obbligatorio ma è individuale, oppure, in rare occasioni, al percorso individuale si può affiancare il percorso di coppia. Non è escluso che in alcuni casi il terapeuta faccia entrare in terapia anche il coniuge se questo può essere una risorsa (ad es. nei casi di tentato suicidio). (2/3)
(a cura di Edoardo Vian, psicoterapeuta, coordinatore dell’équipe «Oasi famiglia» dei Santuari Antoniani di Camposampiero)