Uganda, la scuola di Ampaire
Conoscete Ampaire? Verosimilmente no, ma lei conosce voi e vi ha scritto. Ampaire Ronah è una bambina ugandese, vive a Kakore, povero villaggio del Sud del Paese, appena sotto l’equatore, in quello spicchio di terra che si insinua tra Ruanda e Repubblica Democratica del Congo.
Frequenta la sesta classe Ampaire – significa che ha all’incirca 10, 11 anni –, nella scuola dedicata a san Francesco Saverio. Di lei non abbiamo una foto, bensì una letterina arrivata a Padova a fine estate, alle porte della Basilica, alle porte della Caritas che ha in sant’Antonio il suo ispiratore e protettore. Sul semplice foglio a righe strappato dal quaderno, la bambina, in inglese, esprime tutta la sua riconoscenza per la famiglia antoniana, anche per voi quindi, per l’aiuto che l’ha raggiunta nella «sua» periferia. Anzi, nella «loro», perché Ampaire usa il «noi», per comprendere nel suo grazie i 397 bambini e ragazzi dai 3 ai 15 anni che frequentano la scuola di Kakore. Sulla pagina spiccano quattro cuori a incorniciare il motivo della gratitudine: «Abbiamo una cucina, una sala da pranzo, abbiamo un bel posto dove preparare il cibo e dove mangiarlo!».
Un lavoro benedetto
È il caso di fare un passo indietro, di quasi un anno. Settembre 2018. Dall’Uganda, da Kakore, diocesi di Kabale, giunge una richiesta di aiuto. Si chiede di sostenere la scuola primaria e dell’infanzia «St. Francis Xavier», aperta nel 2007 dalle suore di Nostra Signora di Fatima, una congregazione locale che presta servizio in istituti scolastici, parrocchie e ospedali.
Caritas Antoniana ha già sostenuto questa realtà in altra circostanza, con la costruzione di un dormitorio per le bambine e le ragazze orfane. Ora l’emergenza è diversa, come spiega la referente, suor Schola (un nome, un programma!) Kyobutungi: «Al momento abbiamo una cucina e una sala da pranzo improvvisati, in legno grezzo. Queste strutture rudimentali e fatiscenti non sono affatto adatte a riparare dalle intemperie. La mancanza di igiene è assoluta. L’esposizione agli agenti atmosferici non permette di cucinare e mangiare in sicurezza. Il tetto non ripara dall’acqua nella stagione delle piogge, e quando si alza il vento il cibo viene contaminato dalla polvere». La descrizione è accurata ma, anche se ci fossero dubbi, è la foto allegata a non lasciarne. Per oltre dieci anni, una di queste baracche è stata la cucina che ha servito centinaia di bambini!
Il desiderio di Caritas Antoniana di intervenire c’è: bisogna poi mettere insieme i pezzi e valutare con cura il progetto, perché fare bene il bene è un’arte, oltre che una precisa responsabilità. Gli ultimi mesi del 2018 servono proprio per raccogliere le informazioni necessarie.
Non va tutto liscio: qualche difficoltà di comunicazione ci mette lo zampino, «internet non è stato accessibile» si scusa suor Schola, ma alla fine il puzzle è completo e l’ok da Padova arriva. I criteri affinché l’aiuto giunga a destinazione e possa avere un impatto efficace sono tutti rispettati: i referenti sono affidabili, offrono garanzie precise, il progetto stilato promette di realizzare quanto dice, ci sono le foto, le planimetrie e i preventivi delle ditte locali, non manca il coinvolgimento della diocesi e della popolazione.
Si parte, con una prima quota di 7 mila 500 euro necessaria per l’apertura del cantiere, a febbraio 2019. Arrivano le prime foto dello scavo delle fondamenta: smossa a colpi di vanga e piccone (non ci sono mezzi meccanici!), la rossa terra lascia lo spazio ai rossi mattoni delle pareti portanti, sulle quali poggerà il tetto in lamiera.
In aprile, Caritas invia la seconda rata del medesimo importo, per completare i lavori. In realtà, purtroppo, il lievitare dei costi dei materiali da costruzione fa sì che in estate, quando giunge il resoconto finale dall’Uganda, l’opera non sia ancora del tutto compiuta, ma ci penserà poi la congregazione a provvedere agli ultimi interventi. Lo garantisce la direttrice della scuola, suor Consolata Orishaba, che così si esprime: «Con tutto il cuore vi prometto che con costanza pregheremo per voi, affinché Dio possa sempre benedire il lavoro delle vostre mani. Ci avete davvero aiutato. Per noi è stato come passare dal nulla al tutto. Avete trasformato il volto della nostra scuola».
Abbiamo iniziato con la lettera di Ampaire, concludiamo con la sua preghiera: «Prego che Dio vi protegga, e che aumenti il vostro amore per le persone povere, per i bambini poveri e per le scuole povere».
Un ringraziamento che diventa anche un mandato, da prendere molto sul serio, che una bimba di 10, forse 11, anni ci affida dalla periferia del mondo.