Tagliaferri e il suo Cristo RiVelato

Riflessioni sulla scultura di Felice Tagliaferri, artista non vedente, e sui nuovi e profondi punti di vista da lui proposti, a partire da un libro di Candido Cannavò.
12 Marzo 2019 | di

Mi ricordo quando io, milanista convinto dall’età di 6 anni, cercavo in tutti i modi di scoprire per quale squadra tifasse il mio amico Candido Cannavò. Lui ‒ è comprensibile ‒, essendo all’epoca direttore della «Gazzetta dello Sport», non poteva rivelare la sua «fede» calcistica. Ma io mi ero fatto comunque una mia idea. Candido è scomparso qualche tempo fa, ma di certo non è scomparso con lui il suo ricordo e il suo valore, motivo per cui non mi permetterò di certo di svelare ora il nome di quella misteriosa squadra. Voglio però dare qui spazio a un incontro che, grazie a lui, ha cambiato il mio modo di percepire una fetta di realtà. Tutto cominciò grazie alla pubblicazione del suo libro E li chiamano disabili (Rizzoli, 2005), una raccolta di esperienze significative di persone con disabilità, alcune già ai tempi molto note, per la prima volta ritratte tutte insieme tra vita, professione e passione. La cosa che del libro mi stuzzicò fu che Candido scelse allora di dedicare un capitolo a ciascuno dei protagonisti, al di là dei loro nomi e cognomi più o meno conosciuti. Preferì partire, invece che dai «ruoli», da parole capaci di rappresentare l’essenza di ogni protagonista. Ecco allora comparire, insieme al Geranio, la Libellula, lo Scienziato, il Pilota e, tra gli altri, lo Scultore.

Chi fosse questo Scultore posso davvero dire di averlo in seguito «toccato con mano». Sto parlando, qualcuno lo avrà intuito, di Felice Tagliaferri, scultore non vedente di fama internazionale, il quale, per comunicare usa spesso le mani, così come io uso gli occhi. Aver avuto la fortuna di conoscerlo, e di farmi «stropicciare» da lui, mi ha permesso di vedere dal vivo le sue opere, anch’esse nate per essere toccate e quindi fruibili da tutti: ogni volta che l’ho fatto, lo ammetto, ne sono rimasto affascinato.

Tra le sue sculture più significative c’è, senza dubbio, il noto Cristo RiVelato, nato dall’incontro dell’artista con l’originale settecentesco di Giuseppe Sanmartino, il Cristo Velato, custodito alla Cappella Sansevero di Napoli, che lo colpì a tal punto da decidere di ricrearne una propria versione, unica e originale e, naturalmente, accessibile.

L’opera di Felice, tuttavia – e il titolo ce lo suggerisce –, non è una semplice riproduzione, è la costruzione di una nuova scultura che gioca sulle ambiguità. Il Cristo, infatti, si «vela» due volte e nello stesso tempo si «ri-vela», si fa scoprire, cioè, da chi altrimenti non avrebbe avuto modo di fare la sua conoscenza. Impossibile non apprezzare un messaggio di tale profondità umana e cristiana, oltre che di grande ironia. Infatti è proprio da qui che la carriera di Felice ha preso il via.

Da allora la poetica dello Scultore si è arricchita dell’incontro con altri artisti ed esperienze grazie a cui ha potuto dare vita a nuove forme d’arte, spaziando nell’uso di materiali diversi, come creta, marmo, legno e pietra e lavorando come formatore e insegnante per artisti vedenti, non vedenti e ipovedenti alle prime armi. Felice ci racconta che pensiero e azione possono diventare inscindibili e che il vero scultore è colui che sa trasferire la profondità del pensiero nell’immagine, quell’immagine che, se anche non puoi vedere, puoi sognare.

Uno spunto interessante per la nostra Quaresima, non vi pare?

E voi siete capaci di dare forma ai sogni? Scrivete a claudio@accaparlante.it o sulla mia pagina Facebook.

 

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Data di aggiornamento: 13 Marzo 2019

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