Un ponte per Emdibir

Luca, Luigi e Michela sono i primi giovani partiti, dopo l’emergenza sanitaria, per il servizio civile in Africa. Destinazione Emdibir, in Etiopia, dove l’arcidiocesi di Udine sostiene progetti di cooperazione e sviluppo.
21 Ottobre 2021 | di

«Prima di partire non sognavo l’Africa. Ho scelto il mio progetto di servizio civile perché coerente con il mio percorso di studi e perché una precedente volontaria me ne aveva parlato bene. Poi, laggiù in Etiopia dove si è svolta la mia esperienza, ho imparato a costruirmi una vita quotidiana. Mi sono emozionata nel riconoscere costellazioni mai viste prima in un cielo ricolmo di stelle. Ho provato una dolorosa ingiustizia nel constatare che, nella vita, posso fare teoricamente quello che desidero, ma non è lo stesso per i miei amici e colleghi etiopi. Infine, questa esperienza ci ha resi tutti comunque più forti, più coscienti di noi stessi e del fatto che avremo sempre un posto nel mondo in cui tornare come si torna a casa».

Francesca Gnesutta è una delle tante volontarie che hanno partecipato al progetto di servizio civile contribuendo a rinsaldare il lungo ponte che unisce l’arcidiocesi di Udine a quella di Emdibir in Etiopia. Una collaborazione iniziata anni fa e mai venuta meno grazie al Centro missionario e alla Caritas udinesi. Con la diocesi africana è stato avviato un progetto oggi distribuito in varie sedi operative.

Una condivisione, interrotta solo durante l’emergenza sanitaria, ripresa in questi mesi con la partenza, il 22 luglio scorso, di tre giovani volontari: Luca Masone, Luigi Nascimben e Michela Pittalis. «È la prima esperienza dopo la pandemia, per tutti è una sorta di benedizione. Il non poter partire è pesato molto, soprattutto perché non ci ha permesso di sostenere le attività avviate a Emdibir» afferma Stefano Comand, anima del Centro missionario dell’arcidiocesi di Udine.

La sua prima esperienza di volontario, prima di girare il mondo e rimanere in molti Paesi in particolare in Bosnia e nei Balcani, fu proprio in Etiopia. «Luca, Luigi e Michela sono impegnati in alcune delle numerose strutture in cui opera l’Emdibir Catholic Zecretariat (EmCS), la cui funzione è simile a quella delle nostre Caritas diocesane – spiega Comand –: nel Dipartimento Agricolo, per la gestione di progetti di sviluppo rurale volti a garantire un accesso sicuro a cibo sufficiente e nutriente per le famiglie più vulnerabili delle zone rurali; nella direzione della scuola professionale Anthony’s Catholic TVET College, contribuendo al miglioramento della gestione delle attività amministrativo-contabili ed educativo-didattiche; nello studentato femminile, per l’implementazione di attività ludico-didattiche; nel Dipartimento Sanitario, per l’avvio di una farmacia centralizzata che rifornisca le cliniche e gli ospedali afferenti alla diocesi; alla direzione dell’EmCS, nella gestione amministrativa e logistica di programmi di sviluppo rurale».

Emdibir, cittadina in crescita in una zona rurale del Paese, si trova 180 km a sud-ovest della capitale Addis Abeba, nella zona del Guraghe, dove l’altitudine varia dai 1.800 ai 3.000 metri. Luca, Luigi e Michela vi rimarranno un anno. La loro partenza è avvenuta dopo un periodo di formazione, ne sono previsti altri due durante questi dodici mesi.

All’EmCS appartiene una fitta rete di presidi sanitari e di scuole. Tra queste, l’istituto professionale St Anthony’s Catholic Technical College dove, in questo periodo, è impegnato Luigi. «Stiamo sostenendo percorsi didattici riguardanti l’informatica e la carpenteria metallica – prosegue il referente del Centro missionario –, già finanziati in passato dalla Regione Friuli-Venezia Giulia». Un altro importante ambito, che vede al lavoro Luca, è quello che si propone di avviare una farmacia centralizzata e finalmente autonoma. «La diocesi ha nove cliniche e due ospedali, ma non ha un servizio farmaceutico proprio. Si sta lavorando per rendere operativa una centrale unica, indipendente nell’approvvigionamento e nella distribuzione, alla quale possano far capo tutte le strutture afferenti».

Michela è al lavoro in questi mesi all’interno del progetto di sviluppo rurale, in funzione ormai da alcuni anni, che prevede, oltre alla formazione in loco, la fornitura di input agricoli, sia tecnici che materiali, come attrezzature, sementi, prodotti da coltivare e, infine, l’accompagnamento nelle attività di produzione e lavorazione, tutto in stretto raccordo con gli agronomi che sono sul posto.

Secondo l’Ufficio di sviluppo agricolo distrettuale, circa il 70 per cento delle famiglie dell’area di Emdibir non riesce a coprire il proprio consumo alimentare senza un supporto esterno. «Insieme con l’Università di Udine e con il supporto scientifico di alcuni suoi studiosi – prosegue Comand – stiamo sostenendo un importante intervento di apicoltura. Lo scopo, anche per tale azione, è riuscire a creare nuovi posti di lavoro e nuove attività».

Michela sta seguendo anche un altro programma, attualmente cofinanziato dalla Regione Friuli-Venezia Giulia. Destinatarie: le donne. Obiettivo: rafforzare sempre di più la loro autonomia a partire dall’aspetto scolastico, educativo e formativo fino a quello lavorativo e occupazionale. La giovane volontaria sta operando attualmente nell’ostello, costruito vicino alla scuola, dove vengono ospitate le studentesse, molte delle quali abitano in villaggi lontani.

Le ragazze riescono così a frequentare la scuola, rientrando a casa solo nel fine settimana. Finite le lezioni, sono impegnate in varie attività parascolastiche, dallo studio della lingua inglese al cineforum, fino ai laboratori di teatro.

«Il senso più profondo di questo impegno, realizzato grazie a preziose collaborazioni e ai volontari presenti, insieme con i missionari della diocesi, in tante parti del mondo – conclude Comand – è semplice, almeno per chi ha ben chiaro il valore della parola “missionarietà”: far rimanere le persone, a partire dai giovani, nelle loro terre, creando posti di lavoro, favorendo la formazione e sostenendo attività e progetti locali. Guardare avanti rimanendo con i piedi per terra è l’unico modo per non costringere, come invece accade, tanti ragazzi e ragazze a fuggire dal Paese in cui sono nati alla ricerca di fortuna nelle grandi città dove, però, trovarla è sempre più un miraggio». 

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Data di aggiornamento: 21 Ottobre 2021
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